{).!J, BIANCO ~ILROSSO 1N;f SINl 1~lfC 11 N•1 ••~oJNt4•1 sa della presenza cristiana nella vita pubblica. È esaurita la stagione storica di un tipo di presenza politica, non quella di ogni possibile visibilità politica dei cattolici. Ma la coscienza della nuova realtà stenta a farsi strada. Sembra che una sottile nostalgia sia presente nella Chiesa italiana: la nostalgia del nemico. Tutto era semplice quando, negli anni di ferro che abbiamo alle spalle, il nemico era visibile e ben definito nella religione secolare del comunismo. Ora chi è più il nemico? Si indica un nuovo nemico nella secolarizzazione. Ma il fenomeno della secolarizzazione e della connessa scristianizzazione del costume non è di quelli che si possono affrontare in campo aperto, con le falangi cattoliche schierate in battaglia. È evidente che fenomeni che incidono in profondità nella mentalità e nei comportamenti della gente non possono essere affrontati se non con una presenza molecolare nella società e nella cultura del paese e non con la chiamata a raccolta dei cattolici in un partito politico. Si presenta l'unità dei cattolici come antidoto al rischio di una radicalizzazione elettorale che sarebbe devastante per la democrazia italiana. Ma è proprio l'attestarsi al centro della Dc dopo la riforma elettorale che ha contribuito alla radicalizzazione. Non si deve immaginare questa necessaria articolazione della presenza cattolica come una rottura di valori comuni o come una diaspora. Tutti i cattolici sono e devono restare uniti sui grandi valori comuni. Ma questi possono variamente coniugarsi ed esprimersi, possono dar luogo a diverse proposte politiche; è inevitabile che i cattolici siano presenti in schieramenti diversi perché diversi sono i loro orientamenti, le loro sensibilità e i loro interessi. Una articolazione del voto cattolico è la condizione perché tutta la vita politica sia, in forme nuove, condizionata da una presenza cristiana che contribuisca a rendere più civile e costruttivo il confronto democratico. Penso si debba riconoscere legittima la collocazione di cattolici in uno schieramento moderato e si debba anzi lamentare che la mancanza di una tempestiva opzione in questo senso abbia contribuito alla nascita di una destra equivoca e rissosa come quella che abbiamo di fronte. Vorremmo che quello che oggi si definisce il centro, 74 o almeno una parte di esso, riassorbisse questa destra sbagliata e fosse la destra di domani. I Cristiano-Sociali hanno scelto altrettanto legittimamente una chiara collocazione dall'altra parte, nel polo progressista. Il modo in cui il polo progressista si è formato non è certo esaltante: la presenza di componenti di estrema sinistra, che ancora si richiamano al comunismo, nel polo progressista è un grosso elemento di equivoco; l'andamento della campagna elettorale ne è una conferma. E tuttavia il passaggio è obbligato. Il polo progressista nonostante le sue contraddizioni appare portatore di una speranza reale di rinnovamento nella vita politica italiana, perché è l'unico che possa efficacemente opporsi alla minaccia di una rottura della stessa unità nazionale, all'arroganza dell'egoismo e dei privilegi; è l'unico capace di impedire che la crisi economica e il disastro di tangentopoli siano scaricati sulle spalle dei più deboli e indifesi. Nel nostro paese - a differenza di altre aree geografiche - la presenza cattolica ha avuto nel sociale e nel politico un suo forte rilievo; è diventata una tradizione di cultura politica; è stata legata a forti personalità, a forti e originali proposte. I Cristiano-Sociali si richiamano a questa tradizione, tutta .intera, del cattolicesimo democratico per portare al polo progressista un contributo di qualità oltreché di consensi elettorali. L'obiettivo non è quello di un nuovo partito di ispirazione cristiana; ma piuttosto quello di un movimento, con una forte identità etica e culturale, capace di inserirsi in un più ampio schieramento e domani in un partito o in una grande federazione democratica che raccolga, a fianco ad una componente di matrice cattolica, forze laiche e democratiche di sinistra. Il Pds ha sbagliato a voler salva ad ogni costo nella formazione del polo progressista l'unità a sinistra, ma esso è e rimane parte naturale e necessaria di uno schieramento riformatore; ha un suo radicamento nella base popolare che le recenti elezioni hanno confermato; ha saputo prendere le distanze dal passato comunista e ha pagato la scelta con-una pesante scissione. L'esperienza del passato insegna che non si definiscono programmi in astratto a prescindere da un disegno politico che prefiguri una mobilitazione di forze: schieramenti e programmi interagiscono necessariamente.
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