Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 52 - luglio 1994

{).!J., BIANCO ~ILROSSO 1111 # 180 Cattolici:dall'unitàpolitica versol'unitàstrategica iviamo un tempo di così V profonde e accelerate trasformazioni che perfino il linguaggio non riesce a seguire. A volte, infatti, usiamo espressioni - è il caso di «seconda Repubblica» - che designano una realtà che non esiste ancora ma che è già annunciata; altre volte continuiamo a tenere in vita espressioni - è il caso di «unità politica dei cattolici» o «partito dei cattolici» - che non hanno più nella società un corrispettivo reale. Somigliano piuttosto ad una cicatrice linguistica che sta lì ad indicare qualcosa che un tempo aveva una sua consistenza. Il fatto però che oggi non si possa più parlare di unità politica dei cattolici - se non come di una realtà residuale che è tuttavia fisiologica a qualsiasi fenomeno di deperimento - non vuol dire incoraggiare la cultura della diaspora che appare già troppo facilitata da una situazione di alta frammentazione sociale. Che fare, allora, da cattolici in politica? A questo interrogativo fondamentale vorrei rispondere non in maniera sostanzialistica (dicendo che cos'è o che cosa non è il partito dei cattolici, oppure ipostatizzando una qualche realtà oggi inesistente) ma in maniera processuale, dinamica, di percorso. E riassumerei tutto, per brevità, in questi tre «passaggi» i cattolici ritrovano la loro unità: a) nel comune impegno per la ricostruzione del civile cattolico; b) nella comune risposta alle grandi sfide che vengono oggi dal paese di Luigi Bobba (la sfida dell'informazione, dell'occupazione, della nuova cittadinanza, del diritto alla vita, del pluralismo democratico ... ) e in particolare dell'unità e dell'identità nazionale; c) nell'avanzare una proposta unitaria di riforma dello Stato che sia improntata al recupero dei valori del federalismo e della sussidiarietà che sono patrimonio irrinunciabile del pensiero sociale cristiano nel nostro Paese. Certamente la ricostruzione del civile cattolico non è esente da pericoli, primo dei quali qµello di riproporre in vesti nuove una versione di integralismo. Tutto è legato alla finalità e alle modalità con cui si procede alla ricostruzione del civile cattolico. L'esperienza storica che abbiamo alle spalle e il patrimonio di conoscenza che portiamo con noi dobbiamo saperlo valorizzare in questa fase per non ripetere errori del passato. In questa fase di profonda crisi del sistema politico-istituzionale e di forte discontinuità della tradizionale appartenenza politica dei cattolici, si apre per tutti i soggetti del civile cattolico u!la stagione di ricostruzione che deve fondarsi, se vuole essere veramente feconda, su una valutazione condivisa delle ragioni che hanno portato alla crisi, su una diagnosi approfondita della situazione presente, su una comune prospettiva di azione per il futuro. Questa stagione dovrebbe essere vissuta anzitutto come una grande occasione di rinascita culturale e spirituale, senza la quale non si avrà alcuna novità nella proposta politica. Ricostruire il civile cattolico è un 17 obiettivo obbligato in questo momento di svolta politica del paese, ma lanatura di questo impegno è dato dal «metodo» che presiederà e regolerà il processo di ricostruzione. Negli anni passati sono già stati tentati e sperimentati processi analoghi, anche se in contesti storici e politici del tutto diversi. Pensiamo al tentativo di «Ricomposizione dell'area cattolica» che trovò in Padre Bartolomeo Sorge una figura di stimoloe di coordinamento. Ciò che si vuole oggi è però qualcosa di sostanzialmente diverso a causa della «discontinuità» che ha segnato l'esperienza politica dei cattolici come mai era capitato prima d'ora. Dobbiamo prendere atto della dissolvenza della tradizionale forma-partito e contribuire anche noi ad immaginare le nuove forme di organizzazione del civile. È vero che i partiti tradizionali hanno svolto un ruolo fondamentale poiché grazie ad essi i cittadini si sono sentiti parte di uno Stato altrimenti estraneo e lontano. È altresì vero che i partiti democratici di massa hanno supplito a forme di associazionismo ancora insufficientemente sviluppate ed autonome. Il non avere però colto ciò che di nuovo maturava nella società civile ha favorito la formazione di un «cetopolitico» distante dai bisogni della società, fino a trovare nell'uso spregiudicato del potere una fonte di autoriproduzione. D'altra parte, una democrazia matura non può vivere solo di partili e neanche solo i movimenti e di associazioni che si limitino- gli uni e gli altri

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