tesi neoparlamentare (investitura diretta del Primo Ministro contestuale e collegata a quella dei parlamentari) formulata in versioni leggermente diverse da Pasquino, Barbera, dal Centro Istituzioni delle Acli e poi implicitamente ripresa da Ad e dal Pds. Se qualcuno può avanzare il dubbio che una eccessiva personalizzazione favorisca oltre misura i detentori del potere della comunicazione, converrà ricordargli d'altro canto che proprio la mancanza di chiarezza sulla leadership di governo è stata - così come lo fu in epoca pentapartitica - la condizione per tenere insieme una maggioranza (elettorale e politica) disomogenea. Proprio l'avvio di questa legisla· tura, insomma, con la reiterazione di pratiche di aggiustamento interpartitico che consideravamo superate, mostra che un sistema ancora più chiaramente maggioritario potrebbe essere utile non per consolidare definitivamente questa maggioranza (o quella più allargata che si tenta chiaramente di comporre), ma proprio per metterne in luce sul nascere le contraddizioni (prima che sia troppo tardi e si ritorni alla pratica del grande centro). Quindi non si vede perché di fronte ad una proposta che chiarisca di fronte agli elettori le responsabilità personali del leader di governo con una investitura diretta del Premier la sinistra {)!LBIANCO ~ILROSSO • •X♦~'ffl i H ;J dovrebbe opporsi pregiudizialmente, piuttosto che puntare a influire sulla definzione dei caratteri precipui di quel!' investitura. Del resto, e veniamo al punto [b], se questa maggioranza dovesse davvero, come ha promesso, proporre prima alle Camere e poi ai cittadini - attraverso il referendum - la riforma costituzionale, non credo che gli si potranno opporre eccezioni procedurali. Personalmente dubito che sul piano della dottrina abbiano legittimità (e che tengano alla eventuale prova dei fatti) le ipotesi secondo cui esisterebbe una qualche super-norma costituzionale - oltre a quelle delimitate ed esplicitamente richiamate dal testo - non suscettibile di essere riformulata secondo le procedure previste dall'art. 138. Non solo. Una posizione puramente difensiva dei progressisti verrebbe inevitabilmente percepita (dall'opinione pubblica) come il frutto di una cultura da Prima Repubblica e costituirebbe la riproduzione del pregiudizio che vuole la sinistra riserva degli scontenti e degli elettori antisistema. Ancora una volta varrebbe la pena di misurare le scelte costituenti per quello che obiettivamente precostituiscono. Anche, se si vuole, da un punto di vista partigiano. E il punto di vista partigiano dovrebbe farci riflettere sul fatto che: a) le competizioni elettorali 36 veicolate dai media si giocano in misura crescente sulla qualità personale, l'autorevolezza e l'efficacia comunicativa dei leaders; b) che mentre la destra (anche per il senso dell'autorità che ne caratterizza l'antropologia, come ci ha ricordato Bobbio) dispone di organizzazioni in grado di produrre una forte leadership, la sinistra (tanto più dopo la crisi del modello leninista) inclina a produrre organizzazioni poliarchiche, con leaders deboli e (diciamolo in parole povere) pasticcioni. Come il caso francese stà a suggerirci, dovremmo essere meno prevenuti verso le future possibili ipotesi di riforma istituzionale in senso (lo dico in modo generico e atecnico) presidenzialista della coalizione di governo. Quelli che oggi possono apparire dei regali fatti alla prospettiva di un consolidamento del regime berlusconiano domani potrebbero essere in realtà le chiavi del suo superamento. Per essere chiaro: sono più forti a mio avviso i rischi che si riproduca in forme parzialmente diverse il vecchio (una coalizione predominante di centro-destra disomogenea e irresponsabile, contro una sinistra pasticciona e antisistema) piuttosto che avanzi un nuovo autoritarismo. Anche per questo, sulla strada dell'innovazione istituzionale, non ci si deve fermare a metà del guado.
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