ISS 1120-7930- SPED.ABB. POST. 50% ROMA ~!LBIANCO l.XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Arrivederci! e PierreCarniti on questo numero, che è il cinquantaduesimo della serie, «IlBianco & Il Rosso» conclude le proprie pubblicazioni. Dal prossimo autunno sarà sotituito da una nuova iniziativa editoriale che avrà la funzione di contribuire, attraverso la larga aggregazione di forze, all'approfondimento della cultura e della proposta politica progressista. La politica italiana è entrata infatti in una nuova fase ed ha bisogno di nuove 52 ANNOV0 • LUGLIO1994• L.3.500
Pierre Carniti Giorgio Tonini Stefano Ceccanti Pierre Carniti GianniBagetBozzo Augusto Barbera Augusto Battaglia Giovanni Bianchi Luigi Bobba Mario Brutti Raffaele Cananzi Gian Primo Cella Alessandra Codazzi Giovanni Colombo Riccardo Della Rocca Sergio Fabbrini Vittorio Ferla Romano Forleo Paola Gaiotti de Biase Giuseppe Gervasio Laura e Paolo Giuntella Mario Gozzini Giovanni Guzzetta Marco Ivaldo Nicolò Lipari Oreste Massari Gianni Mattioli Vilma OcchipinU Gianfranco Pasquino Marco Rizzi Domenico Rosati Vittorio Sammarco Gianfranco Solinas Giovanni Tassani Salvatore Vento Pierre Carnlti Rino Caviglioli Pierluigi Mele IN QUESTO NUMERO EDITORIALE Arri vederci! ATTUALITÀ La sinistra con il centro: non una somma tra identità separate L'opposizione e l'iniziativa riformista: ora o mai Flessibilità di lavoro e salario? Da noi ci vuol altro DOSSIER Passare il guado: verso dove? Uninominale a un turno: garanzia vera per il Pds L'alternanza si prepara convergendo senza integrismi Il vero nuovo si costruisce sugli urgenti bisogni sociali Nuove ragioni per la democrazia italiana Cattolici: dall'unità politica verso l'unità strategica Transizione. Certo, ma ben oltre le incertezze e le nebbie attuali Rivitalizzare la Costituzione per animare saggiamente il «nuovo» Nella transizione lunga un ruolo essenziale spetta anche a noi Recuperare, ovunque siamo, il senso di responsabile coscienza etico-politica pag. 1 pag. 5 pag. 8 pag. 9 pag. 12 pag. 13 pag. 14 pag. 15 pag. 17 pag. is pag. 20 pag. 22 pag. 24 Per un futuro credibile: il «Rosso»ripensato, il «Bianco» purificato pag. 25 Perché il nuovo non sia vecchio: il contributo di energie cattoliche pag. 26 Quale alternativa alla destra-centro? pag. 29 Tempi nuovi anche per la pastorale sociale della Chiesa pag. 31 Oltre la morte della Dc le opzioni unificanti dei cristiani in politica pag. 33 Senza illusioni centriste con una analisi comune dell'oggi pag. 36 Per un «terzo polo» ispirato ai valori: personalismo e solidarietà pag. 38 Impegno, solidarietà, valori: tre leve per risalire la china pag. 39 Attuare la Costituzione. pag. 43 Ripensare l'economia in «austerità» mondiale Innanzitutto salvaguardare la forma democratica della politica pag. 46 Riflessioni sulla cittadinanza pag. 49 Premesse per un nuovo impegno politico pag. 50 Un nuovo soggetto maggioritario oltre il riflusso neo-liberista pag. 52 Oltre la società dei consumi pag. 55 un recupero del primato dei bisogni reali Cattolici in «diaspora», per affermare i confini tra Dio e Cesare pag. 57 Progressisti e Popolari: pag. 58 regole per una opposizione efficace. Da ora La risorsa: concretezza di programmi e chiarezza di leadership pag. 59 Fare insieme una opposizione di prospettiva concreta e solidale pag. 61 Per la nuova stagione: concretezza e forte identità sul territorio pag. 62 Per rifondare la politica ripensare gli spazi del volontariato sociale pag. 64 Imperativo per lutti: superare sul serio la mentalità democristiana pag. 66 Per non ripetere gli errori e gli opportunismi del passato: una alternativa INTERVENTI Povertà dalle molte facce. Conoscerle per rimediare CRISTIANO-SOCIALI NOTIZIE Progressisti: uno schieramento più identità Cristiano-Sociali: la presenza in Parlamento SCAFFALE La parola radicale di Dossetti pag. 67 pag. 70 pag. 72 pag. 77 pag. 78 Le lllustrazionl di questo numero sono di Pablo Picasso
{).!J, BIANCO ~ILROSSO •HP•P>HIJ•M proposte e perciò anche di nuovi strumenti. Nei suoi cinque anni di vita «Il Bianco & Il Rosso» si è impegnato principalmente intorno a due obiettivi. Innanzitutto il passaggio dalla democrazia bloccata alla democrazia dell' alternanza. Cioè da un sistema politico fondato sulla proporzionale e le coalizioni ad uno costruito sul maggioritario e gli schieramenti. Il secondo obiettivo è stato quello di dar vita ad una presenza visibile e significativa di cattolici nel nascente polo progressista. Non c'è dubbio che, malgrado insufficienze, limiti ed errori, un importante pezzo di strada è 3 stata fatta su entrambi i versanti. Ma per andare oltre, come è necessario, c'è ora bisogno di strumenti nuovi e di un impegno più largo ed unitario. È per questo che senza rimpianti (anche se inevitabilmente con un pò di nostalgia) abbiamo deciso di concludere l'esperienza de «IlBianco & Il Rosso» e di unire il nostro impegno a quello di altre forze dello schieramento progressista per dar vita ad una nuova iniziativa culturale e politica di cui si avverte particolarmente il bisogno e l'urgenza. Per i lettori de «IlBianco & Il Rosso» questo, quindi, non è un commiato, ma un arrivederci.
