ISS 1120-7930- SPED.ABB.POST.- GR. mno% ~lLBIANCO l.XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO • • •• • • ·• . •• Lapropostadei Cristiano-Sociali peruna«cittadinandzeamocratica» - Cristiano-Sociali, nella stagione poli- I tica che si è aperta con le elezioni del 27 marzo scorso, vogliono concorrere alla formazione di una nuova forza politica di carattere federativo, che possa rappresentare una efficace al- - ternativa alla maggioranza attuale. La nuova aggregazione politica non potrà essere semplicemente la riproposizione del «polo progressista» quale si è presentato alle ultime elezioni. L'insuccesso di tale schieramento non è dipeso solo dalla presenza in esso di forze difficilmente compatibili con un programma e una proposta di governo, ma anche dalla immagine che esso ha offerto di 51 ANNOV0 • MAGGIO-GIUGN1O994• L.7.000
*** Giorgio Tonini Pietro Merli Brandini Giovanni Gennari Augusto Barbera Giorgio Campanini Piero Casadei Monti Stefano Ceccanti Sergio Fabbrini Luciano Guerzoni Franco Monaco Gianfranco Pasquino Mario Segni Francesco Traniello Salvatore Vassallo Costantino Mortali Enzo Friso Romano Forleo Vittorio Ferla Gian Mario Albani Bruno Amoroso Raffaele Bruni Marco Aurelio Garcia Ermanno Gorrieri Piene Carniti INQUESTONUMERO EDITORIALE La proposta dei Cristiano-Sociali per una «cittadinanza democratica» ATTUALITÀ Italia 1994: tra Westminster e il Far West pag. 1 pag. 5 An: un programma «nostalgico» che corre al centro, ma non trova pag. 7 La cultura della «sinistra»? Ha aperto la strada alla «destra» pag. 10 DOSSIER Quale riforma delle istituzioni per la «seconda» Repubblica? Riforme: tra presidenzialismo e federalismo, ma con attenzione Salvaguardare i «principi», e la centralità del Parlamento Per una «transizione» guidata attraverso la coscienza dei limiti Tra vecchio e nuovo sistema: i «nodi» da sciogliere subito Per un «cambiamento» che sia realmente tale Sì allo «Stato delle autonomie» No alla «Repubblica federale» Attenti ai «riformisti» che ci riporterebbero indietro Un vero federalismo: europeista, regionale, non alla Miglio Una riforma vera e moderna: elezione diretta e doppio turno Come governare la transizione istituzionale? Riforme: maggioranza in difficoltà. Ma l'opposizione sa quel che vuole? DOCUMENTO La Costituzione e la crisi INTERVENTI Attualità perenne del 25 aprile: contro la tirannia di ogni ingiustizia Ora la destra governi. Noi prepariamo l'alternativa Fuci '94: Chiesa sinodale e progettuale Italia solidale e democratica Luigi Morelli: una memoria di impegno sempre vivo EUROPA E IL MONDO pag. 16 pag. 19 pag. 21 pag. 24 pag. 25 pag. 27 pag. 28 pag. 30 pag. 32 pag. 33 pag. 35 pag. 37 pag. 42 pag. 46 pag. 48 pag. 51 Nuova geo-politica e geo-economia: il rischio del vero «fascismo» pag. 53 Un europeismo per l'oggi riparte dalle politiche sociali pag. 55 Una nuova sinistra in America Latina pag. 58 CRISTIANO-SOCIALI NOTIZIE Cristiano-Sociali nelle liste Pds: equilibrio tra identità e presenza pag. 59 Lettera agli elettori pag. 60 Nota sulle questioni d'organizzazione del lavoro politico dei Cristiano-Sociali pag. 61 Le illustrazioni di questo numero sono di Wasslly Kandinsky
{)~BIANCO 0LILROSSO • 8 Q N111 ;J t+ 1I M una operazione di vertice e di un coacervo di partiti o pezzi di partito. La nuova formazione dovrebbe nascere invece da una ampia mobilitazione di base, analoga a quella che ha sostenuto l'iniziativa referendaria e che ha reso possibile, poi, il successo di candidature democratiche nelle elezioni amministrative del giugno e del dicembre dell'anno scorso. Occorre andare oltre la logica dei partiti ma non contro i partiti. Nella tumultuosa trasformazione del sistema politico italiano, che la modifica delle regole elettorali ha avviato, i nuovi soggetti della politica non sfuggiranno alle tentazioni e alla logica effimera della «telecrazia» se non sapranno raccogliere tradizioni e valori che le vecchie militanze di partito hanno espresso in passato. Con questo atteggiamento i Cristiano-Sociali intendono guardare al travaglio del Partito popolare in questa fase difficile della sua storia. Il ruolo di opposizione che il Partito popolare ha assunto potrà favorire un coordinamento di iniziative a livello parlamentare. Ma ancor più importante è il coinvolgimento della base del Partito popolare in un ampio disegno di alternativa democratica alla attuale maggioranza. Certo, il Partito popolare avrebbe potuto rappresentare con una scelta tempestiva, e con un rinnovamento radicale di classe dirigente, il cardine come in Germania, di uno schieramento moderato alternativo alla sinistra; avrebbe potuto cioè rappresentare il nudeo forte di una destra autenticamente democratica ed europea di cui la democrazia italiana ha certamente biso3 gno. Ma oggi quegli spazi sono occupati da una destra che non è certo di livello europeo e che sotto molti profili non offre piena garanzia democratica. L'aggregazione del Partito popolare a questa destra lo riporterebbe a un ruolo subalterno analogo a quello dei clerico moderati all'inizio del secolo. Vi sono forti motivi per sperare che, posto ormai di fronte alla stretta di una scelta radicale fra subalternità a questa destra e impegno attivo alla costruzione di una grande alternativa democratica nel nostro paese, il Partito popolare fedele alla sua ispirazione profonda, scelga la seconda via e i Cristiano-Sociali vogliono essere elemento di sollecitazione per questa maturazione. Con questo stesso atteggiamento i CristianoSociali guardano al partito della sinistra che ha retto alla prova elettorale, il Pds, ma che da solo e con i suoi alleati di sinistra non può e non potrà realizzare la auspicata alternativa alla maggioranza attuale. Di fronte al dibattito che si è aperto nel Pds non è produttivo l'atteggiamento di chi, dall'esterno, pretende di dettare e di imporre le condizioni di una evoluzione del Pds verso un fantomatico «partito democratico» da far nascere quasi per decreto qui e ora; anche su questo versante non si cancella la storia. Si tratta invece di accompagnare con una critica costruttiva e con fiducia, il processo che è in atto in quel partito offrendo, per così dire, una sponda esterna che lo favorisca e lo condizioni nei suoi sviluppi verso la realistica prospettiva di una ampia federazione di forze democratiche, unite da un programma di governo comune, che siano in
