Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 52 - luglio 1994

razionalità vorrebbe si pensasse, per quelle decine di migliaia di espulsi o di cassintegrati, a posti di lavoro diversi, creando cioè la disponibilità e la possibilità concreta di cambiar mestiere, cercando di superare la convinzione diffusa, dentro e fuori i sindacati, che sia un diritto acquisito per sempre il poter occupare l'identico posto di lavoro per tutta la vita; 4) a favore di questa prospettiva stanno anche due motivazioni fondamentali e universali (che tutti conosciamo benissimo ma di cui si parla troppo poco, o se ne parla soltanto in convegni di intellettuali, non in sedi direttamente politiche o sindacali, dove, al più, ci si contenta di citazioni rituali, come atti dovuti, poco più che retorici): l'inquinamento ambientale, di cui l'industria e le macchine sono la causa primaria; l'impossibilità materiale di esportare il nostro modello di sviluppo economico e di vita in tutta quella parte del mondo che seguitiamo, per inerzia, a chiamar Terzo. Con la non simpatica conseguenza che, di fatto, foss'anche inconsciamente, noi siamo sempre convinti che il nostro enorme privilegio occidentale - il 20% dei viventi consuma 1'80% delle risorse disponibili - sia scritto nelle stelle e non debba essere messo in questione. Sotto questo profilo i Cristiano Sociali dovrebbero porsi fra i loro obiettivi più immediati quello di verificare che cosa è successo, e succede, nelle scuole di formazione politica e sociale, istituite e promosse ormai da alcuni anni in moltissime chiese locali, su istruzioni della Cei. È evidente il loro fallimento o la loro «scarsa efficacia» (A. Monticone sul Popolo del 21 giugno) ma chi crede, come i Cristiano Sociali, in una presenza specifica dei cattolici nella politica italiana, non può non avere in quelle scuole un terreno importante sul quale misurare molte cose: rapporto fra istituzione ecclesiale e partito di Berlusconi (se cioè la Chiesa, o parte di essa, è già orientata a cambiare cavallo); privilegio tuttora concesso, o no, ai «popolari», ossia si cerca ancora, o no, l'unità partitica; attenzione ai problemi sopra indicati; persistenza, o attenuazione, del .vf~ ' y~ '·'' '.'"" fi•-: ~ ,_;.ri.:·1( y~( '~ ( '- ' {)!.LBIANCO ~ILROSSO iftfAAOHiJ pregiudizio sfavorevole alla sinistra in genere e al Pds in particolare. Insomma di quelle scuole - iniziativa recente e, almeno a stare ai dati ufficiali, per nulla fallita sul piano quantitativo della partecipazione, soprattutto in alcune diocesi - la Chiesa che cosa vuol farne? Una sede di ricerca o di mera ripetizione che rischia di mordere il vuoto? Preparazione al «nuovo», ma a quale «nuovo»? Direi che, ben oltre la questione delle scuole di formazione politica, un'altra verifica dovrebbe essere posta ali'ordine del giorno dei Cristiano Sociali. C'è una divaricazione, o no, fra la riflessione del magistero, soprattutto pontificio, da una parte, e prassi pastorale, dall'altra? A me pare proprio che ci sia, e anche evidente, se appena ci si sofferma un poco l'attenzione. Spero non sia necessario chiarire che pongo simili questioni non perché pensi a una sorta di avallo gerarchico da acquisire per i Cristiano Sociali (anche se mi guardo bene dal sottovalutarne l'eventuale significato, attuale e potenziale) ma perché mi sembra importante che la gerarchia vaticana e italiana sia «costretta» a misurarsi con la realtà, in particolare con certe contraddizioni interne: «costretti», voglio 44 dire, a pensarci su, a non dare nulla per scontato con la ripetizione rituale, prima di risolvere (o illudersi di) tutto cambiando cavallo e buttando a mare la tradizione cattolico-democratica del nostro Paese. A me preme assai che la seduzione berlusconiana su una parte cospicua dei cattolici italiani sia vinta; ma penso a che questo scopo, politicamente e moralmente necessario e sacrosanto, non si possa conseguire mediante il rafforzamento del cosiddetto polo progressista (parola ambigua, cos'è vero progresso? per esempio a proposito dell'esempio Fiat, fatto sopra?), con soluzioni più o meno diplomatiche, o d'immagine (come sarebbe l'esclusione e l'isolamento, su cui troppo si insiste, di Rifondazione Comunista). Né m'illudo che la sconfitta della presente maggioranza possa venire dalla costituzione di un «grande» partito democratico di sinistra, dotato di una componente dichiaratamente e visibilmente cristiana. No, o questo partito immaginato disporrà di una cultura adeguata nel senso che ho cercato di dire o sarà uno sforzovano, destinato a non riuscire nell'intento. Già, il programma prima e più che gli schieramenti, per dirla nel linguaggio politico corrente. E sul programma tutte le forze del cosiddetto polo progressista si presentarono largamente deficitarie, nessuna esclusa. Nemmeno si tratta di aspettare che le promesse determinanti la seduzione berlusconiana, milioni di posti di lavoro, riduzione delle tasse ecc., si dimostrino, alla prova di un anno, false. Certo, non si tratta neanche di chiedere, invece, lacrime e sangue. Occorre un'operazione molto più complessa e difficile, diciamo pure una rivoluzione culturale: la predisposizione di una cultura in grado di far proprie, e di mantenere, quelle ed altre promesse, ma seguendo modi e metodi del tutto diversi. La novità vera è qui; il «nuovo» che ha avuto partita vinta nel '94 è solo apparenza, sostanzialmente è vecchio a causa della cultura che gli sta dietro, condizionata da un economicismo industriale. «Azienda Italia»: espressione spaventosa e corruttrice perché la logica che go-

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