{)!LBIANCO ~ILROSSO 111 a-.··aso ;1 AttuarelaCostituzioneR.ipensare l'economiian«austeritàm»ondiale e he il raggruppamento, o partito, dei Cristiano Sociali esista è certamento un fatto positivo, e forse necessario. A condizione che esso si muova, ad un tempo, in due direzioni diverse, anche se non opposte. Da un lato, far sì che la propria stessa presenza sia un ostacolo, o quanto meno una remora, a che i «Popolari», o parte di essi, non finiscano per gettarsi nelle braccia di Berlusconi; braccia accoglienti e promettenti - basta pensare alla forza seduttrice dei finanziamenti promessi alla scuola cattolica - ma sostanzialmente infide perché tutt'altro che disposte ad ammettere, diciamolo in gran sintesi, che un certo modo di concepire la vita economica e sociale porta diritto alle «strutture di peccato» denunciate dal Papa (a me fa un'impressione fortemente negativa, per esempio, quel- !' accento insistito del Presidente del Consiglio sulla parola «individuo»: segno indiscutibile, tra l'altro, della sua ignoranza in ordine al dibattito nel pensiero cattolico, a cominciar da Mounier, sulla distinzione, fondamentale, fra individuo e persona). Dall'altro lato, i Cristiano Sociali possono, anzi dovrebbero, lavorare perché al discorso sull'unità delle sinistre, o polo «progressista» che dir si voglia, si sostituisca un discorso più serio, più impegnativo, più rivolto al futuro, su che cosa possa e debba significare sinistra e socialismo in questa società, alla vigilia del nuovo secolo e del nuovo millennio, dopo l'esperienza fallimentare dell'Urss e dell'Est di Mario Gozzini europeo; cioè su come si possa e si debba costruire una società in cui lo spazio (e le dinamiche) delle «strutture di peccato» sia ridotto al minimo. La duplice e convergente azione politica, ora sommariamente accennata, presenta, a mio parere, un aspetto primario di ordine prepolitico, culturale. Vedo, in altri termini, l'esigenza di rimettersi a studiare, senza limitarsi, per esempio, a declamare il principio, e il bisogno, della solidarietà: si tratta, cioè, di capire in quali modi, data questa società dominata dall'ideologia strisciante del Pil, del produttivismo e del consumismo - l'uomo vale per quanto produce e per quanto consuma -, in quali modi, dicevo, il principio e il bisogno della solidarietà possano, 43 e debbano venir tradotti in strutture economiche, sociali, politiche adeguate alle caratteristiche della società in cui ci troviamo a vivere. È probabile che i modi del passato anche recente, legati soprattutto alla cultura e all'azione del partito democristiano, vadano riconosciuti ormai del tutto inadeguati, in sé e per sé, non soltanto per la corruzione e le degenerazioni tangentistiche. Si tratta cioè di cominciare a chiedersi, per esempio, se l'economia fondata sullo sviluppo industriale possa rappresentare un modello ancora valido o non abbia in sé, invece, ineluttabilmente, un germe di morte, un'assenza di futuro. Ricordo che questa domanda, o problema, assillava Claudio Napoleoni nei suoi ultimi anni, quando parlava, per esempio, di «meccanismo che nessuno domina e da cui tutti sono dominati». E questa domanda, o problema, basta enunciarla per rendersi conto di quanto siamo lontani, cattolici e non, da una risposta, o soluzione, appena appena soddisfacente. In definitiva, per un'entropia culturale finora irresistibile, tendiamo tutti a pensare che la disoccupazione vada affrontata in primis rilanciando l'industria; che gli espulsi, i cassintegrati della Fiat (e di altre officine) debbano venir riassorbiti da una stessa Fiat che riesca a riconquistare con i suoi prodotti, le sue macchine, le quote perdute del mercato. Non ci passa nemmeno per la testa di tener nel debito conto le circostanze seguenti: 1) già ci sono anche troppe macchine in circolazione; 2) il progresso tecnologico espellerà sempre più lavoratori dalle fabbriche; 3)
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