Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 51 - mag.-giu. 1994

{)!LBIANCO "-",,JLROSSO • 11•t•-'ffl a ;I Salvaguardarie«principi», e lacentralitdàelParlamento D i fronte alla situazione di «svolta» che si delinea nel nostro sistema politico occorre innanzitutto dar prova di quello che Mounier chiamava «sangue freddo spirituale». Non è il caso, riteniamo, di abbandonarsi a inutili allarmismi o di ipotizzare radicali e traumatici stravolgimenti della Costituzione. I vincitori di marzo sanno assai bene che la maggioranza del paese è contro di loro e che, quando si affrontano temi così delicati, contano certo i seggi, ma anche i voti, e soprattutto la coscienza popolare, il costume civile, la vitalità democratica di un paese. Non mancano certo nella «nuova destra» i decisionisti, ma essi non avranno certo vita facile. Bisogna preliminarmente prendere atto del fatto che una seria riforma costituzionale ormai da molto tempo si imponeva e si impone, soprattutto in ordine alla ridefinizione dei poteri, alla luce dei mutamenti intervenuti nella società italiana e nello stesso quadro internazionale, caratterizzato da una presa sempre più forte della Comunità europea sulla legislazione italiana. La stagione dei compromessi, delle mediazioni, dei prolungati immobilismi derivanti dall'incapacità di scegliere è inevitabilmente alla nostre spalle. È egualmente superata la stagione degli eccessi garantistici, che oltre tutto rischiano soltanto di «garantire» ciò che rappresenta la componente meno nobile e meno degna di protezione del passato. D'altra parte tanto le sinistre quanto di Giorgio Campanini le forze di centro democratico hanno da tempo preso posizione sulla necessità di modificare la Costituzione in alcuni nodi fondamentali, pur lasciando in piedi la fondamentale intelaiatura dei diritti civili e di libertà della persona, quale risulta soprattutto dai Princi· pii fondamentali e dalla I parte della Carta Costituzionale. Il limite storico dei sostenitori di un'intelligente e saggia revisione costituzionale è stato quello di non essere riusciti - anche quando avevano una maggioranza superiore ai due terzi - a raggiungere 19 un ragionevole accordo, ed è appunto questa la differenza fondamentale fra lo scenario del 1946-47e quello degli ultimi venti anni. La destra tecnocratica, localistica e conservatrice (per non dire, in alcune sue componenti, francamente reazionaria) aspira oggi a fare quello che sinistre e centro non riuscirono a realizzare. Non resta che attendere il corso degli avvenimenti; ma in tale attesa occorre stabilire alcuni punti fermi. Il primo punto fermo riguarda la serietà e la correttezza degli adempi· menti procedurali. L'art. 138della Costituzione rappresenta un'indicazione precisa, ed insuperabile, in ordine a due specifici temi: là dove ipotizza una «revisione» e non un «rifacimento» o una «riscrittura» della Costituzione; e là dove indica i passaggi necessari, e le maggioranze qualificate che dovranno sancirli. È certo una procedura lenta, deliberatamente lenta, ri· spetto alla quale vi può essere nei «decisionisti» la tentazione di percorrere scorciatoie di dubbia costituzionalità. Sul fatto che ogni modifica della Costituzione debba passare dalla griglia dell'art. 138 non dovrebbero esservi dubbi: un ipotetico tentativo di supe· rare l'ostacolo cominciando con la modifica di tale articolo dovrebbe incon· trare in Parlamento, ma se necessario anche e soprattutto nel paese, un'insormontabile resistenza. Il secondo punto fermo concerne i limiti, essi pure invalicabili, della ri· forma costituzionale, che dovrebbe escludere i principii fondamentali e la prima parte ed orientarsi preferenzialmente sulla ridefinizione della forma

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