U!LBIANCO ~ILROSSO • i 11 i 111 ;J t-111 grado di presentarsi alle prossime elezioni politiche con la proposta forte e credibile di una candidatura di governo non partitica analoga a quella che ha reso vincente lo schieramento democratico nelle elezioni amministrative in tante città italiane. È essenziale per questo che cada ogni pregiudiziale discriminazione nei confronti del Pds e che si apra la via di una collaborazione critica costruttiva. A fianco alle componenti di provenienza cattolica e di sinistra democratica, resta fondamentale l'apporto della cultura riformatrice di area socialista della tradizione laica e dei movimenti ambientalisti. Il confronto dovrebbe aprirsi parallelamente sul piano locale e nazionale. Occorre da un lato mobilitare nelle realtà cittadine e alla base del paese tutte le forze disponibili all'esercizio di una «cittadinanza democratica» attiva e responsabile, contribuire dall'altro, in sede nazionale, alla elaborazione di proposte e di programmi coerenti. Rimane essenziale, a questo fine, sul piano istituzionale, il compimento di un disegno riformatore che realizzi nel nostro paese, dopo la lunga stagione della democrazia dei partiti, una democrazia dei cittadini, una democrazia matura, cioè in cui gli elettori con il loro voto siano arbitri non solo della elezione dei singoli deputati, al di là della vecchia logica della delega partitica, ma anche della scelta di governo in una democrazia fondata realmente sul principio delle autonomie locali, intese non come strasferimento di poteri centrali, ma come esercizio 4 reale di autogoverno nel quadro della unità e della solidarietà nazionale. Altrettanto essenziali sono gli obiettivi: 1) della partecipazione al processo di unificazione europea in chiave non solo economica ma politica per la realizzazione della dimensione europea della «cittadinanza democratica»; 2) della ridefinizione del volto dello Stato sociale in termini di solidarietà e di efficienza; 3) della proposta di un modello di sviluppo che non consideri il dato ambientale semplicemente come un limite ma come un elemento qualificante dello sviluppo medesimo. La Costituzione della Repubblica italiana, che ha saputo tradurre in termini universali e positivi la grande esperienza storica del!'antifascismo e della Resistenza, è il firmamento dei valori cui ispirarsi per questa opera: ma la Costituzione repubblicana non ha potuto dispiegare tutte le sue potenzialità nel senso auspicato di una cittadinanza democratica proprio in ragione del ruolo esorbitante dei partiti e del conflitto ideologico che ha caratterizzato una lunga stagione della storia della Repubblica. Oggi, venute meno le ragioni storiche di quel conflitto, si apre la possibilità di un pieno dispiegamento della potenzialità della nostra carta Costituzionale: modifiche e aggiornamenti, anche incisivi, del testo costituzionale, specie nella sua seconda parte, dovranno tendere appunto a questo fine. I Cristiano-Sociali si rendono fin d'ora disponibili nel loro impegno in parlamento fra le forze di opposizione, ad una ricerca comune nel senso indicato.
ATTUALITÀ Italai 1994: traWestminsterilFarWest di Giorgio Tonini annes, Francia, 19 maggio 1994. Davanti e ai giornalisti e ai critici cinematografici di mezzo mondo, Nanni Moretti parla di politica: «Trovo preoccupante che il capo del governo italiano sia una persona che ha accumulato un impero nel campo dell'informazione, uno che ha acquisito un immenso potere grazie al vecchio sistema e all'assenza di leggi. Sento il dovere di dirlo non perché io sia attraversato da astratti furori politici, ma perché sono un appassionato tifoso delle regole e della legalità. E non mi sembra che nell'Italia di oggi ci sia molto rispetto né per l'una né per le altre. . . Il mio prossimo film? Sarà un western. Non un western all'italiana, ma un western sull'Italia di oggi. Si intitolerà Senza tatto né legge». Roma, Italia, 19 maggio 1994. Nell'aula di Montecitorio si fa silenzio. Prende la parola l'expresidente della Camera, Giorgio Napolitano. «Siete chiamati a governare - dice rivolto a Berlusconi, ai suoi ministri e ai suoi deputati - ma non potete giustificare qualsiasi intento con la formula "il popolo l'ha voluto". Non vi si deve impedire di governare, ma non si può da parte vostra pensare di poter imporre qualunque cosa con la forza dei numeri ... » Il Lord Carrington della politica italiana conquista, ancora una volta la stima di compagni ed avversari. Il Cavalie5 re scende dai banchi del governo e va a stringergli la mano, tra gli applausi della maggioranza che si confondono con quelli dell'opposizione. In che razza di Italia ci sta portando, Silvio Berlusconi? Sarà un'Italia più simile al «modello Westminster», o invece un'Italia ancora più Far West di quella che abbiamo conosciuto? La nuova Italia è quella che teme Moretti, o quella in cui fa sperare la stretta di mano di Montecitorio? È questa la domanda che inquieta il paese, a sua volta diviso: c'è chi spera che il governo Berlusconi sia il primo di una nuova Repubblica, finalmente compiutamente assimilabile alle grandi democrazie occidentali; e c'è chi fa carte false per trattenere il nuovo corso nella rassicurante palude del vecchio, nella stravecchia Italia del gattopardo che tutto cambia perché tutto resti identico. Il governo, nei fatti e nei gesti, nelle parole e nei simboli, non aiuta a capire. C'è Martino il thatcheriano insieme a Mastella Clemente da Ceppaloni. C'è l'appello tory all'Italia che produce, insieme allo scivolone sudamericano sulla Repubblica fondata sulla pelota. C'è la riaffermazione orgogliosa (e dialetticamente salutare) della fede liberaldemocratica occidentale, che deve convivere con le ambiguità della Lega sulla questione nazionale, con le reticenze di Fini sul fascismo e con l'esibizione dei muscoli Finin-
{)!LBIANCO ~ILROSSO Mikidl•li vest: ambiguità, reticenze, esibizioni che inquietano l'Europa e l'Occidente, trasformano l'Italia da sorvegliata speciale per rischio comunista in sorvegliata speciale per rischio neo-autoritario-videocratico-fascisteggiante con pericolose tendenze al separatismo. Insomma, non ci si capisce nulla. Le tentazioni separatiste, o perlomeno di federalismo spinto, della Lega sono definitivamente accantonate, come teme Miglio, o solo tatticamente rinviate, come giura Bossi? E sul fascismo, per quanto possa apparire stanca e stucchevole questa polemica, la rottura di Fini arriva fino al punto di dire che è stato un bene che quella guerra non l'abbia vinta il nonno di Alessandra, o ci si ferma molto prima, per esempio, alla riaffermazione che il Cavaliere (l'altro, Benito) è stato il più grande statista del secolo? Quanto al rapporto Fininvest-Forza Italia-Governo, davvero dobbiamo accontentarci della parola del Berlusca, in barba a quella rivoluzione liberale i cui propagandisti (o meglio sarebbe dire quei pubblicitari) ignorano essere fatta di regole imparziali chiaramente codificate e non di strizzatine d'occhio e gomitate ammiccanti? È questa incertezza dell'area di governo uno dei fattori che spiegano anche l'incertezza dell'area dell'opposizione. Con chi abbiamo a che fare, noi progressisti: con un governo conservatore - il primo dichiaratamente tale della storia dell'Italia repubblicana - che ci costringerà alla dura legge del «pane e acqua» che spetta all' opposizione in ogni democrazia dell'alternanza; o con un nascente regime, tipo Mussolini