da», cioè che prevede per la sua revisione la duplice garanzia della speciale procedura rinforzata di approvazione parlamentare e del sindacato della Corte costituzionale. Fra tali costituzioni, inoltre essa è considerata una fra le più rigide, in quanto si deve ammettere - per opinione prevalente della dottrina e per concorde giurisprudenza della Corte costituzionale - l'esistenza di limiti espliciti e impliciti allo stesso potere di revisione. Ciò significa, dal punto di vista giuridico, che non tutta la Costituzione può essere riformata, che alcune disposizioni concernenti i principi fondamentali sono irreformabili, che una modifica di tali principi è illegittima e annullabile avanti alla Corte Costituzionale. Anche la riforma delle norme emendabili della Costituzione è leggittima e censurabile, se attuata attraverso procedure di approvazione diverse da quelle previste dagli artt. 132 e 138Cast. Qualora ipotesi di riforma illegittima riescano ad essere approvate superando gli ostacoli costituiti dagli istituti di garanzia, ci troveremo di fronte ad una totale discontinuità con l'ordinamento giuridico precedente, a un vero e proprio «colpo di Stato» non violento. Sono ipotesi «rivoluzionarie» che potrebbero divenire la bass di un nuovo ordinamento soltanto se riuscissero ad imporsi nel fatto. Limiti espliciti al potere di revisione (direttamente previsti dalla Costituzione) sono il principio dell'inviolabilità dei diritti dell'uomo, individuali e collettivi (art. 2); l'unità e indivisibilità della Repubblica - nel riconoscimento delle autonomie locali (art. 5) e con il divieto di istituire regioni con popolazione numericamente inferiore al milione di abitanti (art. 132comma I); la forma repubblicana dello Stato, con i corollari dell'eleggibilità e temporaneità del Capo dello Stato (art. 139). Quanto ai limiti impliciti e al loro fondamento, la Costituzione contiene «alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale, neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali, ... che ... ap- {)!LBIANCO "-'l., ILROSSO • 11•)-1#1 •H ;J partengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione stessa» (Corte costituzionale, sentenza n. 1146 del 1988). Tali principi sono stati così individuati: diritti inviolabili della persona (C. cast. sentenza n. 170 del 1984), principio solidaristico e di eguaglianza formale e sostanziale (artt. 2 e 3), principi di sovranità popolare e democrazia, di tutela del lavoro (art. 1 commi I e 2), laicità dello Stato a tutela della libertà religiosa (C. cast. sentenza 11 aprile del 1989), principio internazionalistico (artt. IOe 11). La ragione profonda della proclamazione costituzionale di tali principi supremi e della loro irreformabilità sta nel fatto che essi sono posti soprattutto a garanzia delle minoranze e che perciò essi sono indisponibili per qualsiasi contingente maggioranza di Governo. In questa chiave va letta la lettera con la quale il 9 maggio 1994 il Presidente della Repubblica ha richiamato la responsabilità del presidente del Consiglio incaricato, Berlusconi, in ordine alla tutela dei principi fondamentali dello Stato democratico. Il contenuto dei predetti principi ha condotto gli interpreti a ritenere che nel nostro ordinamento soltanto la forma di governo, non la forma di Stato, è oggetto di revisione. Infatti, la Costituzione non prevede che si possa convocare un'assemblea costituente - che per sé sarebbe l'unico strumento idoneo e costituzionalmente corretto (ove eletta con sistema proporzionale) - al fine di operare la revisione della forma di Stato. Per la revisione della forma di governo sono previste due procedure «rinforzate»: l'una è di portata generale ed è prevista nell'art. 138. L'altra è contenuta nell'art. 132ed opera per la fusione di regioni fra loro o per lo smembramento di una regione. La procedura dell'art. 138 stabilisce che la legge di revisione deve essere approvata da ciascuna Camera in «due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi» e che nella seconda votazione deve essere 22 approvata «a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera». Se nella seconda votazione di ciascuna Camera la legge di revisione è stata approvata con maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei componenti, la legge stessa può essere sottoposta a referendum popolare, quando entro tre mesi ne facciano domanda «un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali». Per la fusione o lo smembramento di regioni, l'art. 132aggiunge un ulteriore iter parlamentare a quello previsto dall'art. 138. Invero l'avvio della legge costituzionale di riforma (dell'art. 131 che elenca le regioni) deve essere preceduto: a) - dalla richiesta di «tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate»; b) - che «la proposta sia stata approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse»; c) - che sia stato acquisito il parere dei Consigli regionali coinvolti. È da ricordare che, per dare snellezza ed autorevolezza politica ai lavori di revisione, la legge costituzionale n. I del 1993ha parzialmente derogato all'art. 138 e ai regolamenti parlamentari. Ha previsto che per l'oggetto dei suoi lavori la Commissione bicamerale svolgesse funzioni referenti congiunte per ciascuna Camera, con obbligo di presentare entro sei mesi un progetto organico di revisione costituzionale. E stato consentito che nel corso dei lavori di commissione ciascun deputato o senatore potesse presentare emendamenti, ed è stata prevista la nomina di uno o più deputati e senatori con funzioni di relatore nonché la presentazione di relazioni di minoranza (art. I). La discussione e l'approvazione da parte di ciascuna assemblea è stata lasciata alle norme vigenti dei rispettivi regolamenti, ferma restando la regola della maggioranza assoluta dei componenti. Infine, è stato previsto che il progetto di revisione costituzionale fosse sottoposto a referendum · indipendentemente dall'entità dei voti parlamentari favorevoli (art. 3).
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