ENEL IL «FAI DA TE» DEI CONSUMI ELETTRICI. Con l'ENELTEL è possibile comunicare direttamente la lettura dei contatori Il sistemo di fatturazione dell'energia elettrico applicato doll'ENEL prevede lo lettura semestrale dei contatori, con emissione· di bollette bimestrali al fine di ripartire in tre rate il costo della fornitura dell'intero semestre. Pertanto, nel corso di un semestre, vengono emessedue bollette «intermedie», seguite do uno terzo di «conguaglio» in base alla lettura dei contatori effettuata dal personale dell'ENEL. Il sistemo di fatturazione risulto, per lo generalità degli utenti, sostanzialmente funzionale in quanto l'entità dei consumi fatturati con le bollette «intermedie» è aderente al consumo effettivo. In un numero limitato di cosi, tuttavia, possono riscontrarsi scostamenti, anche di uno certo entità, tra i consumi determinati o calcolo e quelli effettivi. Ciò può accadere, ad esempio, quando un utente, per cause diverse, modifica i propri prelievi di energia in misuro notevole rispetto olle sue abitudini precedenti, oppure quando non risulto possibile, per lunghi periodi di tempo, rilevare lo lettura del contatore. Al fine di migliorare ulteriormente il sistemo di fatturazione e di consentire oltresì agli utenti che lo desiderino di ricevere, anche nei bimestri intermedi, bollette emesse in base alla lettura effettiva del contatore, l'ENEL mette a disposizione il servizio AUTOLETTURA ENELTEL,mediante il quale è possibile trasmettere direttamente tramite il telefono lo lettura del contatore al calcolatore elettrico dell'ENEL. Le istruzioni per utilizzare tale servizio sono riportate sulle fatture emessenelle aree in cui è stato attivato.
,{)!I~ BIANCO l.XILROSSO ATTUALITÀ Lasinistracon il centro:nonuna sommatraidentitàseparate di Giorgio Tonini - n questi anni ci siamo impegnati per due obietti- I vi: dar vita, anche nel nostro paese, ad una matura democrazia dell'alternanza, che ponesse termine alla lunga stagione del consociativismo proporzionalistico, poi degenerato nel regime della corruzione; e dar vita ad una presenza si- - gnificativa di cattolici democratici nel nascente polo progressista italiano, superando ad un tempo l'unità politica dei cattolici e l'unità frontista delle sinistre sotto l'egemònia comunista . . Checché se ne dica, su entrambi questi versanti abbiamo percorso velocemente un lungo tratto di strada. La democrazia dell'alternanza si è affermata nel paese come un valore. La stragrande maggioranza dei cittadini apprezza il principio di responsabilità (dei governanti dinnanzi ai governati e viceversa) che ne è alla base e ragiona ormai in termini di poli alternativi: due per i più, tre per una minoranza. Al contempo, il polo progressista esiste e non è certo una riedizione del frontismo terzinternazionalista: il comunismo come regime non c'è più, persiste nel cuore di una minoranza come valore utopico, del quale è peraltro differita la realizzazione in un futuro non visibile. L'unità politica dei cattolici è morta e sepolta e si dà anche a sinistra una minoritaria ma non irrilevante presenza di cattolici democratici. Detto questo, sarebbe ingenuo trascurare i 5 problemi che abbiamo ancora dinanzi. La democrazia dell'alternanza è ancora imperfetta: sul piano politico, perché entrambi i poli sono in fase di assestamento, ma anche sul piano istituzionale, ove lo strappo in avanti determinato dalla riforma elettorale non è stato accompagnato dalle riforme istituzionali indispensabili a dare, da una parte, certezza di leadership alle maggioranze (ad es. elezione diretta del premier) e, dal!'altra, garanzie contro la abnorme concentrazione del potere e la conseguente marginalizzazione delle minoranze (meccanismi elettorali protetti per le istituzioni di garanzia e per le modifiche costituzionali, norme anti-trust, garanzie contro i monopoli radiotelevisivi. .. ). Quanto al polo progressista, si tratta indubbiamente di un cantiere aperto, nel quale si intravede a malapena la sagoma del!'edificio che sarà. Non solo (e sarebbe già abbastanza) perché i ProgressisU le elezioni le hanno perse. Ma anche (e forse soprattutto) perché le hanno perse male, sul piano della qualità, più che su quello della quantità dei voti. C'è troppo ex-Pci nel polo progressista e troppo poco del resto. Attenzione: si tratta di un dato ingannevole. Molto voto al Pds è tutt'altro che voto ex-comunista di ritorno: il Pds (Rifondazione è un caso a parte) ha drenato molti voti non-ex-comunisti lucrando sulla sua rendita di posizione di azionista di maggioranza
Dl.L BIANCO ~ILROSSO iiikiiiiii della ditta progressista. Ma il problema resta: di fatto quel voto è stato consegnato in mano ad un gruppo dirigente, questo si, in larga misura excomunista, punendo severamente (certo, non senza molte buone ragioni) le altre forze dell' arcipelago progressista, ridotte tutte, brutalmente, al rango di cespugli sotto la Quercia. Ora è necessariamente dalla Quercia che si deve ripartire. E la partenza che si è vista non è di quelle incoraggianti. Il Pds ricomincia da D'Alema, ossia dal leader che più di ogni altro ha difeso in questi anni il partito. Ed ha concepito il polo progressista come sistema di alleanze tra soggetti politici. D'Alema è stato l'uomo che più ha lavorato per far fallire l'intesa Segni-Occhetto. D'Alema è stato il grande avversario dell'idea stessa di Alleanza democratica. D'Alema è stato l'autore, in Parlamento, del compromesso con Mattarella sulla legge elettorale, pensata proprio in funzione della salvaguardia dell'identità dei partiti. Se il buon giorno si vede dal mattino, un brutto giorno si profila per i Progressisti. Per carità, le vie della politica sono infinite: Reagan il guerrafondaio è stato l'uomo della pace con Gorbaciov. E forse solo un guerrafondaio come lui avrebbe potuto firmare gli accordi sul disarmo senza suscitare apprensioni. Chissà quindi che non possa essere proprio D'Alema l'uomo della seconda svolta, dopo quella della Bolognina. Al momento, le cose non stanno così. A quel che si capisce, D'Alema ha già seppellito l'idea dell'alleanza progressista. Al posto di Rete e Verdi, Cristiano-Sociali e Ad e Psi, tutte forze che egli considera sostanzialmente irrilevanti (purtroppo non senza più di una ragione), D'Alema si preoccupa del Ppi, col quale spera di stringere un'alleanza all'opposizione che diventi lo sgabello per un futuro schieramento alternativo al Polo delle libertà. Non a caso, l'elezione di D'Alema è stata accolta