qui andrebbe veramente assai lontano). Infine, si è rivelata un'illusione quella di percorrere la scorciatoia della sola riforma delle regole, pur necessaria, dimenticandosi dell'analisi dei processi storici e dei soggetti concreti che si sarebbero poi calati in queste regole. Stanti queste premesse, non è difficile comprendere quali possano essere le considerazioni prospettiche che ne derivano. Anzitutto la necessità di un'operazione di analisi originale della società italiana e dei bisogni effettivi, dei desideri, delle aspirazioni che sviluppa. Occorre sottrarsi programmaticamente, però, ad una facile tentazione: quella di autoconvicersi che la destra abbia già intercettato queste domande; anzitutto perché la situazione è ancora troppo fluida per poter dare indicazione univoche; in secondo luogo perché le domande collettive spesso hanno bisogno di fattori simbolici di evocazione per manifestarsi compiutamente. Si tratta quindi di suscitare ed orientare originalmente queste domande latenti: una volta già evocate risultano connotate e non più spendibili. Si prenda ad esempio lo slogan del federalismo, cui molti a sinistra si sono rifatti: è tutto da dimostrare si tratti di una aspirazione autentica del paese reale, e in ogni caso è una carta già spesa, che implicherebbe solo l'andare a rimorchio dell'evocatore iniziale. Senza dimenticarsi che l'Italia - e gli italiani - sono quelli che abbiamo di fronte: un po' meno gradevoli di come ci si illudeva che fossero, un po' meglio, comunque, di quello che ora si pensa siano. In questa operazione analitica si tratta di individuare quale deve essere il referente della proposta politica dell'area progressista - o come la si voglia chiamare - e modulare su di esso le proposte, cessando di parlare per astrazioni indifferenziate. Ad esempio, non è irrealistico pensare che un'interlocutore interessato possa identificasi con un nucleo familiare medio il cui reddito non superi un tetto determinabile, portatore di interessi sostanzialmente non forti, che possono essere messi a dura {)!LBIANCO ~ILROSSO 111 •~1§• HIl prova dalla ventata neoliberista di Berlusconi; ecco allora che la riforma della sanità, o delle pensioni, o il problema scolastico perdono tutta la !ora astratta genericità, e diventano un concreto esercizio di elaborazione di proposte che possano ottenere attenzione e consenso; è evidente che, almeno in questa fase, il punto di partenza di un simile sforzo programmatico non può essere il livello alto dell' enunciazione ideale (o magari della dottrina sociale della Chiesa), ma quello prosaicamente basso della stratificazione economica. Non sostengo certo che si tratta di fare il «partito dei poveri»: ma il famoso «centro» da conquistare per vincere le elezioni non è un'astratta categoria della politica, ma 60 il «reddito medio» che ha fatto per quarant'anni le fortune della Dc. In secondo luogo, non bisogna commettere l'errore di sopravvalutare gli strumenti della comunicazione politica a scapito della azione politica in quanto tale. L'esperienza iniziale della Lega mostra che anche senza le televisioni si possono svolgere ruoli non marginali; a condizione però di saper elaborare proposte, simboli e leadership diffuse. Cosi anche per il sistema elettorale e quant'altro mai. Si tratta di riattivare positivamente meccanismi di comunicazione ai vari livelli che interagiscono nella formazione del consenso politico: dal door to door, all'ambiente cittadino, a quello simbolico e carismatico nazionale: senza passare dall'esaltazione del privato sociale e del volontariato come unica risorsa e riserva della politica, al berlusconismo di seconda mano di chi sceglie i leader a secondo di quanto «bucano lo schermo». Naturalmente ciò comporta la dismissione di un tono professorale e la serena accettazione del fatto che le leadership si conquistano sul campo, nell'azione politica diretta, e non si mantengono né si ricevono per diritto divino. Infine, il problema del rapporto con il Pds. Penso che ancora per lunghi anni l'elettorato italiano risulterà refrattario in maggioranza ad una alternativa a chicchessia che veda in posizione sostanzialmente egemone chi abbia un passato «comunista»; ciò può essere assurdo, preconcetto, ideologico, illogico, ma ciò nonostante resta probabilmente vero. Anche in questo caso, l'inferenza non è difficile: occorre che accanto ad esso si collochi un'altra componente, autonoma e sufficientemente consistente, da spostare il baricentro della coalizione alternativa fuori dal Pds; non è solo un problema di identificare un leader nazionale, ma di supportarlo con una presenza diffusa sul territorio che dia l'idea di un cartello composito e non dei cespuglietti all'ombra della quercia. Operazione ardua, probabilmente destinata a fallire, ma che potrebbe avere un momento importante di verificare alle amministrative del '95 e del '97
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