nell'ipotesi più tragica, o tipo Caf in quella più blanda? È evidente che la risposta più plausibile è che si tratti di un governo conservatore liberale, dai molti tratti di continuità col regime partitocratico e con qualche tratto di nostalgia, al momento più retorica che pericolosa, per il regime fascista. Ma l'ambiguità Berlusconiana fornisce alibi a manciate a quell'anima della sinistra, diffusa ben oltre i confini della sinistra estrema, che teme di non sapere recitare il difficile compito dell' op6 posizione e quindi spera di poter contare sul!'alibi eroico di una nuova resistenza. Analoghi effetti produce l'ambiguità berlusconiana su ciò che resta di un sogno centrista, dilaniato e paralizzato dalla tensione tra le opposte tentazioni della demonizzazione del Cavaliere e della subalternità alle sue categorie interpretative. Anche coloro che, nel Pp e nel Patto, vedono Berlusconi come il male radicale, e quindi scomunicano quanti, a grappoli, si dirigono verso di lui, non riescono a darsi una prospettiva politica che non subisca l'egemonia culturale della nuova destra: a cominciare dal giudizio sulla sinistra, con la quale non si vuole dar vita ad un tavolo di confronto, anche serrato e conflittuale, ma si vuole riproporre uno steccato ideologico. Il centro si divide così tra quanti con Berlusconi vogliono trattare subito e quanti pensano si possa meglio trattare domani: i primi, con l'obiettivo di sedersi subito al tavolo della destra, alla quale pur di sopravvivere sono disposti a concedere subito il èertificato-Westminster; i secondi, notoriamente incuranti del principio di non-contraddizione, con l'obiettivo invece di ricostruire un grande centro, da Forza Italia ad Alleanza democratica, e di fare di esso un argine àl Far West, come se non fossero stati proprio i governi «del centro» gli infaticabili registi del lungo western italiaho. Tanta è la confusione sotto il cielo e tuttaltro che eccellente è quindi la situazione per chi spera in un'evoluzione democratica del caso italiano. Ma la polvere e il fumo della battaglia, la più aspra battaglia politica italiana dopo il '48, si diraderanno nei prossimi mesi. Gradualmente, si capirà di che pasta è fatto davvero questo governo. E gradualmente, si chiariranno anche le idee in testa a progressisti e centristi. Nel frattempo gli italiani staranno a guardare. A Berlusconi hanno consegnato un grande potere, un po' guardando Westminster un po' facendo finta di non vedere il Far West. Ma non gli hanno dato una delega in bianco. Gli esami verranno presto e saranno severi. Sta a chi ha perso le elezioni fare di questi esami un'opportunità per il futuro.
{).!J, BIANCO ~ILROSSO iii•ii••ii An:unprogramma«nostalgico» checorrealcentro,manontrova di PietroMerliBrandini iteniamo di essere noi, il nostro mondo (quello del Msi-Dn) i portatori dei valori della nostra civiltà e della cattolicità». Così si apre il programma di Alleanza Nazionale con l'evidente pretesa di fare dell'Msi il partito dei cattolici, deviando il corso secolare della storia dei cattolici in politica. È una contestazione per lo più passata inosservata. Maproseguiamo. La storia dei cattolici democratici rientrerebbe nello «sforzo perverso I...] teso a far perdere al popolo italiano la propria identità storica ed i propri caratteri religiosi, culturali, civili; un processo che negli ultimi 50 anni è stato subdolamente realizzato anche ad opera della Dc che ha affermato di essere l'esclusivo rappresentante politico dei cattolici italiani». I cattolici democratici sconvolgendo la tradizione di fede e di cultura degli italiani, li avrebbe trasformati «in sudditi obbedienti al mondialismo e al consumismo». La Dc si sarebbe fatta complice del tradimento di ogni principio morale, mentre sarebbe stato necessario difendere l'identità culturale e religiosa del passato. In nome della quale, un certo grado di xenofobia, è inevitabile visto che, sotto ciascuno di noi, c'è «sempreun terrone». Non manca l'appello ad una concezione cattolica della famiglia, del diritto alla vita, del controllo della biotecnologia che è certamente un valore comune dei cattolici tutti. Ma al di là di questo, ben al di là del generico antifascismo, le ragioni di una separatezza politica rimangono tutte. Non è qui il caso di approfondire da dove proviene l'accusa ai cattolici democratici di aver tolto l'identità culturale e religiosa al popolo italiano. 7 Un'intera arco di cultura premoderna, che si muove dentro Alleanza Nazionale e non necessariamente di marca fascista, si è sempre preoccupata di sconfessare tutto il presente, dalla rivoluzione francese ed americana, alla democrazia parlamentare, alla industrializzazione, alla modernizzazione. È quella cultura che da decenni si scaglia contro !'«americanismo» inteso come piatto pragmatismo senza valori, subordinazione alla tecnologia, materialismo, consumismo. È la filosofia della «rivoluzione conservatrice» intesa nel senso radicale di «ritorno al passato». Un tormentone che da decenni scuote inutilmente l'Europa. Discorso che nasce e muore tra élites intellettuali anche se nella più totale estraneità dei popoli. «Una conservazione senza passato, una rivoluzione senza futuro» così qualcuno nella storia della cultura di destra ha rappresentato il dramma del doppio suicidio della cultura conservatrice da una parte e della cultura progressista dal- !' altra. Eppure, sempre da destra si annota che proprio nella sconfitta della progettualità rivoluzionaria e della fedeltà conservatrice trionferebbe il consumismo. Con l'evidente validità del reciproco: il consumismo può essere vinto solo, o con una progettualità rivoluzionaria o con una rigida fedeltà conservatrice. Si dirà che queste sono riflessioni di intellettuali portati mentalmente a portare i ragionamenti al limite. Sarà un caso ma in queste elezioni si sono presentati schieramenti a destra e sinistra, nei quali non si può escludere, che queste categorie storiche cerchino di riemergere e di affermarsi. È in questa cornice che vanno ricordate le accuse di pragmatismo e di americanismo rivolte alla Dc, ad esempio da Baget Bozzo. Galli della