con sollievo negli ambienti del Ppi: essa ha significato l'accettazione del principio del «cuius regio, eius religio». Nel Pds la sinistra, nel Ppi i cattolici: cerchiamo di dialogare, ma senza mettere in discussione i confini tra le forze politiche (e le aree culturali). Una nuova Yalta, o almeno una nuova Helsinki della politica italiana. La sinistra da sola non può vincere, deve allearsi col centro, cioè col Ppi. Quanto alla sinistra, essa «è» il Pds, che deve rinnovare il suo programma, buttando a mare 6 tanto vecchio armamentario, per poter incontrare il centro. Ma di una nuova costituente di una nuova forza politica, di un «Partito democratico» che vada oltre la transizione rappresentata dal Pds e raffigurata da quel simbolo mezzo vecchio e mezzo nuovo, al momento almeno, non si parla neppure. Il progetto di D'Alema è apparso più realistico (e più rassicurante) alla maggioranza del gruppo dirigente (non alla base) del Pds. L'alternativa di Veltroni metteva nel conto una nuova tribolazione, la riapertura di una fase costituente, per far nascere dal Pds, insieme alle altre anime del progressismo italiano, un partito nuovo, quel partito progressista occidentale, kennediano o clintoniano che si voglia, che il Pds, schiacciato sulla sua immagine di partito ex- o post-comunista non riesce ad essere. La nuova costituente per ora è rinviata. Per ora: perché non è detto che D'Alema non possa essere proprio lui, a dispetto di ogni previsione, a promuoverla. Ma al momento la strada scelta è quella di consolidare il Pds e di dar vita, tra nonex-comunisti, alla seconda gamba della sinistra. Una strada tutta in salita. I partiti non si inventano dall'oggi al domani (come insegna l'esperienza di Ad); e non si inventano mettendo assieme capre e cavoli, o dividendo artificialmente le pecore dai capri (perché mettere insieme Visentini e Camiti dovrebbe essere più naturale che mettere insieme Visentini con Visco e Camiti con Trentin?). La strategia della «seconda gamba» della sinistra rischia inoltre di riaffermare sia pure per contrasto, la natura «comunista» del Pds, inchiodando così l'intera sinistra all'egemonia di una tradizione culturale dalla quale essa deve invece finire di liberarsi. La strategia della «seconda gamba» rischia perfino di far rivivere lo schema degli anni '80, con le due sinistre (comunista e socialista) in conflitto tra loro per la conquista dell'alleanza con il centro. Con la non marginale differenza che allora il centro rappresentava la maggioranza dello schieramento di governo, mentre oggi esso rappresenta la minoranza di quello di opposizione. Ma soprattutto: siamo davvero convinti che l'idea di un'alleanza sinistra-centro, intesa come alleanza Pds-Ppi, sia una prospettiva realistica di rivincita contro Berlusconi e i suoi? Non è certo questa, oggi, la prospettiva di cui si discute, a piazza del Gesù. L'ipotesi prevalente è un'altra,
{)!.LBIANCO ~ILROSSO kiikiil•ii quella della riconquista di un ruolo chiave all'interno dello schieramento moderato, quello che è alternativo alla sinistra. Questa è l'ipotesi preferita dalla maggioranza dei dirigenti popolari, caldeggiata dal cardinal Ruini e sostenuta da Kohl. L'ipotesi è quella di premere su Berlusconi perché risolva il problema Alleanza nazionale (ad esempio pilotando la scissione da Fini di un gruppo di oltranzisti missin!) e realizzi un sistema di garanzie contro i rischi da concentrazione di potere. Se queste due condizioni si avvereranno (e non pare impossibile che si avverino), il Ppi entrerà nella maggioranza, compensando un'emorragia missina estrema (Mussolini, Buontempo, ecc.) e il ridimensionamento leghista, con la benedizione della Chiesa e quella della Cdu, che darebbe a Berlusconi la patente di piena affidabilità democratica internazionale. Difficile vedere alternative a questo scenario, sia per Berlusconi (e Fini), sia per il Ppi. Senza il Ppi, Berlusconi si trova davanti cinque anni in salita, in Italia e all'estero. E senza Berlusconi il Ppi rischia di trovarsi prigioniero di una riforma elettorale che abolisca la quota proporzionale e lo costringa quindi a spaccarsi tra una parte che va col Cccl e un'altra che o va a sinistrao va a casa. Il più improbabile tra tutti è proprio il sogno di un Ppi che tutto intero va a sinistra, accettando di allearsi col Pds. Una prospettiva del genere potrebbe rivelarsi realistica solo in un contesto di pericolo conclamato per la democrazia. Ma in quel caso, sarebbe forse troppo tardi. In uno scenario normalmente democratico, il Ppi non può andare a sinistra. Non a caso, il dibattito precongressuale in seno ai popolari si è andato polarizzando tra quanti vogliono andare a destra senza condizioni (Formigoni), quanti vogliono 7 trattare con la destra per attrar la verso il centro (Buttiglione, ma anche Mancino, forse Andreatta e persino De Mita) e quanti dicono di voler stare al centro, in una posizione di equidistanza tra destra e sinistra (Mattarella, Bindi, Bianchi, ecc.). Nessuno riesce neppure a dire di voler costruire un'alleanza a sinistra. Nel Ppi - questa è una vera mutazione genetica - «sinistra» è oggi una parola impronunciabile come lo è stata, nella Dc, la parola «destra»: a conferma di quanto forte sia, sul centro, l'egemonia culturale della destra. E pensare che solo un anno fa c'era chi, nella Dc, demonizzava Segni perché «moderato»: una parola spregevole per gran parte della sinistra Dc e che oggi è contesa a palle di fango tra le diverse anime dei popolari, in gara per il diritto di proprietà su questa etichetta. La strategia della «seconda gamba» presenta quindi difficoltà non minori di quella, oggi di fatto accantonata, del «partito democratico». Il dibattito resta aperto. Molto dipenderà dal concreto comportamento dei principali attori sulla scena (a cominciare dal Pds e Ppi). Molto dipenderà anche dalle regole: turno unico o doppio turno non è irrilevante. Molto dipenderà dalla disponibilità di leader per l'uno o l'altro scenario. In ogni caso, le coordinate politiche, al di là di quelle organizzative, sono tracciate. Vincerà un polo progressista che sappia essere, visibilmente e credibilmente, luogo di incontro tra sinistra e centro, tra le culture della sinistra tradizionale e quelle del cattolicesimo democratico e della liberaldemocrazia laica, tra il mondo del lavoro e la borghesia moderna e produttiva. Niente di nuovo: semmai la conferma di un compito realizzato solo in parte. Ma che resta attuale. Come il nostro impegno.
