Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 1 - ottobre 1974
è nata in uno dei luoghi sa.cri francescani, v1c1no a Rieti. E ci è sembrato chiaro, sin da allora, che la povertà materiale era stato il segno storico di Francesco, il suo glorioso limite. La vera povertà di Francesco stava nell'ab– bandono a Dio, di cui la povertà materiale era il segno esterno. Francesco lo sapeva bene, lui che viveva per la contemplazione e la preghiera, ed era portato con tanta forza verso la solitudine. La povertà era il segno dell'ab– bandono, presa in se stessa diveniva assurda, un segno impazzito. Le sette pauperiste ereticali presero il segno per la sostanza, e coltivarono il paupe– rismo come ideale. Aver dato un'interpretazione pauperistica di Francesco è un limite di Dante, un limite che si è ripercosso su tutta la sua visione della Chiesa e della storia. La critica storica radicale che Dante fa del papato e che è così obiettivamente ingiusta, il mito del sacro imperatore, che è così falso, così equivoco e così irreale, sono legate alla confusione tra segno e spi– rito in Francesco. Francesco non è l'uomo della Santa Povertà, è in primo luogo il cristiano che si abbandona al Cristo come il Cristo si è abbandonato al Padre. Del resto non è questa confusione tra segno e sostanza all'origine della vocazione di Francesco, se egli intese in senso puramente letterale l'invito del Cristo in S. Damiano a riparare la sua Chiesa? Ecco, per noi è stato importante ritradurre povertà in abbandono, ricon– durre l'aspetto materiale del simbolo al suo significato sostanziale e interiore. Quando abbiamo sentito così, il secolarismo stava scatenandosi attorno a noi, e le più tranquille, solide e vane al tempo stesso, transizioni temporalistiche si facevano sotto la protezione di slogan, concretamente, storicamente equivoci come quello della Eccle-sia pauperum. E i più attivi nella marcia verso la de– nigrazione e la demolizione della Chiesa erano proprio i teologi dei grandi ordini religiosi. Il fatto che uomini coperti dal voto di povertà divenissero pra– ticamente i monopolizzatori della teologia (e questo grazie ai mezzi materiali di cui disponevano) fu la sciagura della teologia. Il volto della Chiesa brilla nel popolo fedele, è sensibile ancora nel clero e nell'episcopato (ma già a prezzo molte volte di dip1omatismi, di reticenze, di silenzi colpevoli), ma sva– nisce là dove si dice essere la vita consacrata a Dio. Di là è venuto alla verità cattolica non dirò solo il cedimento, ma la sfida peggiore. Per questo era per noi importante ritrovare la vera regola dell'abbandono a Dio, che è la regola dell'abbandono interiore allo Spirito Santo che ci è stato donato. Ciò ha significato rifiutare qualunque nucleo di identificazione storica che non sia l'essere ecclesiale. E ciò appunto è il santo abbandono. Ciò che noi possiamo dare allo Spirito Santo con il massimo concorso della nostra umanità è il continuo rifiuto di identificarsi con qualcosa di finito. E si badi, più la finitezza appare nobile, più il rifiuto di identificarsi ad essa richiede la grazia di abbandono (che è sempre data) e il desiderio dell'abbandono (in cui c'è la nostra parte). La presenza Lo Spirito Santo ha scelto di essere presente nella storia attraverso i cri– stiani. È in questo modo che la storia diviene storia sacra, storia della salvezza. La storia della salvezza passa ora per ciascun cristiano. Qui lo Spirito si pone 9 bibliotecaginobianco
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