{)!LBIANCO ~ILROSSO • • Loggia dal canto suo considerava il democristiano «un corpo estraneo» al Paese, mentre Carmelo Ottaviano, filosofo cattolico, attribuisce alle aberrazioni della Dc addirittura la responsabilità di ridurre la Chiesa ad un puro ricordo. Infine Giano Accame qualifica la Dc come il «partito delle vacanze dalla storia». Così dalla destra di governo affiora un programma intimamente guelfo, da braccio secolare della Chiesa, che sinceramente appare fuori del tempo. Non ci vuole molto a capire che tutto ciò fa riemergere, quella mistura di cultura spiritualista, antimodernista, monistica, autoritaria ed intollerante che ha visto partecipe, (neppure troppo gradito), parte dell'integralismo cattolico. Ma guardando alla storia della prima metà del secolo, a destra ed a sinistra, si arriva a capire ciò che c'è dietro. Non esattamente concezioni liberaldemocratiche, di tolleranza, di pluralismo, di apertura critica al nuovo e alla modernizzazione nel rispetto dei valori presenti nella società. I cattolici democratici, dai popolari di Sturzo alla Dc di De Gasperi, Fanfani, Moro e Martinazzoli hanno saputo fare dei cattolici ghettizzati od autoghettizzati o tollerati dal liberalismo ottocentesco, dei cittadini. Dei cittadini che sono stati per 40 anni - e non senza difetti - punto di riferimento per cittadini laici e socialisti, coi i quali hanno governato. Questi cittadini hanno saputo conciliare i valori cristiani con gli assetti liberaldemocratici, hanno eliminato egemonismi, integralismi e intolleranze, per dialogare e convenire con il mondo laico e socialista le linee di governo per tutti i cittadini italiani. 8 Secondo gli stessi orientamenti del Concilio Vaticano II, hanno saputo distinguere le responsabilità della Chiesa da quelle dei cittadini cattolici nello Stato. Hanno distinto le loro responsabilità quando lo imponeva la loro coscienza (aborto, divorzio, ecc.). Hanno modernizzato il paese sottraendolo a visioni parrocchiali (velleitariamente italo-centriche come ancora invoca l'Msi) e avviato irreversibilmente l'integrazione dell'Italia nella Comunità europea ed in quella internazionale. Quella destra di governo propone ancora una discriminante pro o contro «l'america way of !ife». Un dato simbolico di significato ben più ampio e ben più conservatore. È un simbolo che destre e sinistre, hanno agitato in Europa sin dai tempi di Weimer, per accreditare quella ricerca di terze vie che hanno portato alle maggiori catastrofi del secolo. L'assetto liberaldemocratico, nel quale tutti abbiamo vissuto dal dopoguerra, prevede un ordinamento politico democratico, accompagnato dal pluralismo sociale. In altre parole un libero Stato, una libera impresa, un libero sindacato con una regolazione equilibrata tra legge e libera contrattazione collettiva. Un libero Stato in una libera società. Questa è stata una conquista senza precedenti e costituisce la ragione di quel successo che ci colloca tra i 5 o 6 maggiori paesi. Questa l'economia sociale di mercato che ci ha accomunato all'Europa e agli Usa. Il programma economico concreto della destra sembra dar prova di moderazione e, in larga
D!LBIANCO ~ILROSSO iiikliliM misura, fa perno sulle politiche governative dei passati governi. Ma per quanto estesa sia la cosmesi, le vecchie rughe riaffiorano inesorabili, specie laddove riappare, ostinata, la vocazione profonda a ricercare ancora «terze vie». La destra di governo ci propone infatti un nuovo modello di rappresentanza tornando all'idea della Camera delle Corporazioni anche se non dei Fasci. Dice infatti il programma, quasi inavvertitamente tra una riga e l'altra che «le categorie produttrici non sono disposte a restare nell'anticamera del Parlamento» perciò «la seconda Camera sarà quella degli interessi, o se vi sarà una sola Camera la metà sarà a diretto confronto con i partiti». Un assetto che ha poco a che fare con la liberaldemocrazia (nata contro le Corporazioni) e con il pluralismo che si fonda su una libera società. Nessun cenno su un libero sistema contrattuale, nessuna valutazione sul ruolo delle parti sociali nella concertazione economico sociale. Nessun cenno sulle forme di autogoverno delle strutture intermedie, sanità previdenza, che persino nel ventennale del regime, non furono statizzate. Come a sinistra, nella politica sociale, resta un implicito consenso sul «tutto nello Stato niente fuori dallo Stato». Sulle tasse il programma non si sottrae al generale clima di promesse elettorali. Anche qui ha largo posto il capitolo «meno tasse più lavoro» svincolato da ogni onere della prova. Sulla politica estera l'approssimazione è direttamente proporzionale al carattere parrocchiale delle visioni dei rapporti internazionali quando si assume lo Stato-Nazione, come un assoluto. Infatti c'è ancora chi si compiace delle parole di D'Annunzio nel 1919 quando diceva: «Liberiamoci dall'Occidente che non ci ama e non ci vuole [... ] Separiamoci dall'Occidente che [... ] è divenuta una immensa banca giudea un serviziodella spietata plutocrazia transatlantica». Non sorprende quindi che il programma ignora come e con quali strumenti sia stato e sia regolato (o meno) il mondo con le istituzioni intergovernative, Fmi, Banca Mondiale, Gatt, Ocse, ecc., nate dopo la seconda guerra mondiale. Istituzioni che ora arrancano per assicurare un generale grado di sviluppo e un affidabile ed equo processo al travolgente fenomeno della globalizzazione. La destra, invece, esorcizza, 9 senza neppure un'analisi, la cosiddetta «mondializzazione». Processo, che determina effetti anche per chi ha visioni parrocchiali della politica internazionale. Così l'unico grande obiettivo di politica estera di Alleanza Nazionale è la revisione del Trattato di Osimo unito alla negazione all'eccesso europeo di Slovenia e Croazia. Mentalità da «secchia rapita» in un Paese che dagli anni '50 è promotore dell'Europa senza frontiere che si muove con molti altri nella prospettiva del «villaggio globale». Si teorizza così l'Europa delle Patrie, che dovrebbe conciliare la sopravvivenza dello Stato Nazione con il ruolo dell'Europa. Ma vedi caso, mentre la Francia costruisce con la Repubblica Federale e l'Olanda, (ora si associa la Spagna), un embrione di esercito europeo, il programma di destra non sembra disposto neppure a questo. E allora a che serve proclamare che si vuole una Europa affrancata dal prepotere di Usa e Russia? Tutto il capitolo europeo è espressione di timori contro le sopraffazioni di un paese europeo, non si ha il coraggio di indicare, preferendo rifugiarsi nella retorica del valore delle Nazioni nell'Europa di domani. Anche per la destra la febbre di rinegoziare la Nato è alta, ma con idee scarse. Infine il programma propone passeggiate sentimentali in America Latina, nel Mediterraneo ed altrove, senza che se ne conoscono bene le ragioni e gli scopi. In definitiva il programma della destra corre al centro. Sul cerone della liberaldemocrazia di facciata si aprono vistose rughe che non nascondono i limiti di concezioni che la negano, mentre in politica estera i limiti di visioni parrocchiali, proprie di un'ottica tardo nazionalistica, non indicano cosa bisognerebbe fare per difendere gli interessi degli italiani in un mondo che si trasforma in modo sempre più complicato. E poiché non esiste la ricetta per fermare un mondo interdipendente l'unica cosa da fare è sapere come collocare la concreta vita dei popoli, e dei rispettivi valori, nella realtà che si trasforma. Il programma di governo della destra malgrado le cosmesi, evidenzia tutti intieri, i pericoli, le insufficienze e i rischi che farebbero correre al paese e agli italiani. Per questo è utile conoscerlo.
