dallo stesso movimentopolitico di Bossi), allo stato disponiamo solo di chiacchiere o «scarabocchi» (l'espressione è di Spadolini). Terza osservazione: spesso si ha l'impressione che, alla fine, quando si agita la bandiera del federalismo, non ci si discosti dai binari di un neoregionalismo spinto, sul tipo di quello prefigurato dalla Commissione bicamerale istituita nella scorsa legislatura, che fa perno sul rovesciamento delle attribuzioni dei poteri tra Stato e regioni, a vantaggio di queste ultime, in base al principio di sussidiarietà. Circa la forma di governo, si va da un modello neoparlamentare a uno presidenziale sino a un modello semipresidenziale. La mia opinione è che l'ipotesi di premierato (cioè di un capo del governo eletto direttamente dal popolo) sarebbe controindicata per due ragioni: a) dopo l'introduzione della regola elettorale maggioritaria uninominale che già privilegia le esigenze della governabilità su quelle della rappresentanza e la personalizzazione delle leadership, rappresenterebbe un'obiettiva alterazione dell'e- {)!.LBIANCO ~ILROSSO • n•i.-m, a ;J quilibrio di cui si nutre ogni regime democratico; b) esporrebbe al rischio di una coabitazione difficile e, al limite, paralizzante tra poteri (premier e Parlamento) entrambi legittimati dal popolo e, nel caso, di segno politico diverso. Ma il nodo più problematico, a mio avviso, è il terzo. Quello della continuità dei principi-valori costituzionali di rilievo architettonico. Intendiamoci: formalmente, nessuno (o quasi) enuncia il proposito di rimetterli in discussione. Ma, attenzione: a smentirli, nei fatti, potrebbero essere le prassi, i comportamenti degli attori politici e istituzionali. Si pensi al capitolo dei diritti sociali e, più concretamente, alla tenuta dello Stato sociale, ancorché da riformare; si pensi al momento partecipativo rispetto a quello della delega negli istituti della democrazia (compresa la nozione classica di partito); si pensi, ancora, agli indirizzi della politica estera praticati sin qui dal nostro paese, di stampo europeistico e informata agli ideali della cooperazione e della pace, si pensi, infine, all'idea stessa delle istituzioni (da quelle 29 elettivo-rappresentative come il Parlamento a quelle preposte al corpo dei magistrati come il Csm), da preservare nella loro imparzialità in quanto patrimonio di tutti. Non è necessario essere maliziosi per registrare segnali non precisamente rassicuranti al riguardo da parte di settori della maggioranza politica. Di qui il dovere di vigilare e, contestualmente, di operare positivamente per favorire le innovazioni ragionevoli e utili. Anche perché non passi l'idea che chi si oppone agli «sgreghi» della Costituzione sia, per definizione, un nostalgico conservatore. Ne ricaverei la conclusione, tutta politica, che i fronti privilegiati della battaglia delle opposizioni potrebbero essere appunto i seguenti: la tenuta delle garanzie costituzionali, lo Stato sociale, la democrazia economica, gli istituti della partecipazione, la politica estera. Su queste materie, non dovrebbe essere difficile attivare sinergie tra gli spezzoni che compongono l'opposizione e, a partire di lì, far maturare le condizioni di un'alternativa politica all'attuale maggioranza.
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