{)!LBIANCO ~ILROSSO OrfSSOHrJ Cattoliciin«diaspora», peraffermare i confini tra Dio eCesare ' E uno dei costumi deteriori della sinistra italiana quello di ripiegarsi sugli insuccessi e intristirci sopra, senza analizzare la situazione in cui è avvenuta la sconfitta. Le ultime elezioni politiche sono state segnate dall'attacco concentrato delle forze moderate, attacco condotto con i mezzi tradizionali della persuasione ecclesiastica e con l'affascinamento televisivo. Va tenuto conto che in appoggio a Berlusconi sono scese in campo le stesse forze che appoggiavano la Dc, per difendere i propri interessi e tutelare i privilegi acquisiti. Quando la mia parrocchia accolse nei propri locali un dibattito del candidato di Forza Italia e rifiutò altrettanto al candidato del Partito Popolare; quando un amico parroco mi disse che era stato «autorevolmente» invitato ad appoggiare Forza Italia; quando la televisione riprese Berlusconi pre-elettorale in visita a delle scuole cattoliche, potevano ancora sussistere dubbi sul cavallo vincente? L'organizzazione capillare ecclesiastica e/o opusdeista ha in Italia una forza - lecita e illecita - tale da non creare illusioni su chi avrebbe vinto le elezioni. D'altronde la struttura ecclesiastica ha bisogno per la sua sopravvivenza «materiale» del sostegno «corposo» di uno Stato italiano acquiescente e accondiscendente. Per il «bene» della Chiesa, quindi, si possono anche fare delle scelte contrarie alla coscienza. Tutto al maiorem Dei gloriam. A questo sistema perverso ci si contrappone rifiutando la concezione errata del cattolicesimo come forza polidi Vilma Occhipinti tica. Fino a che non avremo discernimento preciso che distingua ciò che è della fede e ciò che è dell'impegno politico, continueremo ad avallare l'intervento e il peso della Chiesa nelle questioni di politica italiana; permetteremo ancora di far pesare in modo determinante le indicazioni ecclesiastiche sul voto politico. Non è stato raccolto e divulgato l'appello di quegli studiosi - tra i quali molti teologi - che da tempo affermano: il fatto di essere cattolico non ha alcuna valenza politica, non qualifica politicamente il credente. Quando si rivendica l'appartenenza cattolica in ambito politico è per affermare una presunta competenza e un improprio titolo di rappresentatività utili soltanto per fare carriera politica. Quanto poi ai credenti che stanno nei partiti della sinistra, l'appartenenza cattolica è spesso fatta valere come merce di scambio, come ricatto vittimistico. Spesso, infatti, l'esclusione dai ruoli dirigenti del partito non veniva considerata alla luce dell'incompetenza, ma si pretendeva dipendesse dall'appartenenza religiosa. E gli «alti» funzionari mollavano. Quanti abbiamo visto salire prestigiose carriere politiche, spesso incompententi, inadeguati, spenti, sì, ma cattolici. Sono convinta da tempo che la dicotomia fra cattolici e sinistra è inquinante e va superata. Una dicotomia, tra l'altro, impiegata soltanto - ed è significativo - per la sinistra. Della Pivetli nessuno dice che è leghista e cattolica; ci si limita a registrare che è cattolica perché esibisce la sua fede «spudoratamente». Credo che soltanto facendo chiarez57 za su questo punto - la necessità di distinguere i piani della fede e della politica (distinguere e non separare radicalmente) - potremo liberamente, credenti e non credenti insieme, cattolici, ebrei, musulmani, buddisti, atei, ripensare e programmare una politica della solidarietà e della convivenza fra diversi, una politica i cui valori si impongono per evidenza razionale e non per ragioni di appartenenza. Se credono o non credono, e in che modo eventualmente credono, ciò riguarda il loro modo personale di essere; è la precomprensione che certo guiderà il loro agire politico, ma non lo qualificherà in modo specifico. Una tale prassi di chiarezza - la fine della con-fusione fra piani diversi - avrà anche la positiva conseguenza che ogni intervento ecclesiastico nel campo delle scelte politiche perderà quel minimo residuo di crebilità e di ascolto che ancora può darsi gli rimanga. Naturalmente è fuori discussione la libertà della Chiesa a intervenire nelle cose che sono «di Dio», diritto-dovere da tutelare, anzi promuovere. La distinzione dei piani avrà per ulteriore conseguenza il rifiuto netto e irreversibile - in nome della fede professata e per il suo disinquinamento da ciò che è «di Cesare» - di usare il termine cristiano per definire una parte politica. È evidente che per me è positiva la cosiddetta diaspora: i credenti rendano testimonianza alla propria fede in tutti i partili possibili, sapendo che certi valori, per loro fondamentali e irrinunciabili, sono spesso affermati e difesi politicamente da non credenti in modo più efficace che dai credenti.
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