{).!J, BIANCO '31LILROSSO OXfAAOHII Senzaillusionicentriste conunaanalisicomunedell'oggi N el passaggio politico che stiamo vivendo, come ci propone e suggerisce Pierre Camiti invitandoci a intervenire su questo numero de Il Bianco & Il Rosso, si intrecciano strettamente due questioni: la questione della continuità-discontinuità, riassunta nella diatriba linguistica (dalla prima alla seconda Repubblica o dalla prima fase alla seconda della Repubblica?); la questione di un ruolo sia pure profondamente mutato, dei grandi soggetti popolari, che hanno caratterizzata la prima fase, e delle loro culture politiche, e in particolare della presenza cattolica. L'orizzonte politico ci offre infatti una destra vincente che sembra rimuovere come fastidiosa o addirittura rigettare l'eredità ideale del quarantennio, inchiodando una grande storia democratica tutta e solo ai pur veri limiti partitocratici e alla inefficienza delle risposte del sistema propria dell'ultimo quindicennio. Si tratta di una operazione abile e spregiudicata, la cui forza sia nel rapporto fra transizione italiana e carattere della crisi mondiale e che rileggiltima una precisa concezione della politica. Siamo oggi di fronte a una crisi economica e politica mondiale non governata, con una rivoluzione tecnologica (che perciò distrugge lavoro anziché crearlo) con spinte incontrollate crescenti verso una società duale, e perciò caratterizzata da un sempre più drammatico scontro sociale per la sopravvivenza, che provoca paure, gravissimi fenomeni di disgregazione, di Paola Gaiotti de Biase fa prevalere gli umori a difesa degli interessi immediati, arma una competizione diseguale che di fatto rafforza i soggetti forti. Entro i confini nazionali questo rinvia a un quadro in cui, come è consuelo alla destra, il conflitto sociale viene occultato e negato dalla retorica del bene comune, dell'interesse nazionale. L'arroccamento sui propri interessi, sul filo del disagio immediato (e da parte soprattutto di gruppi sociali finora meno politicizzali e meno coinvolti nella partecipazione politica) viene spinto a esprimersi con tecniche rassicuranti entro il quadro della delega, dell'affidamento, del «non disturbate il manovratore», forzando per conseguenza sia i rapporti parlamentari fra maggioranza e opposizione sia le garanzie di autonomia degli altri poteri sociali, dalla magistratura alla informazione. Le ragioni della vittoria della destra stanno qui, nell'intreccio perverso fra i soggetti dell'alleanza di destra (localismi protestatari, nazionalismi, difesa spregiudicata delle rendite di potere nel campo dell'informazione) da una parie e, dall'altra, la condizione psicologica di incertezza e di ricerca di rassicurazione di tanti pezzi di società italiana, l'emergere di una paura del futuro, cui basta per ora essere esorcizzata superficialmente e sottratta alle sfide inedite. E sta qui il suo carattere inquietante. Il problema non è la biografia personale di qualche ministro neofascista, o il tasso di adesione complessiva alla democrazia formale. Il problema è la parentela storico-esistenziale, pure in una situazione cultu36 ralmenle e socialmente del lutto diversa, fra le ragioni che fecero forte il fascismo allora e le ragioni che hanno fatto forte questa destra oggi, in Italia. La sconfitta pone perciò le forze di opposizione drasticamente di fronte alla questione che era rimasta troppo sullo sfondo anche nella costruzione delle alleanze progressiste: la riscoperta e la ridefinzione delle ragioni comuni, politiche di oggi, rispetto a quella storiche, alla difesa e permanenza delle proprie identità, i soggetti della alleanza progressista sono andati di fatto a una intesa (il che certo non è poco), nei comuni e alle politiche, sulla spinta della legge elettorale maggioritaria, ma con uno spirito ancora fortemente proporzionalislico. Questa illusione di poter tutelare le variabili interne come tali entro il sistema maggioritario non ha solo segnalo lo schieramento progressista; è stato alla radice dell'errore capitale di Segni e dei popolari. E bisognerà pur dire con più forza che la sconfitta dei valori dell Prima Repubblica passa di qui: è la mancala costruzione di un accordo, anche solo elettorale, l'illusione, propria del centro, di una astratta equidistanza, il vero fattore decisivo della vittoria di Berlusconi, cui ha offerto la dottrina della inaffidabilità della sinistra e la forza dei numeri dell'elettorato moderalo. Probabilmente anche questo errore è legalo anche all'imprevedibilità, la rapidità dei tempi della discesa in campo della Fininvest. Ma la determinazione che ha guidato quella decisione non è stata che una conferma della natura del conflitto politico, della sem-
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