{)!.LBIANCO ~ILROSSO kiikiil•ii quella della riconquista di un ruolo chiave all'interno dello schieramento moderato, quello che è alternativo alla sinistra. Questa è l'ipotesi preferita dalla maggioranza dei dirigenti popolari, caldeggiata dal cardinal Ruini e sostenuta da Kohl. L'ipotesi è quella di premere su Berlusconi perché risolva il problema Alleanza nazionale (ad esempio pilotando la scissione da Fini di un gruppo di oltranzisti missin!) e realizzi un sistema di garanzie contro i rischi da concentrazione di potere. Se queste due condizioni si avvereranno (e non pare impossibile che si avverino), il Ppi entrerà nella maggioranza, compensando un'emorragia missina estrema (Mussolini, Buontempo, ecc.) e il ridimensionamento leghista, con la benedizione della Chiesa e quella della Cdu, che darebbe a Berlusconi la patente di piena affidabilità democratica internazionale. Difficile vedere alternative a questo scenario, sia per Berlusconi (e Fini), sia per il Ppi. Senza il Ppi, Berlusconi si trova davanti cinque anni in salita, in Italia e all'estero. E senza Berlusconi il Ppi rischia di trovarsi prigioniero di una riforma elettorale che abolisca la quota proporzionale e lo costringa quindi a spaccarsi tra una parte che va col Cccl e un'altra che o va a sinistrao va a casa. Il più improbabile tra tutti è proprio il sogno di un Ppi che tutto intero va a sinistra, accettando di allearsi col Pds. Una prospettiva del genere potrebbe rivelarsi realistica solo in un contesto di pericolo conclamato per la democrazia. Ma in quel caso, sarebbe forse troppo tardi. In uno scenario normalmente democratico, il Ppi non può andare a sinistra. Non a caso, il dibattito precongressuale in seno ai popolari si è andato polarizzando tra quanti vogliono andare a destra senza condizioni (Formigoni), quanti vogliono 7 trattare con la destra per attrar la verso il centro (Buttiglione, ma anche Mancino, forse Andreatta e persino De Mita) e quanti dicono di voler stare al centro, in una posizione di equidistanza tra destra e sinistra (Mattarella, Bindi, Bianchi, ecc.). Nessuno riesce neppure a dire di voler costruire un'alleanza a sinistra. Nel Ppi - questa è una vera mutazione genetica - «sinistra» è oggi una parola impronunciabile come lo è stata, nella Dc, la parola «destra»: a conferma di quanto forte sia, sul centro, l'egemonia culturale della destra. E pensare che solo un anno fa c'era chi, nella Dc, demonizzava Segni perché «moderato»: una parola spregevole per gran parte della sinistra Dc e che oggi è contesa a palle di fango tra le diverse anime dei popolari, in gara per il diritto di proprietà su questa etichetta. La strategia della «seconda gamba» presenta quindi difficoltà non minori di quella, oggi di fatto accantonata, del «partito democratico». Il dibattito resta aperto. Molto dipenderà dal concreto comportamento dei principali attori sulla scena (a cominciare dal Pds e Ppi). Molto dipenderà anche dalle regole: turno unico o doppio turno non è irrilevante. Molto dipenderà dalla disponibilità di leader per l'uno o l'altro scenario. In ogni caso, le coordinate politiche, al di là di quelle organizzative, sono tracciate. Vincerà un polo progressista che sappia essere, visibilmente e credibilmente, luogo di incontro tra sinistra e centro, tra le culture della sinistra tradizionale e quelle del cattolicesimo democratico e della liberaldemocrazia laica, tra il mondo del lavoro e la borghesia moderna e produttiva. Niente di nuovo: semmai la conferma di un compito realizzato solo in parte. Ma che resta attuale. Come il nostro impegno.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==