Rl.L BIANCO ~ILROSSO iii•iiliii Laculturadella «sinistra»? Haapertolastradaalla «destra» di Giovanni Gennari hi ha vinto in Italia, il 27/28 marzo? La ri- e sposta appare facile. Ha vinto una coalizione di forze, guidata da Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Gianfranco Fini. Da chi è stata sconfitta la sinistra, in Italia? Bisognerebbe ripetere i nomi fatti sopra. Ma la risposta sarebbe superficiale, e infatti feroci discussioni, in queste settimane, stanno dibattendo il tema, con accuse roventi di tutti contro tutti. Sul banco degli imputati, naturalmente, il Pds, con il suo leader, Achille Occhetto, ma non solo. La vecchia politica del consociativismo, anche. E l'accusa del rifiuto del Ppi di scegliere a sinistra, soprattutto da parte di chi non spiega, né potrebbe, le ragioni per cui Martinazzoli, o chi per lui, avrebbe dovuto farlo, con quali garanzie, con quali scopi, con quale logica ... Scopo di queste righe è la riflessione alla ricerca di qualche ragione non ovvia, che non mi appare neppure la minore, di questa innegabile sconfitta, anche se non potrò, qui, approfondire il tutto come desidererei. 1. Innazitutto non solo la sinistra è stata sconfitta. Con essa anche il Centro, e tutto ciò che rappresentava, con l'appoggio tradizionale della Chiesa cattolica nei suoi vertici istituzionali. Con essa anche tutto il mondo tradizionale della faccia visibile della politica italiana dei partiti: Dc-Ppi, certo, Pci-Pds, Psi, Psdi, Pli, Pri, persino Rete e Club Pannella. Tutti sono usciti a pezzi dalle elezioni. Una legge elettorale suicida li ha aiutati in questo harakiri politico. Ormai è acqua passata, e sarà difficile per tutti risalire la china, posto che sia possibile. Si dice che il Pds ha tenuto. Ma togliete Rifondazione, togliete i voti dei cattolici progressisti in cerca da tempo di domicilio politico sia pure transitorio, togliete i voti verdi confluiti nelle li10 ste progressite, togliete quelli residui della Rete, e chiedetevi se è il caso di andare orgogliosi di questa tenuta. Anche il Partito Popolare, se è per questo, ha tenuto: sei milioni di voti non sono da buttare, anche se per legge sono stati buttati quasi nel nulla. Se il Ppi si fosse unito, ai progressisti, oggi Occhetto canterebbe vittoria. Ma con i se non si fa politica. E il mondo cammina sui fatti. 2. E tuttavia non è questa alchimia politico elettorale che qui mi sta a cuore. È un discorso meno ovvio, ma che comincia ad emergere e a far discutere, anche furiosamente. Si dice che ha vinto la Destra. A me pare che le caratteristiche politico-culturali della vera Destra, terribili e precise, pur essendo in giro, e in crescita, non sono spiegazione sufficiente del1' accaduto. Per destra vera intendo quella connotata dal nazionalismo razzista e xenofobo, dalla rigida gerarchizzazione sociale, dall'ossessione della maschilità e dalla repressione della sessualità femminile, dall'ostilità alla diffusione del sapere, dalla identificazione ideologica di civilizzazione e cristianesimo occidentale sociologico, dal culto del passato, dal rifiuto del dubbio, dalla negazione del dovere di aggiornare istituzioni e credenze, dall'antisemitismo radicale, ecc ... A me non pare che questo mondo sia quello che ha vinto le elezioni di marzo. Fenomeni di questo tipo ci sono, non vanno sottovalutati, e quando si verificano debbono suonare i campanelli d'allarme sociale, ma non direi che questo sia il centro della questione attuale. È difficile dire che questa destra, allo stato puro, sia quella che ha vinto. Troppo diverso, Silvio Berlusconi, troppo diverso anche Umberto Bossi, anche se ha qualcosa di più vicino a quella destra. Troppo diverso anche, in faccia, Gianfranco Fini,
0.!J., BIANCO ~ILROSSO iiikikillt-• anche se si porta appresso parecchie frange di quella destra. Occorre stare attenti, ma spiegare tutto con un simile schema sarebbe riduttivo. Può far comodo, anzi, a chi vuole nascondere le proprie responsabilità pesanti nella sconfitta, e parla di fascismo che torna, demonizza il voto della gente, accusa strategie internazionali di destra. Se qualcuno agita solo questi fantasmi fa male. Diciamogli di smettere: danneggia anche noi. Occorre analizzare i fatti, approfondire la critica, e anche l'autocritica. 3. E tuttavia c'è davvero una destra che ha vinto. Qualcuno ha parlato a torto di un '68 di destra. Ma il '68 ha avuto dietro di sé decenni di pensiero sociologico e filosofico. Questa realtà ha dietro solo un diffuso malessere sociale, realissimo, che ha portato ad un insopprimibile bisogno di cambiare, di uscire dalla abituale mistura di parole-prassi-istituzioni-costumi che erano, agli occhi di tanti cittadini l'essenza della politica vecchia, inchiodata da Tangentopoli ogni giorno sulle prime pagine dei giornali e sugli schermi dei Tg. Tutto ciò che visibilmente era parte di quel mondo è stato squalificato, messo fuori gioco, reso impresentabile, e dentro quel mondo, visibilmente, c'erano tutti i partiti tradizionali, salvo i nuovissimi arrabbiati, come la Lega, salvo gli alieni residuati di un mondo a parte, come Rifondazione, che infatti ha tenuto, e salvo il Movimento Sociale, estraneo cromoso11 micamente al sistema della Costituzione repubblicana, per quanto privo di argomenti, di ragione, di culture, di democrazia partecipata, di modernità presentabile, ma innegabilmente fuori del vecchio sistema visibile dei partiti. Tutto questo complesso di realtà, del