Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

OlLBIANC0 ~ILROSSO U~i i ?h\i ~i i• come. In gennaio, però, il documento, peraltro ancora preliminare ed in veste di «bozza per la discussionè», del ?egretariato dell'Ocse in vista della riunione ministeriale in programma per il mese di giugno, contiene indicazioni puntuali: a) incoraggiare le riduzioni volontarie dell'orario di lavoro; b) incentivare il part-time nelle imprese; c) estendere il part-time al settore pubblico; d) promuovere la collaborazione tra datori di lavoro e lavoratori per rendere più flessibili gli orari e ridurre gli straordinari. Ancora più diretto il «Libro Bianco - Obiettivo occupazione: una strategia di medio periodo per il mercato del lavoro italiano» diramato dal Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale alla vigilia dello scioglimento delle Camere: si preconizza un apposito disegno di legge ed «un fondo per la riorganizzazione e riduzione del tempo di lavoro» . Siamo, infatti, alle prese con un processo inarrestabile con implicazioni macro-economiche e micro-economiche molto vaste. Dal un lato, senza un continuo miglioramento tecnologico, lavorare meno può significare produrre meno ed erodere i tenori di vita. Da un altro, vincoli tecnici ed amministrativi comportano complessi processi di riassetto al livello di ciascuna unità produttiva. Al tempo stesso, però, la riduzione dell'orario del lavoro sposta dal mercato all'interno della famiglia la produzione e la distribuzione di tutta una serie di servizi (cura dei bambini e degli anziani, lavori domestici, preparazione del vitto) migliorandone spesso la qualità. In effetti, come sostiene da anni Stefano Zamagni, Preside della Facoltà d'Economia dell'Università di Bologna, si creeranno gradualmente due settori economici: uno di mercato, basato su orari di lavoro diversi dagli attuali in quanto più corti complessivamente e modulati secondo le esigenze non di meccanismi fordisti-tayloristi ma della tecnologia dell'informazione e della comunicazione, ma in cui funzioneranno essenzialmente le leggi della domanda e dell'offerta; ed un altro fondato essenzialmente sul volontariato e sul semi-volontariato, in gran parte svincolato da principi capitalisti di mercato. Il pensiero di Zamagni m questo campo si basa in gran misura sulla dottrina sociale della Chiesa. È interessante a riguardo leggere il saggio da lui pubblicato nel numero di dicembre 1993 del trimestrale «La Società»; il saggio - intitolato «Lavoro, sviluppo economico, ruolo dei pubblici poteri - L'insegnamento dei Vescovi dell'Europa occidentale» - deve venir considerato tra i lavori preparatori di un documento che la Conferenza Episcopale Italiana sta da tempo elaborando proprio su queste tematiche. Occorre, però, non farsi illusioni sugli effetti occupazionali di breve periodo: un'analisi quantitativa dell'Ofce (l'istituto per l'analisi della congiuntura) francese avverte che, in condizioni ottimali, ci vogliono almeno cinque anni perché il riassetto degli orari generi occupazione aggiuntiva in misura significativa, tale da poter essere quantizzata con una certa accuratezza su una matrice di contabilità sociale. Inoltre, i Paesi con i tassi più bassi di disoccupazione strutturale - gli Stati Uniti ed il Giappone - sono quelli che hanno gli orari di lavoro annuali e settimanali più lunghi. In breve, se la riduzione degli orari consente di dividere in modo più equo una data domanda di lavoro e può, quindi, essere uno strumento importante per far fronte a crisi di breve periodo (quale quella della Volkswagen) o per ripartire in modo più equo impego e redditi da lavoro tra soggetti economici, non permette da sola di aumentare tale domanda. Può anzi contribuire a deprimerla ulteriormente se agisce negativamente su produttività e competitività. Gli interrogativi, quindi, sono molti e le risposte pochissime. Dalle analisi disponibili, si può individuare come affrontare il problema in Italia e quali cifre analizzare con maggiore attenzione. Da essi si deducono tre punti fermi: a) in primo luogo, la riduzione degli orari di lavoro nelle varie forme ipotizzabili (tra cui la «settimana cortissima») riguarda principalmente, ove non esclusivamente, le imprese di dimensioni mediograndi (oltre 100 dipendenti) o grandi (oltre 500 dipendenti) con processi di produzione fordistataylorista (in breve, catene di montaggio; b) in secondo luogo, occorre distinguere tra misure «di breve periodo» (anche sino a due-tre anni) per far fronte ad un andamento temporaneo del ciclo economico oppure ad esigenze di ristrutturazione e misure «di lungo periodo» connesse a trasformazioni tecnologiche vaste e profonde; c) in terzo luogo, nel medio ed ancor più nel lungo periodo, la riduzione degli orari comporta inevitabilmente un'erosione delle buste paga se 71

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==