{)!.LBIANCO ~ILROSSO iiiili•iii L'opposizionee l'iniziativa riformista:oraomai di Stefano Ceccanti - 1 dibattito sulle riforme è stato segnato nell'im- stulato di una maggioranza omogenea e risoluta in materia di riforme, identificata con le sue proposte pià radicali, trincerandosi immediatamente in una logica difensiva all'insegna dell'intangibilità di tutta la Costituzione. Sono riemersi dal silenzio, soprattutto nell'opposizione di sinistra, tutti gli sconfitti del referendum del 18 aprile 1993, ribadendo le ragioni del loro rifiuto del sistema maggioritario, col rischio di trascinare su un'antistorica difesa conservatrice del!' esistente l'insieme dell'opposizione regalando alla maggioranza l'esclusiva del nuovo. A ciò non si è sottratta quella parte dell'opposizione di centro che mira a preservarsi in una nicchia minoritaria rallentando la fisiologica evoluzione bipolare del sistema. 1 mediata fase post-elettorale da un eccesso di emotività." Da una parte la maggioranza uscita dalle urne ha calcato eccessivamente la mano, rivendicando il proprio diritto di proporre iniziative di maggioranza, come se essa fosse scontata al Se- - nato, come se l'art. 138 non indicasse una predilezione per maggioranze più ampie e solo in subordine un'applicazione della logica maggioritaria. Ma soprattutto essa tende a rimuovere le profonde diversità presenti al suo interno, ben visibili nei programmi elettorali e che non sono meramente sovrastrutturali, facilmente superabili. Sul regionalismo Alleanza Nazionale presenta una visione di estremo centralismo mentre la Lega esprime tendenze molto spinte in senso federalistico sino ad ipotesi al limite della secessione. I programmi di tutte le altre forze presenti in Parlamento si collocano in una zona intermedia di ragionevolezza. Quindi su quel tema gli estremi opposti stanno nella maggioranza di Governo: come da questo si possa ricavare una posizione omogenea è tutto da vedere. Sulla forma di Governo nei programmi elettorali delle tre forze vincenti c'è tutto l'armamentario possibile delle forme di Governo esistenti: il neo-parlamentarismo con elezione del Premier (Lega), il Presidenzialismo americano (Alleanza Nazionale e Radicali), il semi-presidenzialismo alla francese (Forza Italia). Se a ciò si aggiungono le differenze sul completamento della riforma elettorale tra monoturnisti e doppioturnisti, pur nella chiara prevalenza dei primi, il caos è ancora maggiore. Bisogna però ammettere che un certo tasso di emotività si è avuto anche nelle forze di opposizione. Alcune di esse hanno accettato il falso po8 Per fortuna, anche per effetto della migliore comprensione della situazione al Senato dopo l'elezione dei Presidenti delle Commissioni, hanno però risposto poco dopo, nelle opposizioni, tutti coloro che non si pentono di aver realizzato la svolta maggioritaria, ma che l'intendono correttamente in modo equilibrato, come simultaneo rafforzamento dei ruoli della maggioranza parlamentare e dell'opposizione alternativa. Si tratta quindi di incalzare la maggioranza, di lavorare sulle sue contraddizioni, non perché si debbano rallentare o impedire le riforme, ma perché esse siano realizzate prontamente contemplando anche uno Statuto dell'opposizione che rimpiazzi le garanzie obsolete del sistema consociativo, cosa alla quale le forze di maggioranza non appaiono particolarmente sensibili. Lo stesso tenderà ad accadere anche sul regionalismo dove le opposizioni si troveranno ad incalzare tentazioni di difesa centralistica, non a frenare tentazioni separatiste: perché mai Berlusconi, in grado di controllare la maggioranza con la spada di Damocle delle elezioni, guada-
{)!L BIANCO ~ILROSSO Uikiillt;i gnato il Governo centrale, dovrebbe essere particolarmente audace nel concedere poteri a livelli nei quali potrebbe trovarsi in minoranza? Se si vuole allora ragionare in grande, in fedeità vera alla riforma maggioritaria del 18 aprile, senza logiche unilaterali ed atteggiamenti emotivi è giusto confrontarsi non sul bricolage ma su riforme organiche. Le opzioni di fondo dovrebbero essere le seguenti: - elezione diretta del Premier come leader di una maggioranza parlamentare (da completare con una modifica del sistema elettorale della Camera che elimini la quota proporzionale e che utilizzi parte dei seggi così liberati come «premio di maggioranza» legato al Premier con un secondo turno eventuale non nei collegi ma su scala nazionale); - rafforzamento delle autonomie regionali in termini di competenze e di forma di Governo (elezione diretta del Presidente della Regione con la sua maggioranza) raccordando con esse un Senato delle Regioni; - previsione di uno Statuto dell'Opposizione principalmente con la previsione di quorum più alti per gli organi di garanzia e di una procedura rafforzata per la revisione costituzionale. Si tratta in sintesi dell'opzione per una coerente configurazione neo-parlamentare secondo i meccanismi di fatto vigenti nelle grandi democrazie parlamentari contemporanee, senza nostalgie per la fase proporzionalistica e consociativa e senza tentazioni per rafforzamenti unilaterali del solo Governo o per esiti presidenzialistici solo apparentemente più efficaci. È un'opposizione più riformatrice e più coerente dell'attuale maggioranza che può aspirare all'alternanza. È entrando in competizione per affermare meglio la fedeltà alla vittoria del 18 aprile 1993 che si aprono chances reali di successo. Flessibilitàdilavoroe salario? Danoicivuolaltro di Pierre Carniti G overno e Confindustria insistono per un lavoro ed un salario «flessibile». Può davvero essere questa la ricetta contro la disoccupazione? Dalla metà degli anni 50 alla metà degli anni 70 l'Europa ha conosciuto una stagione di pieno impiego. Per circa venti anni il tasso di disoccupazione è stato del 2-3 per cento. Nello stesso periodo la percentuale dei disoccupati negli Stati Uniti era il doppio. Dalla metà degli anni 70 (dopo l'esplosione della crisi energetica) la situazione si è capovolta. Gli Stati Uniti hanno continuato ad avere una disoccupazione che oscilla vistosamente, in relazione all'andamento del ciclo economico, ma comunque su una media di poco superiore a quella degli anni 50 e 60. Inoltre negli ultimi venti anni 9 gli Stati Uniti hanno creato circa 20 milioni di nuovi posti di lavoro. Nello stesso periodo l'Europa (che ha una popolazione molto più numerosa) ne ha creato invece meno di un quarto ed il tasso di disoccupazione è cresciuto costantemente fino a raggiungere le vette attuali dell' 1112 per cento. Con paesi, o grandi aree (come il Mezzogiornod'Italia) che arrivano al 20 per cento. A questo diverso andamento della disoccupazione ha corrisposto negli Stati Uniti una crescente polarizzazione dei redditi e delle condizioni di lavoro. Gli stipendi più elevati sono cresciuti costantemente, mentre i salari più bassi sono continuamente scesi fino a toccare oggi, in termini reali, i livelli di 40 anni fa. Si è quindi indotti a pensare che la disoccupazione in Europa e la crescita delle diseguaglian-
