Dl.L BIANCO ~ILROSSO iiikiiiiii della ditta progressista. Ma il problema resta: di fatto quel voto è stato consegnato in mano ad un gruppo dirigente, questo si, in larga misura excomunista, punendo severamente (certo, non senza molte buone ragioni) le altre forze dell' arcipelago progressista, ridotte tutte, brutalmente, al rango di cespugli sotto la Quercia. Ora è necessariamente dalla Quercia che si deve ripartire. E la partenza che si è vista non è di quelle incoraggianti. Il Pds ricomincia da D'Alema, ossia dal leader che più di ogni altro ha difeso in questi anni il partito. Ed ha concepito il polo progressista come sistema di alleanze tra soggetti politici. D'Alema è stato l'uomo che più ha lavorato per far fallire l'intesa Segni-Occhetto. D'Alema è stato il grande avversario dell'idea stessa di Alleanza democratica. D'Alema è stato l'autore, in Parlamento, del compromesso con Mattarella sulla legge elettorale, pensata proprio in funzione della salvaguardia dell'identità dei partiti. Se il buon giorno si vede dal mattino, un brutto giorno si profila per i Progressisti. Per carità, le vie della politica sono infinite: Reagan il guerrafondaio è stato l'uomo della pace con Gorbaciov. E forse solo un guerrafondaio come lui avrebbe potuto firmare gli accordi sul disarmo senza suscitare apprensioni. Chissà quindi che non possa essere proprio D'Alema l'uomo della seconda svolta, dopo quella della Bolognina. Al momento, le cose non stanno così. A quel che si capisce, D'Alema ha già seppellito l'idea dell'alleanza progressista. Al posto di Rete e Verdi, Cristiano-Sociali e Ad e Psi, tutte forze che egli considera sostanzialmente irrilevanti (purtroppo non senza più di una ragione), D'Alema si preoccupa del Ppi, col quale spera di stringere un'alleanza all'opposizione che diventi lo sgabello per un futuro schieramento alternativo al Polo delle libertà. Non a caso, l'elezione di D'Alema è stata accolta con sollievo negli ambienti del Ppi: essa ha significato l'accettazione del principio del «cuius regio, eius religio». Nel Pds la sinistra, nel Ppi i cattolici: cerchiamo di dialogare, ma senza mettere in discussione i confini tra le forze politiche (e le aree culturali). Una nuova Yalta, o almeno una nuova Helsinki della politica italiana. La sinistra da sola non può vincere, deve allearsi col centro, cioè col Ppi. Quanto alla sinistra, essa «è» il Pds, che deve rinnovare il suo programma, buttando a mare 6 tanto vecchio armamentario, per poter incontrare il centro. Ma di una nuova costituente di una nuova forza politica, di un «Partito democratico» che vada oltre la transizione rappresentata dal Pds e raffigurata da quel simbolo mezzo vecchio e mezzo nuovo, al momento almeno, non si parla neppure. Il progetto di D'Alema è apparso più realistico (e più rassicurante) alla maggioranza del gruppo dirigente (non alla base) del Pds. L'alternativa di Veltroni metteva nel conto una nuova tribolazione, la riapertura di una fase costituente, per far nascere dal Pds, insieme alle altre anime del progressismo italiano, un partito nuovo, quel partito progressista occidentale, kennediano o clintoniano che si voglia, che il Pds, schiacciato sulla sua immagine di partito ex- o post-comunista non riesce ad essere. La nuova costituente per ora è rinviata. Per ora: perché non è detto che D'Alema non possa essere proprio lui, a dispetto di ogni previsione, a promuoverla. Ma al momento la strada scelta è quella di consolidare il Pds e di dar vita, tra nonex-comunisti, alla seconda gamba della sinistra. Una strada tutta in salita. I partiti non si inventano dall'oggi al domani (come insegna l'esperienza di Ad); e non si inventano mettendo assieme capre e cavoli, o dividendo artificialmente le pecore dai capri (perché mettere insieme Visentini e Camiti dovrebbe essere più naturale che mettere insieme Visentini con Visco e Camiti con Trentin?). La strategia della «seconda gamba» della sinistra rischia inoltre di riaffermare sia pure per contrasto, la natura «comunista» del Pds, inchiodando così l'intera sinistra all'egemonia di una tradizione culturale dalla quale essa deve invece finire di liberarsi. La strategia della «seconda gamba» rischia perfino di far rivivere lo schema degli anni '80, con le due sinistre (comunista e socialista) in conflitto tra loro per la conquista dell'alleanza con il centro. Con la non marginale differenza che allora il centro rappresentava la maggioranza dello schieramento di governo, mentre oggi esso rappresenta la minoranza di quello di opposizione. Ma soprattutto: siamo davvero convinti che l'idea di un'alleanza sinistra-centro, intesa come alleanza Pds-Ppi, sia una prospettiva realistica di rivincita contro Berlusconi e i suoi? Non è certo questa, oggi, la prospettiva di cui si discute, a piazza del Gesù. L'ipotesi prevalente è un'altra,
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