tentazioni di irrigidimento autoritario da parte del Premier. Mentre il primo schema tende a realizzare il «modello Westminster», questo secondo appare una forma di presidenzialismo surrettizio. Questa distinzione mi pare necessaria: lo dico con forza perché l'equivoco viene alimentato da più parti: da chi vuole far passare il presidenzialismo con una più nobile etichetta «neo-parlamentare» e da chi (tra questi Sartori) accomuna l'uno e l'altro per proporre invece un modello semipresidenziale (Sartori non è solo impegnato nella battaglia contro il cosiddetto «Mattarellum» ma anche dagli anni scorsi a favore in un modello neopresidenziale). Tra l'altro il presidenzialismo si basa su una visione superata della separazione tra potere legislativo ed esecutivo che indebolisce l'uno e l'altro: la legge non è soltanto norma generale che limita l'attività del Governo, ma tende essa stessa ad essere atto di Governo; d'altro canto il Governo ha vieppiù bisogno di essere soggetto di produzione normativa. Quanto allo «Statuto dell'opposizione» i principali elementi mi sembrano essere i seguenti: poteri di inchiesta su iniziativa di minoranze significative, elevazione dei quorum per l'elezione dei membri del Csm e della Corte di derivazione parlamentare, possibilità di ricorrere al referendum approvativo di riforme costituzionali in tutti i casi e non solo quando la maggioranza parlamentare non superi i due terzi, non modificabilità delle leggi elettorali nella parte finale della legislatura, limitazionedell'utilizzo della «questione di fiduca» ai soli contenuti del programma di Governo e mai comunque in materia di libertà civili e politiche. Si potrebbe poi pensare anche all'introduzione del ricorso preventivo alla Corte Costituzionale su iniziativa di minoranze significative, ma sono attentamente da valutare i pregi e i difetti. L'esperienza è stata in molti Paesi positiva: ha limitato effettivamente i rischi di arbitrio delle maggioranze (si veda ad esempio l'intervento del Conseil francese su ritaglio dei collegi da .{)!LBIANCO "-"' ILROSSO 111 •AA!•a;1 parte del centro-destra nel 1986)ma vi è il rischio di immettere troppo diretta - mente la Corte nel circuito dell'indirizzo politico. Mi preme anzitutto relativizzare la querelle tra federalismo e regionalismo. La realtà è che oggi in Europa siamo di fronte ad un duplice processo che tende a superare la dimensione esclusiva dello stato nazionale sia verso l'alto (integrazione comunitaria) sia verso il basso (valorizzazione delle r'ealtà regionali). Ci si muove sempre e comunque nella fascia intermedia di un continuum che vede agli estremi da un lato lo Stato centralizzatore giacobino e dal!'altro la mera dispersione microterritoriale. In questo «continuum» il riferimento al federalismo non designa necessariamente realtà più spostate verso la dispersione rispetto alle altre. Le Regioni spagnole hanno infatti più poteri dei Lander dell'Austria; e non è l'unico caso. 17 La distinzione nominale più che all'estensione dei poteri finisce normalmente per far riferimento alla genesi di ciscuna forma di Stato: si parla di federalismo dove entità in origine separate tendono ad unificarsi, dove il foedus si organizza (si pensi alla Repubblica Federale Tedesca), si parla normalmente di regionalismo dove un'entità statuale unitaria si decentra. È vero che dallo Stato unitario si è passati al federalismo in Belgio e in Cecoslovacchia (in quest'ultimo caso prima della vera e propria separazione), ma si tratta di realtà talmente solcate da fratture etnico-linguistiche e, nel caso cecoslovacco anche di una transizione ad un modello democratico dopo la fine del comunismo, che le rendono non comparabili a Stati segnati invece da maggiore omogeneità interna. Preferisco quindi nel caso italiano parlare di «regionalismo forte», al limite anche di «ispirazione federalista». Ma, come accennato, è bene non fossilizzarsi sulle pur importanti questioni terminologiche. Decisivo assestarsi sugli standard europei di autogoverno regionale evitando i limiti dei passati tentativi operati nel nostro Paese, ma anche quei modelli estremi proposti in talune suggestioni leghiste, come quello delle «Tre Repubbliche» che non ci darebbero l'autogoverno ma dei centralismi a livello leggermente più basso e che, se combinati con poteri di veto sul Governo nazionale, aprirebbero la porta a spinte secessionistiche. Per un regionalismo più efficace penso che nei prossimi mesi dobbiamo anzitutto concentrare la nostra attenzione sul contenitore, ovvero sulla forma di governo e sulla legge elettorale prima che sul contenuto in senso stretto (competenze, limiti, ecc.). Mi preoccupa infatti la presentabilità di una proposta (l'allargamento delle materie di competenza regionale, quindi del «contenuto regionale»), prima che si sia riusciti a prendere decisioni sulla modifica del contenitore, ossia della forma di governo e della legge elettorale. Tenendo conto che difficilmente le
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