Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 51 - mag.-giu. 1994

{)!.LBIANCO ~ILROSSO 11~• I8;\18~•N berali, gli ex democristiani e gli ex socialisti che credono nella necessità del predominio delle leggi economiche su quelle della giustizia sociale, che ritengono «l'avere ed il fare» più importante «dell'esistere e sognare», il raggiungere il benessere economico e l'aumento dei consumi più importante del benessere psicologico, del gusto di vivere e dell'amore verso le cose semplici. È il trionfo del «politicare» sul «vivere», del- !' efficientismo sul rispetto dei tempi del più debole. Dell'edonismo individualista sull'amore oblativo. Governi pure la Destra quindi, quella federalista che cerca di nascondere gli egoismi dei più ricchi del Nord, in una sorta di popolarismo sessantottesco velato di assemblearismo. Quella neofascista del bravissimo Fini, sicuro di sé, capace di dare l'idea, attraverso la sua intelligente capacità dialettica, che le persone militanti al suo fianco niente hanno a che fare con le camicie nere e i saluti romani ostentati fino a ieri. Quella liberista di Berlusconi, novello re Mida, senza dubbio persona capace, che sembra impersonificare la tesi che «più i ricchi saranno ricchi, tanto meglio staranno tutti». Tesi un po' logora nelle stesse più avanzate democrazie occidentali, ma ancora da sperimentare in Italia. Ma se governerà Berlusconi, occorre preparare, con calma, stile e serenità, l'alternativa ai suoi progetti e ai suoi programmi. È opportuno che, chi non condivide le sue tesi, i suoi punti di riferimento, la sua prassi, costruisca un'alternativa di governo, pronto a prenderne il posto (poiché è questo che ci deve preoccupare, non la presa di potere personale o del proprio gruppo) appena le sue tesi creeranno seri disagi al Paese. Alternativa democratica, tollerante, qualificata nelle sue componenti, nuova nello spirito e nello stile, non dominata dalle vecchie ideologie marxiste. Alternativa che oggi in Parlamento può essere composta dai grandi raggruppamenti che si sono trovati a votare in Senato per Spadolini. Forza ancora scomposta, divisa, ma che deve maturare al suo interno un «Partito Democratico», dalle molte sfaccettature e dalla formula 47 federalista, basata sulla vivacità delle strutture di base. Partito che deve abbracciare a sua volta un'ala più di «destra», più «centrista», non nel senso ormai vecchio che ne danno Buttiglione o Michelini (Formigoni credo si trovi già meglio in compagnia di Casini che insieme a Ossicini), ma in quel grande respiro di futuro che si rilevava in Martinazzoli, e un'ala più di sinistra con uomini come Gorrieri o addirittura Cossutta se lasciasse da parte la nostalgia del rosso. Sarà questa sintesi possibile? Potrà l'Italia, -attraverso questa esperienza di opposizione, veder emergere una sinistra «democratica, popolare e antifascista», come molti di noi già sognavano venti anni fa? Io credo di sì. Ma è necessario tessere la rete con pazienza, costruire un'arca, gettare un ponte che, nella fatica dell'oggi, consenta di aprire le porte al domani. Non so se questo progetto possa coagulare le forze più fresche e più coraggiose del neonato Partito Popolare, ma penso che valga la pena di contarsi al suo interno, così come si è fatto alla Camera fra chi guarda in questa direzione e chi si è abbarbicato al termine «centro» per dare senso al proprio esistere. Un centro che cerca di riprendersi i voti scivolati sulla Lega e donati a Berlusconi (e non solo in seguito a Tangentopoli!) come se, scambiando un po' di potere con l'accettazione della logica di destra, non si tradissero le speranze di chi ci ha votato. La scelta infatti di privilegiare il capitale sulla imprenditorialità e sul lavoro, che Giovanni Paolo II non si stanca di additare come il pericolo più grande per la società del Duemila, non può essere da noi condivisa. Governi Berlusconi, ma con la risicata maggioranza che l'elettorato gli ha dato, e con tutto ciò che questo comporta. Agli altri sta di vegliare perché il potere non diventi strapotere, e la tentazione di onnipotenza non ci riporti a stili e regimi dimenticati dalla storia. Che il 25 aprile sia sì festa di riconciliazione, ma non segni la fine dei grandi ideali che hanno animato la Resistenza. Sempre dire mai a chi offre la mano a compromessi inaccettabili.

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