rifiuto del vecchio e della richiesta rabbiosa di qualcosa di alternativo ha trovato il catalizzatore nella decisione di Silvio Berlusconi di «scendere in campo». Il fatto che egli fosse in stretto legame con la vecchia politica è verissimo, ma nqn appariva alla gente, che lo ha percepito come altro, dopo quelli che da troppo tempo c'erano e non facevano, parlavano e non riuscivano a cambiare le cose, litigavano senza costrutto, rubavano senza vergogna, organizzavano lo Stato per loro e non per i cittadini, vivevano in un mondo a parte, di privilegi, di lontananza, di soprusi pagati dal popolo, che solo ora cominciavano a venire alla luce ... Da novembre, quando i progressisti hanno avuto il successo alle amministrative, questo fatto nuovo ha cambiato il voto della gente: medi e piccoli imprenditori, sogni di borghesia minuta, aspirazioni di commercianti che in lui vedevano un simbolo, di giovani che gli sentivano promettere un milione di posti di lavoro, di imprese che nel suo successo intravedevano la possibilità di tenere ... L'immagine di vincente, Berlusconi l'aveva costruita in quindici anni di successi, spendendola economicamente, finanziariamente, po-
{)!LBIANCO ~ILROSSO Miiiiliiki liticamente nel mondo dei partiti, propagandandola nei suoi media, ostentandola senza eccessi in ogni dove. Egli la ha utilizzata elettoralmente in tre mesi, e con frutto. Unendosi con intelligenza alle due realtà nuove, nel senso suddetto, e costrette ad accettare la sua offerta dalla legge capestro del maggioritario uninominale. 4. Ma a questo punto voglio dire quello che mi sta maggiormente a cuore, in questa riflessione, e cioè il fatto che, stando le cose come stavano, non era assolutamente pensabile che di fronte ad un Berlusconi che entrava in campo così, le cose andassero diversamente. Se ci si pensa bene tutta la cultura dei media italiani, in questi anni, si è come omologata ad un modello che Giuseppe De Rita ha giustamente chiamato berlusconiano. Se si guarda ai grandi programmi di intrattenimento della Rai, e a quelli della Fininvest, è difficile trovare una distinzione netta, anzi: disimpegno, scherzi su tutto e su tutti, successo, denaro, un po' di belle donne, barzellette, intrattenimento, poca politica se non presa in giro, giochini con denaro e belle macchine in premio, quiz e sentimenti rosa, detersivi e pubblicità ossessiva, giovani oche e ragazzi scemi, urla e insulti come condimento, disimpegno soprattutto, e sempre. Cultura zero, inchieste poche, politica di parole, una botta al cerchio e una alla botte. Evasione, evasione, evasione, fantasia di mondi lucenti, favole di Cenerentola moltiplicate per centomila, telenovelas, un po' di sesso, almeno fino a certe ore, due pizzichi di religione dove non fa male, alle otto del mattino, ma senza discussioni, vendite di consumo, ragazzine danzanti ... E i giornali? A guardare bene la musica è stata la stessa. Come sono cambiati in questi ultimi anni? Oggi si scrive al telefono: tre pareri, due chiacchiere, una fotoe l'articolo è fatto. E intanto Tangentopoli ha rivelato il marcio della politica tradizionale. I telegiornali sono diventati, da anni, una serie di nomi di inquisiti e di malefatte politico personali. Le ideologie sono morte e non vale più la pena di lottare per nulla: sulla terza Rete, la rete dei progressisti, la rete di sinistra, a parte qualche inchiesta de «Il Rosso & Il Nero», che ha sempre tenuto un livello alto pur nella discutibilità delle tesi e delle scelte autonome di Santoro e dei suoi, a parte qualche richiamo alla grande politica, qualche analisi delle cause delle guerre 12 sanguinose anche alle porte di casa nostra, qualche predicozzo dell'ex direttore del Tg3, spesso molto retorico, di costruttivo non c'era altro. Anzi: occorre segnalare, e qui forse la mia sensibilità di inguaribile cattolico diventa determinante, che se c'è una Rete Tv che ha lavorato per il risultato del 27/28 marzo è stata proprio la Terza Rete. Lo ha segnalato, dando origine ad una rovente discussione, un uomo di valore come Oreste Del Buono: «ridono a sinistra, ma poi votano a destra». Programmi come «Blob», - che ha avuto la pretesa di mostrare la realtà destrutturata, mescolando dolore e dignità, politica e sesso, amore e morte, abiezione e tragedie, religione e miseria, riso e pianto, preghiera e bestemmia, insulti e sentimenti, rabbia e ignominia, - hanno davvero destrutturato a poco a poco, nella sensibilità della gente tradizionalmente di sinistra, anche il senso dei valori da salvare, della politica come servizio, della lotta per costruire un mondo diverso. Non sto a dire che questa fosse l'intenzione dei programmisti, ma a mio parere questi sono i risultati. E non basta. Fantozzi in prima pagina de «L'Unità», al posto che fu di Gramsci e di Fortebraccio, ha un valore antropologico di peso. L'ideologia marxista è morta, per fortuna, ma è rimasta fortissima, nella sinistra italiana, l'ideologia antireligiosa nei valori di fondo, che vede con sospetto tutto ciò che sa di cattolico, che preferisce ridere di tutto invece che rimboccarsi le maniche per ricostruire un mondo vivibile anche ricorrendo ai valori dell'umanesimo cristiano che nessuno, neppure i tradimenti dei cristiani e della Chiesa come istituzione umana, è mai riuscito a mettere come tali in crisi ... Può apparire duro, questo mio discorso, ma a me pare di tutta evidenza: Paolo Rossi, Avanzi, Tunnel, il Male, Blob, Cinico Tv, alcuni programmi di lppoliti, che ridicolizzano tutto, portano come effetto, - a parte risate momentanee e momenti che possono essere anche piacevoli oltre quelli urtanti e francamente eccessivi, insultanti e indecenti per misura e per contenuti - , un nihilismo culturale di fondo in cui non si capisce per quale ragione sia meglio l'impegno dell'evasione, la costruzione della destrutturazione, la serietà di vita del disimpegno cinico e leggero. Ha scritto benissimo Del Buono: «ridono a si-
