Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 52 - luglio 1994

{)!LBIANCO a-l..ILROSSO 1111 ;.'f•fl HIl Innanzituttosalvaguardare la formademocraticdaellapolitica a traccia del dibattito pro- L mosso da questa Rivista offre due spunti per analizzare la situazione del paese: il passaggio dalla cosiddetta Prima alla cosiddetta Seconda Repubblica e la fine della unità politica dei cattolici. Mi soffermerò sul primo dei due aspetti, richiedendo il secondo tema una trattazione ad hoc impossibile in questa sede. Sia consentita solo una considerazione: qualunque cosa si pensi della fine di un partito dei cattolici una cosa è certa: da credenti si potrebbe essere preoccupati di ciò solo se essa avesse coinciso con una significativa e quantitativamente documentabile crisi del sentimento religioso. Un tale automatismo non mi pare sia affermabile per il presente, né incombente per il futuro. Quanto al primo aspetto, seguendo la falsariga dell'editoriale del n. 51 della Rivista, si possono individuare tre livelli: il completamento del processo riformatore, l'identità politica dell'opposizione che si propone come alternativa di governo, la forma organizzativa di questo/i soggetto/i. 1. Il primo punto, in realtà, solo in parte riveste un'autonoma consistenza, poiché non v'è dubbio che alcune proposte di riforma concorrono a determinare la carta d'identità programmatica dei soggetti dell'alternativa e riguardano, dunque, i contenuti delle proposte di governo. Ma c'è un aspetto rilevantissimo, che va trattato autonomamente, ed è quello delle garanzie istituzionali nella democrazia dell'alternanza. Garanzie che, va detto con chiarezza, non di Giovanni Guzzetta servono a tutelare solo l'opposizione, e l'opposizione di oggi, ma che valgono nei confronti di tutte le minoranze e, più in generale, nei confronti di tutti i cittadini. Dovrebbe essere superfluo ricordare che il nostro non è solo uno stato democratico, ma è anche uno stato liberale, nel quale cioè la maggioranza non può tutto, ma solo ciò che le è consentito nei limiti dei diritti intangibili che ai singoli ed ai gruppi sociali sono riconosciuti. Detto questo, va subito aggiunto che la sottovaluta46 zione degli elementi di garanzia è stato un errore del movimento riformatore, e referendario in particolare, sul quale bisogna fare autocritica. La preoccupazione di imprimere una svolta nel senso del!'efficacia decisionale e della responsabilità politica immediata dei Governi ha fatto perdere di vista l'esigenza di predisporre dei contrappesi adeguati a tale rafforzamento. Non si tratta dunque di demonizzare i vincitori, ma di constatare che lo squilibrio era genetico e che il risultato elettorale lo ha, per le ragioni che sappiamo, semplicemente accentuato. In questo senso esiste uno spazio per recuperare un'iniziativa di tipo trasversale sul modello del movimento referendario volta a rafforzare gli istituti di garanzia del gioco democratico. Per tale iniziativa vanno cercati i più larghi consensi in ogni direzione e possono ritrovare spazio quelle voci che si sono cartterizzate per lealtà e coerenza nel perseguimento degli obiettivi di riforma. Da questo punto di vista è necessario riuscire a separare questo piano, da quello della competizione politica in senso stretto. Non è un caso, ad esempio, se il problema delle concentrazioni radiotelevisive è stato fortemente sottovalutato dall'elettorato. Di quel problema, infatti, è stata offerta una interpretazione prevalentemente partigiana, in funzione della polemica politica. Nessuno è riuscito ancora a conquistarsi la credibilità sufficiente per elevare il tema alla dignità di una questione generale, di garanzia per tutti, e così, anche le legittime contestazioni degli abusi, sono

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