Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 52 - luglio 1994

apparse solo come l'altra. faccia della difesa di un sistema di oligopolio che non costituisce certo il migliore dei mondi possibili. Ma il contributo da offrire al completamento del tragitto verso la Seconda Repubblica non si ferma qui. Esiste un problema relativo alla cultura dell'alternanza che non si può sottacere. Esso si esprime su due piani. Quello della società civile e quello della politica. Sotto il primo è fin troppo banale dire che un sistema politico come quello auspicato ha bisogno di un contesto civile ben preciso, nel quale al cittadino venga garantito uno status definito, cui fanno capo diritti e doveri comuni, che prescindono dalle mutevoli maggioranze di governo, cosicché esso possa rivolgersi alle amministrazioni pubbliche senza il timore di subire un trattamento discriminatorio o, semplicemente, di non ricevere risposta. Mentre, infatti, con un certo paradosso, si può dire che una democrazia consociativa poteva, forse, permettersi un alto tasso di inefficienza, di clientelismo, di parzialità, perché la cogestione della cosa pubblica consentiva, alla fine, il rispetto di uno standard minimo di vantaggi, anche per gli «esclusi», una democrazia maggioritaria non potrebbe tollerare un tale stato di cose senza dei seri rischi per la materiale convivenza tra i differenti gruppi sociali. Tanto più per il periodo attuale, che non è certo di «vacche grasse» per lo Stato sociale. In questa luce non è qualunquistico o snobistico affermare che non potremomai dirci una democrazia occidentale compiuta fino a quando non avremo aggiunto una qualità della cittadinanza pari a quella delle società al cui novero ci vantiamo di appartenere. E che siamo ancora lontani da tale traguardo è tristemente dimostrato dal fattoche quella che doveva essere una battaglia tipicamente «progressista», rivolta alla affermazione della parità nei diritti di cittadinanza, della legalità (intesa in tutte le sue dimensioni, come certezza del diritto, come effettiva possibilità di ottenere giustizia per i torti subiti, come difesa dell'arbitrio {) .!J, BIANCO ~ILROSSO 11 Xf)--1è 11 HIl dei pubblici poteri o di quelli criminali) e del buon andamento della amministrazione pubblica, è stata parodiata, semplicisticamente, ma con indubbia capacità, sotto le parole d'ordine di liberismo e di efficientismo, divenendo il miraggio (lo preferisco al presidenziale sogno) del «nuovo che avanza». Tutto ciò è, infatti, il segno che l'opinione pubblica il disagio lo ha effettivamente percepito, in anticipo rispetto agli stessi soggetti politici tradizionali, stabilendo un'equazione, forse inconsapevole, tra novità politicoistituzionali e necessità di un aggiornamento della fillosofia dei rapporti tra Stato e cittadino. Il fatto che la conseguenza sia stata quella che è stata, dimostra solo le difficoltà di una risposta più complessa che, c'è da augurarsi, le altre forze in campo avrebbero voluto offrire. Né la tesi opposta appare fondata. Ritenere, cioè, che la maggior parte degli italiani abbia preferito la destra semplicemente perché garantirebbe lo statu quo e rinverdirebbe il vecchio compromesso tra inefficienza ed irresponsabilità mi pare tanto miope da 47 non meritare commento. Del resto, per concludere la digressione, le recenti elezioni amministrative dimostrano proprio che l'elettorato è molto più travagliato di quanto non si vorrebbe credere. Per quanto riguarda la cultura politica adeguata ad una democrazia dell'alternanza, tutti, destra sinistra e centro, debbono fare ancora molta strada. Non si tratta certo di assecondare le affermazioni propagandistiche secondo cui la vera opposizione sarebbe quella di chi «non disturba il manovratore», ma bisogna sinceramente riconoscere che anche quello è un mestiere da apprendere, il quale necessita prima di tutto di un diverso atteggiamento culturale, che cominci dal linguaggio. Citerò un semplice esempio che mi pare indicativo. Tra le espressioni ricorrenti nella pubblicistica dell'opposizione, soprattutto progressita, vi è quella di individuare la prospettiva del governo che si propone in una «alternativa democratica». Ora un tale concetto mi ha sempre lasciato un po' perplesso, perché quel- !' aggettivo «democratica» suona doppiamente ambiguo: da un lato perché potrebbe intendersi nel senso che si considerino le forze, rispetto a cui ci si dichiara alternativi, non del tutto democratiche, dall'altro perché, se riferito effettivamente a sé stessi, esso rischia di sembrare una sorta di, non richiesta, autolegittimazione, che, mentre pretende di segnare una differenza rispetto ad ipotesi di alternative «antidemocratiche», tradisce un antico complesso. Con la conseguenza che tali affermazioni finiscono per evocare lo spettro che vorrebbero allontanare! Ed anche quando si parla degli avversari (al di là dello specifico problema di Alleanza nazionale), il tentativo di contrapporre una destra buona, ma che non c'è, alla destra che c'è, ma che non offrirebbe piena garanzia democratica, evoca, involontariamente, ma inevitabilmente, l'idea di una accettazione condizionata del gioco dell'alternanza. Ciò, da un lato, si ripercuote, come un boomerang, su chi tali riserve avanza, apparendo, cioè, non conforme alla logica democratica pro-

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