{).!J., BIANCO W.ILROSSO MikidlNN nistra, .ma poi, votano a destra». Che ragione avrebbe un cittadino, abituato a deridere tutto, a gettare fango sulla politica, sui politici, sui valori, sulla vita e sulla morte, sull'amore e sull'impegno, di votare per una parte politica che appare perdente, che risulta avere le sue compromissioni con il vecchio sistema, che parla anche di solidarietà, di giustizia sociale, di liberazione, ma poi privilegia anch'essa il disimpegno, ride della cultura, esalta Paolo Rossi, Blob, Avanzi vari, rifiuta Cristianesimo e Vangelo ad ogni costo, confondendoli con il sistema democristiano, mitizza i diritti e dimentica i doveri, parla in un modo e vive in un altro? Qualcuno si è chiesto come mai la sinistra italiana abbia incrociato così pochi voti in fuga dalla Dc e dal Ppi. Ma è ovvio: molti cattolici fanno fatica a fidarsi delle parole della sinistra quando nei fatti la cultura dominante della stessa restava così lontana dai valori, dalla sensibilità, dal rispetto per il pluralismo necessario, per una autentica laicità che anche un volta superato il principio della unità politica dei cattolici restano pur sempre patrimonio di chi cattolico è e vuole restare, anche se critico, anche se poco praticante, anche se di sinistra, della tradizionale sinistra che della questione morale, della austerità, del riconoscimento dei valori del patrimonio cristiano aveva fatto un punto fermo del suo cammino? Ecco perché tanti cattolici non hanno votato a sinistra. Ecco, e conta molto di più, anche per13 ché tanti italiani hanno scelto Berlusconi, e con lui Bossi e Fini. Berlusconi almeno è un vincente, che promette tanto, che ha dimostrato di essere capace di avere successo. Di fronte a lui cosa c'era? Una sinistra in qualche modo complice del vecchio ... Una sinistra che in pratica perseguiva gli stessi valori senza poterli garantire ... Una sinistra attaccata ancora alle vecchie nostalgie di Rifondazione, alle antiche e nuove rabbie della Rete, alle parole d'ordine degli apparati ... Ma qualcuno ha provato, a mente fredda, dopo il 28 marzo, a leggersi le candidature dei progressisti in tanti seggi? Con personaggi della vecchia politica, con membri dell'apparato, con esponenti della burocrazia di partito, con le briciole agli altri, ai diversi, con l'occhiolino strizzato a tutte le stranezze, a tutte le trasgressioni, appunto come Cinico Tv, Tunnel, Blob, ecc ... Ho scritto di recente Biagio De Giovanni, in un fondo de «L'Unità», parte culturale, che «la sinistra deve ricominciare a fare cultura». Proprio così. È il primo compito. Fino a che non ci sarà stato un gigantesco salto culturale non solo non sarà possibile risalire la china, ma saranno sempre meno coloro che, capaci di riflessione e di critica, si impegneranno con questa sinistra. E questo vale non meno per i cattolici che cometali vogliono coerentemente cercare di vivere e di pensare. Ricominciare a fare cultura? Certo. E di più: ricominciare del tutto. È materia di discussione anche per noi.
ENEL RAPPORTO CON GLI UTENTI ENEL: PIÙ RAPIDO CON IL TELEFONO Il «Servizio telefonico utenti» dell'ENEL è a disposizione del pubblico per tutte le operazioni concernenti la fornitura elettrica. Il numero telefonico è sulla bolletta Per risolvere problemi come: • richiedere una nuova fornitura di energio elettrica; • disdire la vecchia fornitura; • subentrare in una fornitura esistente; • aumentare o diminuire la potenza a disposizione; • variare l'indirizzo di recapito della bolletta; • richiedere la verifica del contatore e/o del limitatore (gruppo di misura); • richiedere chiarimenti sulla bolletta, sui pagamenti e su quant'altro riguarda il rapporto con l'ENEL, ci si può rivolgere agli uffici dell'ENEL, oltre che di persona, anche utilizzando il telefono o per corrispondenza. Usando il telefono, l'utente può effettuare la maggior parte delle operazioni commerciali e ottenere dall'ENEL ogni chiarimento, sia di natura tecnica che amministrativa, sulla propria situazione contrattuale. Questo servizio, già conosciuto da molti, è il SERVIZIOTELEFONICO UTENTI che permette il collegamento diretto con un operatore commerciale della sede ENELterritorialmente competente. L'operatore dell'ENEL, utilizzando appositi terminali collegati con un calcolatore centrale, è in grado di individuare immediatamente qualsiasi posizione contrattuale grazie al «numero utente» che contraddistingue la fornitura, riportato sulla bolletta e comunicato dall'utente. Setale numero non fosse disponibile sarà necessario che l'utente fornisca all'operatore nominativo e indirizzo. Per collegarsi con l'ENEL attraverso il servizio telefonico utenti bisogna comporre l'apposito numero telefonico riportato sul frontespizio delle bollette sulle quali è indicata anche la Zona ENELdi appartenenza. Si consiglia di evitare di ricorrere al servizio telefonico utenti nelle ore centrali del mattino, in cui si concentrano molte richieste.