DJJ..BIANCO ~ILROSSO Piiii••ii ze di reddito in America siano le risposte diverse, ma egualmente inaccettabili, di due versioni del capitalismo allo shock energetico che ha colpito entrambi dalla prima metà degli anni settanta. A questo shock gli Stati Uniti di Reagan hanno risposto con la flessibilità del lavoro e del salario, aumentando in maniera vistosa povertà e diseguaglianze. L'Europa dello Stato Sociale, del lavoro tutelato, delle grandi organizzazioni sindacali ha invece risposto cercando di difendere il suo modello, senza però riuscire ad evitare le conseguenze di un numero crescente di disoccupati, di persone escluse. Questo spiega la richiesta sempre più perentoria di aprire, anche da noi, la strada a forme incontrollate di flessibilità del lavoro e del salario. Ma è davvero una soluzione? Non dimentichiamo che gli Stati Uniti hanno certamente creato più posti di lavoro, ma al prezzo, socialmente assai esoso, di meno sicurezza, di lavori meno stabili e peggio pagati, di aumento della povertà. Si può importare in Europa un simile modello? Sembra piuttosto improbabile. Non solo perché la stessa amministrazione Clinton è impegnata a correggerlo per rimediare almeno alle conseguenze sociali più intollerabili, ma perché la diversità delle scelte americane ed europee negli 10 ultimi vent'anni ha un triplice ordine di ragioni: una elettorale, una sociologica ed una, dispiace ricordarlo, razziale. Innanzitutto gli elettori europei non sembrano disponibili a scambiare lavoro tutelato con lavoro precario. In secondo luogo la tradizionale rete protettiva costituita dalla famiglia consente agli europei (in particolare ai giovani) di non accettare lavori sgradevoli e sgraditi. Infine negli Stati Uniti i cittadini neri e di origine ispanica costituiscono un sottoproletariato non sindacalizzato e con modestissimo peso politico, utilizzato come riserva di mano d'opera a basso prezzo, facilmente eliminabile e quindi sfruttabile. L'idea, caldeggiata dal governo Berlusconi, di importare in Italia il modello americano sembra, quindi, più velleitaria che realistica. Può darsi che, nel tempo, Europa e Stati Uniti riescano ad uniformare le proprie politiche del lavoro incontrandosi a metà strada. Anche di questo si è discusso al vertice di Napoli dei sette paesi più industrializzati. Una cosa comunque è certa, la situazione non è destinata a migliorare (né al di qua ne al di là dell'Atlantico) se per le politiche del lavoro non ci sarà il coraggio di aprire piste di ricerca e di sperimentazione davvero nuove.
~!I-~ BIANCO '-Xli~ RC)SSO DOSSIER Passare il guado: versodove? Questo Dossier. «Il Bianco & Il Rosso» ha segnato, con la sua presenza, una stagione politico-culturale di passaggio: quasi 5 anni, e più di cinquanta numeri. Passaggio: lo è stato, e lo è ancora, almeno su due fronti, per quanto ci riguarda. Un passaggio è quello che è in corso, come si dice con qualche approssimazione, dalla Prima alla Seconda Repubblica. Il secondo passaggio è quello che ha riguardato, e qui il discorso è certamente più netto, la fine dell'unità politica dei cattolici e l'apertura di una «nuova» stagione della loro presenza nella società, nella cultura, nella politica. Il Dossier di questo numero della rivista, che sarà l'ultimo della sua veste attuale, è dedicato a riflettere su questo duplice passaggio. Come base di discussione, e di riflessione, abbiamo proposto l'articolo-editoriale di Pietro Scoppola che abbiamo pubblicato nel numero scorso. Pubblichiamo qui di seguito in ordine alfabetico gli interventi che ci sono pervenuti. 11
01.LBIANCO ~ILROSSO 1111 #i 1MII Uninominaleaunturno: garanziaveraper il Pds D opo cinquanta anni, nella politica italiana, è cambiato tutto. In conseguenza dei referendum Segni abbiamo avuto il sistema uninominale. Attraverso Mani Pulite, abbiamo avuto la delegittimazione dei partiti. Cosi il muro di Berlino è caduto anche in Italia, secondo la logica del potere. Il Psi aveva la grinta del potere? È stato annientato fisicamente. La Dc ne aveva il controllo reale? È stata annientata moralmente. Il Pds ne aveva la partecipazione chiave? È stato emarginato e posto sul viale del tramonto. «Il Bianco & Il Rosso» cui allude il titolo di questa rivista, sono diventati colori fuori moda, fuori stagione. Coniugare il bianco e il rosso è oggi affiancare due grigi. Nascerà qualcosa a sinistra, come è nata a destra? È inevitabile, perché i sistema uninominale non perdona, e destra e sinistra sono interessati all'uninominale a un solo scrutinio, che consente al Pds di assorbire Rifondazione e di intervenire nella variante sinistrorsa dell'elettorato del Partito popolare. In questo senso, il sistema uninominale puro rende inevitabile lo spostamento della sinistra e della destra, nei contenuti politici, verso il centro. Se il Pds capisce che la sua salvezza è l'uninominale a un solo scrutinio e lo appoggia o in Parlamento o nel referendum Pannella, garantisce il suo futuro come partito di centro sinistra. In questo caso, poco importa che abbia la faccia di D'Alema o di Veltroni. Queste supposte differenze ideologiche giocano in un sistema proporzionale, non valdiGianniBagetBozzo gono niente in un uninominale al primo scrutinio, che non guarda a tante sottigliezze. Il Pds deve capire che ha i medesimi interessi elettorali di Berlusconi e di Fini: gli opposti hanno i medesimi interessi di sistema. È quello che accade in un altro sistema uninominale classico, quello del Regno Unito. Nè Tories nè il Labour accetteranno mai di cambiare l'uninominale, che consente loro di vedere i Liberali trionfare solo nelle by elections, quelle di seggi vacanti per morte durante il corso di legislatura, ma prendere solo pochi seggi nelle elezioni generali. Il Pds dovrebbe capire che il Pp è il suo reale avversario elettorale, anche se è più contrario a Berlusconi che alla sinistra. E che l'uninominale disperde Rifondazione comunista, così come rende impossibile una Rifondazione fascista. Siamo entrati finalmente nella .I' I ' ;i 'f f~ ,; . . ~ I • .f ,. • ~ t ~} 5;, • r •"'f 4 '- ,./\\, ; .~r\ : . --.. ~~ ,., ..,. ,,.·: :\ ,~; 1~;.,~Joi~,: . . : •',1t"'l .' ·,. .. ,·, ...... , .· .. . ; 12 buona via dell'uninominale, che mi pareva ottima da molti anni, ma impossibile in Italia. Ma cadde il muro di Berlino: e in Italia, il più vicino dei paesi euro occidentali ai sistemi dell'Est per lo statalismo e la partitocrazia, ciò che era possibile diventò impossibile e l'impossibile possibile. Forse «Il Bianco & Il Rosso» potrebbe essere la definizione del Pds, che accetta l'uninominale e fa il piccolo sacrificio di buttare lo stemma comunista (Craxi diceva sempre che era stato adottato come copia di quello sovietico), alle ortiche. Forza, compagno D'Alema: se capisci che l'uninominale a un solo scrutinio crea da solo il partito di centro sinistra, hai vinto. Cosa meglio di una faccia veterocomunista e uno di stile di Roderigo di Castiglia (alias Togliatti) per far passare il partito di Gramsci e di Togliatti alla «storia», come Fini dice per Mussolini e il fascismo? Il nuovo segretario del Pds ha una occasione storica e la faccia abbastanza contraria ad esso per poterla guidare con mano sicura. Perché i partiti di domani saranno partiti leggeri finalmente, politicamente definiti solo dal loro contrappunto: quindi sempre più simili. D'Alema, lunga vita con Berlusconi-Fini. Ci metterei anche Bossi ma, per la Lega, «del diman non v'è certezza». A meno che non nominino la Pivetti come segretario. In questa stagione ginocratica, le donne con grinta non hanno praticamente ostacoli. Peccato che il Pds non ne abbia: la Turco, benché dalemiana, è troppo femminista. Ci vuole una donna maschilista. Il Pci ne aveva: «chiamami Seroni, sarò la tua sbirra». Tempipassati.
