Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 52 - luglio 1994

prio avanzare tali argomenti nei confronti di chi ha avuto, per definizione, la più ampia legittimazione popolare, dall'altro non aiuta affatto l'acclimatamento alla nuova fase della nostra storia politica impedendo il salto culturale di cui c'è effettivamente bisogno. Evocare un'altra destra sa molto di «mondi virtuali» e, oltretutto, distrae dal!'obiettivo di conquistare l'elettorato centrale che di questa destra non è soddisfatto. 2. Passando alla questione dell'identità delle forze che si candidano al futuro governo del paese, ci si deve limitare ad alcune per brevi battute. Innanzitutto, non mi pare ingiustificato dire che tali forze dovrebbero sfruttare fino in fondo il periodo di tempo (che potrebbe essere di anni) che separa dal prossimo scontro elettorale nazionale, senza la nevrosi della «rivincita», che peraltro, ha già prodotto delle storiche gaffes. In secondo luogo bisogna abbandonare i falsi problemi, come quello del- !' ordine con cui bisogna ricercare i programmi ed il leader. È fin troppo evidente l'identificazione tra una prospettiva politica e la persona, insieme al gruppo, che quella prospettiva incarna. Senza la credibilità e la responsabilità personale nessuno può garantire che anche il migliore programma verrà coerentemente attuato. In terzo luogo è necessario evitare la «sindrome del pendolo», l'idea cioè che si possano modificare le alleanze, nel giro di pochi giorni, senza offrire una chiara spiegazione al!'elettorato e senza denunciare l'errore della linea politica che la precedente alleanza intendeva rappresentare. È per questo motivo che, in questo momento, non {'!J., BIANCO OIL, ILROSSO • •11 ._'ffl• a ,1 ha senso né immaginare corteggiamenti reciproci tra i soggetti che sono all'opposizione, né ritenere che la prospettiva di un partito democratico sia dietro l'angolo. L'incontro Ira più soggetti ancora alla ricerca di una precisa identità non rende cerio le identità più nitide. Ciò non toglie che si debbano mantenere apertissimi i canali della comunicazione programmatica, del dibattilo, nonché, come ho detto, che si lasci aperta la possibilità di iniziative comuni sul modello referendario, ma che, dovremmo averlo capito, ormai, non possono tradursi automaticamente in maggioranze di governo. 3. Per ciò che riguarda, infine, il modello organizzativo interno (prescindendo cioè dal tema dei rapporti Ira i soggetti di differente tradizione o collocazione e, quindi, dal problema del partilo unico, federazione, alleanza elettorale, ecc.), credo si dovrebbe diffidare dal!'assolutizzazione di due critiche alla forma-partito tradizionale: quella dell'eccesso di verticismo e quella dell'eccesso di organizzazione. Intendiamoci, sia la sclerosi dei gruppi dirigenti che il «partilo dei funzionari», sono modalità organizzative da mandare in soffitta, ma non si può certo contrapporre ad esse l'idea di un spontaneismo assoluto o dell'improvvisazione organizzativa. La parabola di Ad è in questo senso tristemente esemplare. In questo senso, a parie la diffidenza verso il modello post-partitilo di organizzazioni come Forza Italia, che lascia seri dubbi sul rispetto del «metodo democratico» di cui all'ari. 49 della Costituzione, mi permetto di avanzare qualche perplessità sullo stesso modello del movimento refe48 rendario, che, rispetto all'attività continuativa di un partito, presenta due fondamentali differenze: da un lato, data la previa selezione del tema, peraltro unico, di mobilitazione, il referendum non necessita di una articolata fase di preparazione programmatica, in secondo luogo, data la struttura rigidamente alternativa del quesito che ne è oggetto, esso non richiede un lavoro di mediazione decisionale successivo. Non a caso, il movimento referendario si è dimostrato debole proprio nei momenti in cui si è resa necessaria la mediazione parlamentare, alla inadeguatezza della quale si deve, infatti, la brutta legge elettorale della Camera. Per queste ragioni anche la scelta del modello organizzativo va ponderata con attenzione, soprattutto perché essa deve mediare tra l'esigenza di collegamento sempe più stretto Ira rappresentanti e rappresentanti e la minore disponibilità alla militanza ed alla mobilitazione continuata da parte dei cittadini. I principi guida, dunque, nell'organizzazione, dovrebbero essere quello di realizzare il massimo di identità tra titolarità della responsabilità politica e titolarità di quella partitica, insieme a quello di economizzare le richieste di mobilitazione, attraverso una concentrazione qualitativa e quantitativa dei momenti di coinvolgimento degli aderenti. Il resto della vita del!'organizzazione dovrebbe essere rivolta a garantire che la permanente struttura, ridotta all'essenziale, possa lavorare «inrete» con coloro che offrono, a tempo parziale e secondo competenze professionali preesistenti, propri contributi volontari.

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