,P!I-~Bl~~NCO '-XII~ ROSSO DOSSIER Qualeriformadelleistituzioni perla«seconda»Repubblica? Questo Dossier. Da tempo, almenodal momentodi «lancio»dei referendumpromossida MarioSegni, è chiaroche il sistemaitalianoha bisogno anche di una riformadelle istituzioni. Le proposte di cambiamentosono diverse, ma difficilmenteanche in esse si realizza una sufficientechiarezza. Ecco, allora, il nostrocontributo, nel tentativo, - o nella speranza - di non aggiungere nebbia a nebbia. Abbiamo chiestoad una «rosa»di competentidi rispondereal seguente «questionario»,e ne pubblichiamo i prodotti. La crisi del vecchio sistema politico ha reso ancora più urgente l'ammodernamento e la riorganizzazione dello Stato. Come governare la transizione istituzionale? Come e con quali procedure deve essere riformala la seconda parie della Costituzione? 1 - Le procedure È sufficiente una semplice difesa dell'attuale art. 138, lenendo conto che pur rispettandolo formalmente le forze uscile vincenti dalle ultime elezioni potrebbero votare le riforme a maggioranza e poi provocare un referendum dall'esito per loro agevole (in quanto gli elettori sarebbero chiamali a pronunciarsi tra il cambiamento voluto dalla maggioranza e il semplice mantenimento dello status quo)? Se Sì, spiegare come gli argomenti falli valere, soprattutto quello dei limiti impliciti alla revisione, possono imporsi ai numeri che vedono le opposizioni quasi sicuramente soccombenti? Se No, specificare come arricchire l'art. 138 pur rispettandone la logica sostanziale: quali proposte potrebbero risultare efficaci o almeno costituire una linea di opposizione sensata? Ad esempio: la richiesta di convocare un'Assemblea Costituente eletta con la proporzionale, lo svolgimento del referendum approvativo finale sulle due proposte alternative più votate in Parlamento e/o su una pluralità di quesiti distinti per materie. 2 - I contenuti 2a - Forma di Governo Fermo restando che ormai occorra andare ad una designazione diretta del vertice dell'esecutivo da parte degli elettori, quali dei Ire modelli costituzionali più consolidali (premierato inglese, presidenzialismo americano, semi-presidenzialismo francese) appare più adegualo e come riportarlo sensatamente nel contesto italiano? Quali sono le garanzie per l'Opposizione che dovrebbero bilanciare i nuovi poteri del Governo legittimato direttamente? 2b - Regionalismo e Federalismo Per che cosa si contraddistingue una proposta di serio regionalismo che superi le logiche centralizzalrici senza cadere in spinte separatiste? Quale ripartizione di materie e di responsabilità in materia di tassazione? Quale può essere il ruolo della seconda Camera (Senato delle Regioni)? A uno sguardo d'insieme, come il lettore potrà vedere, il complesso degli interventi segnala due atteggiamenti di fondo: - un timore per gli aspetti procedurali, per l'eccessiva disinvoltura con cui la nuova maggioranza si è posta nelle sue prime dichiarazioni in merito di riforme e per i suoi primi alti politici (a cominciare dall'elezione dei Presidenti delle Camere), quasi che si trattasse di realizzare un diktat di maggioranza con una revisione quasi totale della caria Costituzionale; - un positivo atteggiamento di sfida sui contenuti della riforma, senza tabù per quanto concerne un'elezione diretta di un leader della maggioranza (e non di una personalità sganciala da programmi e coalizioni), cosa che rappresenterebbe il logico completamento della riforma elettorale maggioritaria, come pure per incisive riforme regionalistiche capaci di realizzare un autentico autogoverno da parte delle comunità locali. D'altronde queste riforme hanno formato parie integrante dei programmi elettorali di quasi tulle le forze del polo progressista e del centro: sarebbe paradossale se la sconfitta facesse abbassare la tensione riformatrice delle opposizioni anziché renderla più chiara e decisa come è invece necessario per scavare nelle contraddizioni della maggioranza e per preparare sin d'ora una credibile alternanza. 15
{)!LBIANCO ~ILROSSO 1111 )-'ffl i H;I Riforme:trapresidenzialismoe federalismo,maconattenzione L' art. 138attraverso tutta una serie di limiti alla revisione (a cominciare dalle maggioranze speciali richieste, da quella assoluta che non è quella semplice richiesta per le deliberazioni ordinarie fino a quella dei due terzi) non blocca assolutamente ipotesi di revisione anche ampia del testo costituzionale, purché si resti nel limite dei principi fondamentali dell'ordinamento. L'art. 138, escludendo il referendum per le riforme approvate coi due terzi, indica però una chiara strada preferenziale, quella di costruire le riforme con maggioranze più larghe di quella di Governo, permettendo però la subordinata di riforme a maggioranza nel caso che la via principale fallisca. Mi sembra che vari esponenti delle forze uscite vincitrici dalle urne, e peraltro disomogenee in modo particolarmente significativo proprio su questi temi, abbiano da subito proposto quella che è una subordinata (le riforme a maggioranza) come la via maestra, capovolgendo la logica del 138 più che singole norme. Di fronte a questi atteggiamenti l'opposizione progressista ha comunque il dovere di assumere un atteggiamento propositivo, rilancio le proposte di riforma che si ritrovano ampiamente nei programmi elettorali di quasi tutte le forze del polo. Prima di vedersi già sconfitti mettiamo chiaramente nel dibattito le nostre proposte riformatrici e sfidiamo al rialzo le forze di una maggioranza tutt'altro che compatta. di Augusto Barbera Le ipotesi formulate di arricchimento delle procedure del 138mi sembrano tutte meritevoli di attenzione, soprattutto quella di una Costituente in cui vi sarebbe un chiaro mandato sul merito delle riforme proposte dalle varie forze, ma ho la sensazione che prima di entrare nel merito di esse l'opposizione progressista debba decidere come propria linea di fondo sui contenuti di essere esigentemente innovativa e non prigioniera di una sindrome della sconfitta. Il presidenzialismo americano è giustamente criticato come sistema troppo debole, in cui Presidente e Congresso possonoparalizzarsi a vicenda. Lo Stato contemporaneo realizza un continuum tra legislativo ed esecutivo, si governa anche attraverso le leggi e queste ultime hanno fatalmente un contenuto particolare, concreto. Il Costituente di Filadelfia era ancora impregnato dell'idea di limitare il potere separando le istituzioni: invece oggi le forme di governo parlamentari rinnovate si sono poste più efficacemente il problema di realizzare un diverso tipo di separazione, quello tra maggioranza e opposizione, con l'intervento decisivo del corpo elettorale. È al «modello Westminster» che molti guardano anche in America come ad uno stadio più avanzato degli equilibri istituzionali, che in Francia riceve le attenzioni di Duverger e Vede! per superare la sconnessione tra i mandati presidenziale e parlamentare (con i relativi rischi di «coabitazione») e che anche noi dobbiamo prendere come riferimento. 16 Per di piu il modello francese nei casi più frequenti di coincidenza di maggioranze, è giustamente criticato per un altro aspetto per il fallo che il Presidente governa effettivamente con grandi possibilità di azione potendo anche scaricare parte delle responsabilità sull'incerta figura del Primo Ministro. Meglio allora rifarci a Westminster, alla forte connessione tra un leader e la sua maggioranza, tra quella sinergia tra responsabilità individuale e resposabilità collettive. Questo può concretizzarsi con l'elezione diretta del Premier (o l'elezione diretta del Capo dello Staio contestuale a quella del Parlamento) con un doppio turno, secondo il modello proposto dal Club Jean Moulin e dalla sinistra democratica francese sin dal 1956 (in connessione ad una revisione della legge elettorale per la Camera in una direzione ancor più chiaramente maggioritaria) e secondo quanto già previsto dalla nuova legge sull'elezione diretta del sindaco a livellomunicipale. Non basta dire elezione diretta del Premier, come emerge da alcune prese di posizione dell'attuale maggioranza, per collocarsi in una pospettiva neo-parlamentare. A quanto è dato di capire le forze di Governo non si riferiscono ad un Premier eletto insieme alla sua maggioranza, ma con una legittimazione separata. Per essere chiari pensano non all'elezione diretta del sindaco realizzata sul continente, ma quella realizzata in Sicilia: la differenza non è di poco conto perché un' elezione separata condurrebbe alla paralisi del!'azione di Governo ovvero a
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