D!LBIANCO ~ILROSSO •U•)..1§089 L'alternanzsaiprepara convergendsoenzaintegrismi L' aggregazione politica che potrà (spero presto) battere l'attuale maggioranza di Governo dovrà essere capace di coniugare diverse matrici culturali, ben più di quanto sia riuscita a fare la sfortunata (ma comunque preziosa) esperienza dei Progressisti in queste elezioni politiche e come invece si era riusciti più convincentemente a fare per le elezioni amministrative. Il vostro editoriale del numero 51 segnala giustamente la caduta di tono, di ampiezza e di profondità delle alleanze realizzatesi, che si è avuta nell'approssimarsi nelle Politiche, forse soprattutto per un eccesso di fiducia nelle proprie potenzialità. Il rapporto fecondo tra le diverse tradizioni culturali investe aree molteplici, sensibilità maturate in fasi storiche diverse (si pensi ad esempio a quella ecologica maturata negli anni '80) difficilmente schematizzabili in una società complessa. C'è però un problema specificoche permane, che abbiamo per certi versi ereditato dalla Prima Repubblica e che riguarda la possibilità di combinare «Il Bianco & Il Rosso», l'esperienza del cattolicesimo democratico e quella parte della tradizione del movimento dei lavoratori di ispirazione socialista. C'è qui un «nucleo duro» di diffidenze consolidate che va pazientemente superato pena il fallimento di qualsiasi seria ipotesi di alternanza al Governo. Restoinfatticonvinto che il residuo elettorato centrista, purché attivamente coinvolto da proposte programmatiche adeguate e da una loro traduzione in di Augusto Barbera leadership autorevoli, sia potenzialmente molto più cumulabile con l'area progressista che non con l'attuale maggioranza. A questa convergenza potenziale si oppongono pregiudizi obsoleti, non ostacoli insormontabili. La Guerra Fredda aveva incapsulato nella Dc quasi tutte le potenzialità dell'area cattolica, anche quelle che in altri Paesi si sarebbero normalmente trovate a loro agio in schieramenti progressisti. Ciò ha condotto ad un interiorizzazione della forma-partito democristiana senza la quale una parte rilevante della base cattolica (soprattutto tra le generazioni più anziane) non riesce a rapportarsi alla politica. Quasi una «rifondazione cattolica» isolata al centro del sistema che fa da pendant a Rifondazione Comunista, come i due pezzi sopravvissuti della Prima Repubblica, incapaci di fare il necessario salto di discontinuità. Il fatto è che l'ampiezza di quell'area che continua a pensarsi immobile al Centro non è un dato inamovibile, è anche e soprattutto una variabile dipendente delle scelte politiche che la sinistra ha fatto e che fa. La sinistra ha sempre teso a costruirsi un'immagine dell'area cattolica più conforme alle proprie aspettative e alla conferma della propria identità che non alla realtà. Per Togliatti il rapporto coi cattolici era visto ora all'interno di un rapporto pattizio con la Santa Sede, ora come necessità di accordo con ceti sociali non egemonizzabili da un partito operaio. Per Berlinguer il rapporto si caricava di aspetti organicistici e millenaristici nella prospettiva della «terza via», tanto indefinita da essere fatai13 mente aperta ad esiti molto diversi. Vi era fra l'altro l'idea di un inevitabile ricongiungimento coi settori operai e popolari della Dc destinati ad unirsi con le masse comuniste dalla «necessità storica» dell'unità della classe operaia o comunque la percezione dell'elettorato cattolico come l'altra realtà «sana» di fronte ad un'esplosione di cultura inJividualistica vista quasi solo nei suoi aspetti negativi. La stessa esperienza dei cattolici indipendenti eletti nel Pci, pur positiva perché segnava un primo momento di rottura di barriere, si muoveva dentro questi limiti. Man mano che si afferma invece l'idea del limite della politica, l'idea dei partiti e delle alleanze come soggetti provvisori, come mediatori parziali, opinabili dei valori presenti nella società in continuo cambiamento, il problema finisce positivamente per spostarsi su un piano concreto. Il cattolicesimo democratico è portatore di un'istanza di moderazione della politica che può collocarlo a fianco di una sinistra rinnovata sempre che esso sappia tradurre in modo laico, moderno la sua ispirazione ideale (evitando atteggiamenti da «rifondazione cattolica») e che la sinistra sia disponibile nel meritoa discutere gli aspetti programmatici che possono ancorafareproblemaneireciprocirapporti. Faccio un esempio concreto: il rapporto tra scuola pubblica e scuola privata. L'opposizione preconcetta tra le due mi sembra fuori dalla storia, è un derivato di una polemica ottocentesca tra lo Stato nazionale che intendeva togliere alla Chiesa un monopolio educativo e la Chiesa che difendeva il
proprio ruolo tradizionale. Oggi abbiamo invece bisogno di tutt'altro. Vi è una scuola pubblica penalizzata da un eccesso di uniformità e dall'identificazione del concetto di pubblico con quello di statale, quando invece in molti ambiti si ragiona ormai senza problemi di uno Stato regolatore più che gestore diretto. Vi è una scuola priDl.LBIANCO W,.ILROSSO 1111 @1111 vata che ha bisogno di essere qualificata con standard oggettivi quali possono provenire dalla regolazione dei poteri pubblici, sempre che voglia considerarsi come esercitante una funzione pubblica e non solo come l'espressione di una pura autonomia sociale. Vi è quindi un terreno per sintesi nuove, per un sistemapubblico plurale ed efficiente. Questi sono i processi da aprire per realizzare una prossima alternanza di Governo. Non vedo come essa possa infatti realizzarsi senza una fecondazione reciproca tra queste componenti che vengono da lontano, ma che hanno oggi bisogno di un forte ammodernamento culturale, maturabile solo nella ricerca comune. Il veronuovosicostruisce sugliurgentibisognisociali D opo la doppia sconfitta elettorale delle forze progressiste e l'impennata di Forza Italia non è pensabile costruire lo schieramento alternativo alla destra e superare l'inevitabile disorientamento senza saldi ancoraggi non solo nella continuità del processo politico comunque avviato in questi mesi, ma ancor più in valori di fondo e priorità strategiche che rendano chiari e concreti i contenuti dell'alternativa. Ed in uno schieramento che si richiama alle variegate tradizioni della sinistra italiana, ma che