Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

J.>!.LBIANCO ~ILROSSO U~IPH;\98~11• non è accompagnata da aumenti della produttività. Nel nostro Paese, il 30% dell'occupazione consiste in lavoro autonomo - che rappresenta, invece, meno del 15% dell'occupazione in Francia e meno del 9% di quella in Germania e Gran Bretagna. Un altro 5-10% è in «distretti industriali» di piccole e medie imprese molto interattive - le stime variano considerevolmente a seconda delle definizioni di «distretto industriale». Un 5% ancora in cooperative di produzione e lavoro. Tanto i «distretti industriali» quanto le cooperative di produzione e lavoro sono fenomeni poco diffusi all'estero dove le esperienze italiane vengone studiate con grande attenzione: da un libro pubblicato di recente dall'Oil in inglese e di imminente edizione italiana per i tipi dell'Ediesse - Loretta De Luca e Michele Bruni «Disoccupazione e flessibilità del mercato del lavoro: il caso dell'Italia» - si evince che in Francia, il Paese secondo all'Italia in termini di occupazione in questi settori, essi coprono complessivamente meno del 3% dell'impiego totale. Il 60% circa dell'occupazione italiana, infine, è nei servizi. Quindi, dato che nelle piccole e medie imprese, nei «distretti industriali», nelle cooperative, in gran parte dei servizi e a maggior ragione nel lavoro autonomo, il problema dell'orario di lavoro ha connotazioni molto particolari, esso riguarda essenzialmente quel 10-15% dell' occupazione totale che lavora nella grande industria. Nel breve periodo, tuttavia, una riorganizzazione degli orari di fatto (oggi mediamente sulle 45 ore la settimana), che comprenda anche una loro riduzione che in alcuni casi potrebbe assumere pure la forma di «settimana cortissima» (ossia di quattro giorni lavorativi), potrebbe senza dubbio facilitare la ristrutturazione della grande industria e contenere perdite occupazionali; dunque, è uno strumento che deve essere preso in attenta considerazione e modulato con accortezza. Nel lungo periodo, da un lato, le trasformazioni tecnologiche - come si è visto - hanno sempre comportato, prima o poi, una riduzione degli orari di fatto e, dall'altro, quelle in atto in questi atti stanno in gran misura soppiantando i processi di produzione fordisti/tayloristi con sistemi a rete interattivi di piccole e medie unità produttive basate in gran misura su tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Ciò vuol dire che i) un orario legale di 48 ore (quale. quello formalmente in vigore in Italia) è anacronistico e che ii) il problema stesso degli orari di lavoro diventerà sempre meno rilevante ovvero sempre più rilevante per una fascia in continua contrazione del mercato totale del lavoro. Ultimo punto: il legame retribuzione-orari. In Italia, siamo stati veri e propri precursori in quanto la normativa sui «contratti di solidarietà» a quasi dieci anni. Essa è stata, però, elaborata guardando a «crisi temporanee» con gli occhiali degli «ammortizzatori sociali». Così come strutturati, i «contratti di solidarietà» comportano una riduzione del 4% in busta paga a fronte di una riduzione del 30% del!' orario in quanto la differenza è carico della collettività tramite esenzioni contributive ed altre misure. La «crisi fiscale» che ci attanaglia da anni rende imprescindibile la messa in atto di strumenti che gravino meno sull'erario. * Giuseppe Pennisi dirige l'ufficio per l'Italia dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil). Questo articolo è stato scritto a lilolo personale e non riflette necessariamente il punto di vista dell'Oil. 72

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