O~BIANCO ~ILROSSO 1111 #!1 11 Imperativpoertutti:superare sulseriolamentalitdàemocristiana o ra che la Democrazia cristiana è finita occorre saper vincere la mentalità democristiana, e precisamente le condizioni di una sua riproducibilità. È questa una lotta di lunga durata, poiché richiede un'attitudine politica, culturale, psicologica - senza scomodare la teologia aggiungerei: ascetica - comuque non comune nel cattolicesimo italiano. Ciò che tra le altre cose pare proprio mancare all'interno degli ambienti cattolici italiani è infatti un «carattere», laico e profetico al tempo stesso, poiché «coscienziale», che sia capace di autotrascendere la situazione data, così come l'urgenza dei tempi richiederebbe. Nella divisione dei compiti della compagine cattolico-politica, agli uni - i dc professionali, cioè il ceto politico - era demandato lo spazio della Realpolitik, agli altri, definiti, «il retroterra» - gli intellettuali cosiddetti «cattolico-democratici», le associazioni tradizionali più o meno decotte, le scuole di «formazione alla politica»... era demandato il vasto campo delle affabulazioni moralistiche e sociologiche e del rituale omaggio ad una mai determinata - poiché non determinabile - «dottrina sociale della chiesa». Ciò in una sorta di «innocente» gioco delle parti la cui «cerniera» era garantita, molto più esplicitamente dal 1986 - annus mirabilis dell'ascesa ruiniana - dalla gerarchia ecclesiastica, e riprodotta localmente, altrettanto innodi Giovanni Tassani centemente e profanamente, dal personale delle curie vescovili. Con la caduta traumatica del sistema politico democristiano questo quadro d'insieme si è scomposto. Ne residuano, in entrambe le zone, quella già strutturale e quella semper sovrastrutturale, forze che non solo non s'arrendono alle evidenze ma che si rifiutano - per impossibilità congenita - di superare le evidenze con uno scatto d'inventività politica. E, si sa, chi l'inventività non l'ha mai posseduta non se la può dare. L'ultimo cattolico che ha dimostrato in Italia di saper innovare, cioè di contemporaneamente pensare e fare politica, indipendentemente dai lacci della gerarchia ecclesiastica, è stato Luigi Sturzo, nel 1919. La grande operazione degasperiana tra '43 e '45 ha vissuto di rendita, e di mediazione prevalentemente al ribasso, sul disimpegno popolare, solo «facendo», non più anche «pensando» politica. Ciononostante quello che si è, ed è stato, chiamato «cattolicesimo politico» ha svolto una non disconoscibile funzione storica, empirica, esperienziale, di garanzia, nel nostro paese, anche se d un prezzo altissimo: l'esposizione pubblica, partitica, della Chiesa e del cattolicesimo, divenuto per l'appunto «cattolicesimopolitico», cioè partigiano, sociologica massa di manovra, più che luogo di liberazione e crescita delle coscienze. Si possono trovare le attenuanti epocali per il cattolicesimo politico: in questo secolo delle ideologie rinserrare il buon popolo fedele in un quadro 66 anche politico di certezze e sicurezze era forse l'espressione ideologica appropriata, il necessitato controcanto cattolico partigiano al secolo, il suo stemperamento di fronte alle pretese assolutistiche - tutto-politiche - di destra e di sinistra. C'è da chiedersi quanto cattolicesimo politico possa perdurare e magari rinnovarsi oggi, dopo tanto naufragio: di tirannie, e poi di ideologie, di sistemi politici, di poteri partitocratici. E occorre chiedersi se lo si voglia superare, limitare o non addirittura rilanciare. Dei due momenti residuali che abbiamo evocato, quello strutturale della Realpolitik e quello sovrastrutturale dei buoni principi laicali, il primo è ormai in buona parte trasmigrato nel «polo delle libertà», mentre il secondo si accapiglia dividendosi sul dilemma se raggiungerlo con intenti ricompositivi o se restare a contemplare un arcadico e autonomo «centro», immune dalle tempeste contrappositive nel nuovo sistema maggioritario. Entrambe le posizioni sovrastrutturali mostrano di contendersi il primato in tema di continuità della mentalità democristiana, insistendo proprio sui motivi che dovrebbero superare: l'esposizione pubblica di un nuovo cattolicesimo politico, la traduzione politica, in proprio e diretta, dei principi della «dottrina sociale». Entrambe le posizioni che mirano a conquistare la segreteria del Ppi, quella movimentistico-popolare e quella «cattolico-democratica», si dispongono cioè a un ruolo pubblico in cui centrale dovrebbe ancora una volta divenire la «cerniera» della
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