soprattutto vuole rispondere ai problemi della società di oggi, non può essere ancora una volta sottovalutata e marginalizzata la cosiddetta questione sociale. Antica questione che si ripropone in forme inedite in tutte le società industrializzate che, anche nei momenti di più forte sviluppo, non sono riuscite a vincere le povertà tradizionali, assicurare cioè una casa, un lavoro, un reddito a tutti. E che oggi si misurano con il dilagare di nuove povertà frutto del disagio diffuso, dell'impoverimento delle relazioni sociali, della crisi del modello famiglia e soprattutto con gli squilibri di Augusto Battaglia economici e demografici del pianeta che non si possono certo fronteggiare con le meschine risoluzioni dell'Unione Europea. Nel dibattito sulla Seconda Rei:,\.ibblica anche la sinistra ha eccessivamente indugiato sui temi istituzionali ed elettorali, quasi si potesse affidare alla sola architettura istituzionale il ricambio del ceto politico e la soluzione dei problemi della gente. Non era stato così per la Prima Repubblica che nasceva certo dalla Resistenza e dal referendum, ma che si concretizzava in una Costituzione forte di principi solidaristici e democratici: l'Italia fondata sul lavoro, la repubblica che rimuoveva gli ostacoli, che ripudiava discriminazioni e guerre. Dopo il decennio craxiano e Tangentopoli ciò che sognavano i minatori del Sulcis, i cassintegrati, i giovani senza lavoro, gli sfrattati non era certo il collegio uninominale ed il recupero proporzionale. E se in tanti hanno ceduto alle lusinghe di Berlusconi è stato anche per la scarsa incisività dell' accordo programmatico dei progressisti sui temi sociali. La Seconda Repubblica doveva rappresentare la democrazia compiuta, non solo quindi regole 14 di rappresentanza, ma capacità digarantire tutela dell'infanzia, integrazione delle persone handicappate, istruzione, cultura e lavoro per i giovani, sostegno alle famiglie, assistenza agli anziani. Capacità di rispondere senza furbizie ed opportunismi alla sfida dell'immigrazione, affrontando con coraggio, su basi nuove, i problemi dello sviluppo e della democrazia di quelle parti del mondo in cui dilagano fame, violenza e malattie, senza attendere altre Albanie, altri Rwanda, altre Somalie. Senza questi connotati non solo perde sapore la proposta dei progressisti, ma viene meno il fondamento della democrazia lasciando campo libero agli egoismi, ai corporativismi, all'intolleranza ed a preoccupanti forme di imbarbarimento dei rapporti. Che altro sono le ormai ricorrenti aggressioni agli immigrati e comunque ai diversi se non avvisaglie di pericolosi processi degenerativi in atto? E come non vedere nell'affermazione della destra, soprattutto di Alleanza Nazionale, la manifestazione anche di un disagio diffuso che sfocia nell'intolleranza, in una richiesta d'ordine che può ulteriormente evolvere nella voglia di semplificare le regole democratiche,
nell'insofferenza per l'opposizione, nella richiesta di poteri forti? La destra semplifica e discrimina, offre soluzioni facili ed apparentemente efficaci. La sinistra è chiamata invece ad unire, ricomporre, costruire nuovi equilibri. Un lavoro faticoso che non può limitarsi né alla difesa di uno Stato sociale qual è oggi, inefficiente, burocratizzato, indebitato, né nella sterile rivendicazione di diritti individuali. Cos'altro c'è da dire sui diritti. Ce n'è ormai per tutti i gusti: della donna, dell'handicappato, dell'anziano, del bambino, dell'immigrato, finanche del leone allo zoo. Ma chi ha veramente elaborato una teoria dei doveri, di come cioè garantire, concretizzare i diritti enunciati? É questo il problema della sinistra. L'accoppiata Berlusconi-Guidi l'affronta con furbizia: all'occupazione ci pensino le imprese, ai problemi sociali, le famiglie e - quale originalità! - nella famiglia il ruolo centrale è della donna. Cioè si scarica sul cittadino il disagio e si deresponsabilizza lo Stato. Non può essere questa la via. L'attuazione dei diritti di cittadinanza deve partire da un'assunzione di responsabilità collettiva, nella quale il ruolo O~BIANCO ~ILROSSO 1111 # 111 dello Stato sia chiaro e definito, e sia il presupposto per una feconda collaborazione tra istituzioni e cittadini, anche attraverso quelle forme di volontariato ed associazionismo nelle quali milioni di persone sviluppano una partecipazione attiva e si fanno Stato. Nello stato dei cittadini, quello con la s minuscola, la responsabilità dell'individuo non può essere confinata alla sfera elettorale e fiscale. Ma è la diffusa partecipazione operativa la condizione per un'equa gestione delle risorse, del lavoro, dell'ambiente e di quant'altro possa concorrere alla costruzione del bene comune. Senza segnali forti in questa direzione molto difficilmente potrà mettersi in moto quella costruzione dal basso, quella mobilitazione di forze che tutti auspichiamo. Senza questa chiarezza non si vince nemmeno il sospetto e la timidezza con cui anche le forze più attente del volontariato hanno seguito la vicenda dei progressisti. Guai a non prenderne atto. Sono quelli i naturali alleati, anzi i possibili protagonisti di un movimento popolare che non solo costruisca su solide basi, principi e valori l'alternativa, ma che possa aiutare la sinistra a superare divisioni che guardano più al passato che alle sfide del futuro. Cosi il nuovo schieramento non sarà il frutto di mediazioni orizzontali tra componenti, ma della capacità di queste di misurarsi con quel mondo che oggi più di altri esprime problemi, bisogni, ma anche potenzialità politica. Le nubi neoliberiste si addensano ormai minacciose sulle politiche sociali e va costruita una linea di difesa in tempi che non tollerano tentennamenti. È in grado la sinistra di lanciare un segnale chiaro che impedisca che questo mondo si disgreghi cercando magari mediazioni, approdi o, almeno, nicchie protette nel variegato Polo governativo? Se la sinistra è determinata a ripartire dai problemi della gente, degli emarginati, deve sapere che chi quei problemi li vive sulla pelle non sempre può attendere. Nella nostra tradizione siamo abituati a misurarci con la storia, per il futuro dobbiamo sempre più fare i conti con la cronaca quotidiana. Per questo bisogna che si cominci a segnare un percorso e ci si incammini. Per lo meno chi ha voglia di camminare. Nuoveragioni perlademocraziataliana - I 1voto di marzo e quello di giugno ci hanno riconsegnato il profilo di un'Italia che non conoscevamo fino in fondo. Qualcuno attribuisce tutte le responsabilità a Berlusconi, al - suo fascino subdolo di pifferaio di Hamelin medianico, che avrebbe distratto gli italiani dalla retta via in di Giovanni Bianchi forza della sua schiacciante superiorità sotto il profilo dei mezzi di informazione. Non sono del tutto d'accordo con questa interpretazione, pur convenendo che l'anomala concentrazione di potere politico e potere informativosia un grave rischio per la nostra democrazia, e che al più presto si debba va15 rare una seria e rigorosa legislazione antitrust. Credo però che le ragioni del successo di Berlusconi vengano da più lontano, che in qualche modo cioè esistesse già a livello sociale prima che politico un'Italia profonda che aspettava il suo profeta, un'Italia disimpegnata e passiva, angustiata dalla prospet-
tiva delle ristrettezze economiche, carente sotto il profilo della solidarietà e del senso civico, diffidente dello Stato, degli intellettuali, di tutto ciò che va in là della sua ottica ristretta. A questo vasto popolo di piccoli e medi industriali, di commercianti, di liberi professionisti, Berlusconi ha saputo proporsi come interprete naturale dell'aspirazione a mantenere la loro quota di benessere senza pagare il dazio del rigore economico. Ma ciò che più preoccupa, prima ancora della necessità di organizzare un'opposizione politica degna di questo nome, è il dato culturale soggiacente. La Destra che ha vinto le elezioni non è prevalentemente fascista, sebbene un'importante sua componente sia tuttora legata a miti, riti e parole d'ordine di un passato oscuro che vorrebbe ora riproporre da posizioni di forza. Non è neppure, però, aldilà di certi slogans una destra tradizionalistasulmodello«Dio,Patria, Famiglia». Piuttosto, si tratta di una destra economica secolarizzata e grintosa, che nei rapporti con la religione ha un atteggiamento pragmatico ed utilitaristico prima che economico: una destra edonistica e paganeggiante, nel senso di un evidente mammonismo ormai privo di complessi. È proprio questo, aldilà di ogni moralismo, il dato con qui debbono misurarsi sino in fondo le forze di matrice cristiana presenti sulla scena politica, in particolare il Ppi ed i Cristiano-Sociali (il Cccl è una semplice appendice di Forza Italia, la mediocre operazione di potere di soggetti che sono andati a rincorrere i loro voti già emigrati a destra). Gli amici Camiti e Gorrieri sanno bene delle perplessità che io ebbi ad esprimere sulla nascente esperienza cristiano-sociale in tempi non sospetti, quando ero ancora Presidente delle Acli. Credo in qualche modo di poter condividere le perplessità espresse qualche tempo fa sul «Bianco e il Rosso»dal comune amico Gigi Covatta, il quale rilevava l'inanità delle divisioni fra persone che la pensano allo stesso modo nel momento in cui per l'Europa sembrano riaffacciarsi spettri che s1 {)!LBIANCO ~ILROSSO OXfAAOHA credevano ormai ampiamente debellati: la disoccupazione di massa, il razziso, il fascismo... Le varie tornate elettorali hanno sortito l'effetto di darci tristemente ragione, mandando al potere quella che Ferdinando Adornato ha definito una «modernità senza civilizzazione». Noi cattolici democratici, popolari e sociali, noi riformisti, ambientalisti, noi democratici senza etichette siamo rimasti appesi alla nostra «civilizzazione senza modernità», divisi fra di noi dalla sensazione di una sconfitta che, da contingente, può divenire epocale nel momento in cui all'elaborazione del lutto non farà seguito una ripresa di iniziativa. E l'iniziativa non può che nascere dal basso, dalle mille realtà locali che possono diventare altrettanti laboratori di creatività, di ricerca delle ragioni di ricomposizione di un'Area democratica in questo Paese, senza dovere morire nell'alternativa fra essere cespugli all'ombra della Quercia o gardenie all'occhiello del Cavaliere. Pensare quindi che sia possibile non un astratto centrismo come rifiuto delle scelte, come impossibile elisione e/ o rimozione dei contrari, ma una coraggiosa iniziativa riformatrice a tutto campo, che saldi l'impegno sociale e civile con la propositività politica. 16 La lotta contro i monopoli finanziari ed informativi, la ricomposizione dell'unità sindacale, il riconoscimento della soggettività politica dell'associazionismo, l'impegno contro i poteri criminali ed occulti sono elementi di battaglie comuni possibili, entro le quali ricompore una progettualità politica che non rifiuti la modernità ma la innervi di valori autentici e condivisi, creando solidarietà e militanza sul territorio, che possa catalizzare l'aggregazione di nuovi soggeti secondo nuovi percorsi. In questo senso, ciò che pone popolari e Cristiano-Sociali sulla medesima strada è ben più che un esile filo: è l'esplicito convenire su di una tradizione comune, su comuni valori e scelte derivanti da maestri riconosciuti. C'è Sturzo nella storia del Ppi, ma c'è anche in quella dei Cristiano-Sociali, così come nel Dna cristiano-sociale c'è sicuramente la memoria e l'insegnamento di Achille Grandi, ma c'è anche in quello del Ppi. Ci sono soprattutto quel La Pira e quel Dossetti contro i quali è partita una campagna insistente del!'area conservatrice e reazionaria, ben oltre i confini di Forza Italia. Ora le nostre due forze sono distinte, e alle ultime elezioni si sono presentate su spalti diversi: cosa normale, accettabile e perfino logica nella prospettiva del superamento di una concezione monopartitica dell'unità politica dei cattolici, ma destinata ad affrontare nuovi e comuni interrogativi negli anni a venire. Non si tratta di prefigurare nuove alleanze, ma di ricercare gli sbocchi possibili di cammini paralleli, che la comune collocazione all'opposizione dell'attuale Esecutivo non può che rafforzare. La politica, si dice, non è solo testimonianza, ed è vero: ma se la testimonianza non precede la politica e non entra essa stessa nella politica, questa rischia di rimanere senz'anima, di ripiegarsi su se stessa, di non avere più nulla da dire agli uomini. Questo dare anima per creare cose nuove è, in ultima analisi, il senso della presenza politica del cristiano.
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