{)!L BIANCO ~ILROSSO • •~i I a ;\'4 a~; I• nari di vita e lunghe liste di attesa per aver accesso ai servizi sanitari. Le tensioni potranno diventare lacerazioni. In che modo, ed in che misura, il riassetto degli orari di lavoro potrà contribuire, se non a risolvere, quanto meno ad alleviare il problema? È un tema difficile, pieno di sfaccettature e di complessità da affrontare senza cadere in trabocchetti ideologici e senza impiegare toni apodittici. Tempo orsono, l'Ocse si propose di effettuare un esame comparato quantitativo delle principali esperienze internazionali per poter trarne indicazioni di politica occupazione : lo studio che ne risultò (Flexibility in the Labour Market, Oecd, Parigi 1986) conteneva una descrizione accurata di casi e situazioni, ma non giungeva ad alcuna conclusione puntuale. A sette anni data, il quadro non è cambiato. Dall'll al 19 ottobre scorso, a Ginevra, nell'ambito dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), 21 esperti (sette di parte sindacale, sette di parte imprenditoriale e sette di parte governativa) hanno sviscerato il problema: il resoconto della riunione pubblicato in questi giorni conclude che «non esistono ancora le condizioni per mettere a punto un codice di condotta» in questa materia e dà mandato all'Oil di raccogliere dati ed analisi per poter cominciare a far chiarezza quando in giugno si riunirà la Conferenza Internazionale del Lavoro. In primo luogo, vale la pena ricordare che il processo di rimodulazione e di riduzione dell'orario di lavoro è imprescindibilmente collegato con il progresso tecnico. Le storie del movimento sindacale confermano che, all'inizio della rivoluzione industriale, i rappresentanti dei lavoratori si battevano perché la settimana in fabbrica non superasse le 60 ore e venissero garantite due settimane di ferie l'anno. Già prima della seconda guerra mondiale, le leggi sul lavoro dei principali Paesi europei avevano portato la settimana lavorativa a 48 ore e le ferie annuali a tre settimane. Adesso, in media i contratti collettivi prevedono una settimana sulle 40 ore e quattro séttimane l'anno di ferie. È in questo contesto, quindi, che occorre situare la proposta lanciata unitariamente dai sindacati europei all'inizio di Novembre di portare la settimana lavorativa contrattuale a 35 ore, rispetto ad una media di fatto che nell'industria manufatturiera si pone, invece, sulle 45 ore. Non è una proposta assistenzialistica come quelle formulate in materia in due saggi apparsi in Francia alla fine del 1993 (Guy Aznar «Travailleur moins pour travailler tous», Parigi Syros 1993 e Jacques Rigaudiat «Réduire le temps de travail», Parigi, Syros, 1993) in cui la riduzione dell'orario di lavoro viene vista come un «beneficio» giustapposto al «costo» degli ammortizzatori sociali. A questa visione statica, tipica degli economisti neoclassici, occorre giustapporne una dinamica in cui rimodulazione, e riduzione, degli orari sono considerati in quanto conseguenze del progresso tecnico. È sempre in questa ottica che occorre vedere i tentativi in atto per rimodulare e ridurre gli orari. Quello che ha avuto più rilievo sulla stampa è il programma della Volkswagen per salvaguardare 30-40.000 posti dì lavoro portando, per un periodo di due anni, la settimana lavorativa a quattro giorni e l'orario a 28,8 ore, ma riducendo le retribuzioni del 20%. Importantissima, poi, l'approvazione da parte del Senato francese (il 4 novembre) di uno schema in base al quale Oltralpe la settimana lavorativa passerebbe da 39 a 32 ore in via strutturale, i salari netti subirebbero un taglio del 10% circa e la differenza verrebbe caricata sullo Stato in termini di minori introiti per tributi ed oneri sociali e maggiori spese per ammortizzatori. In Olanda già da diversi mesi i nuovi assunti nella pubblica amministrazione - un settore, però, non esposto alla concorrenza internazionale - hanno un orario di 32 ore. In Belgio, chi raggiunge 55 anni può aver accesso ad un mlx di tempo parziale e prepensionamento. In Gran Bretagna, da dieci anni si pratica il job splitting, principalmente nei servizi pubblici. Quindi, varie combinazioni di riorganizzazione con riduzione degli orari e suddivisione dei carichi; in dicembre, il 30% degli intervistati in un sondaggio francese si è detto favorevole al «temps de travail partagé», una formula che a quel che è dato sapere è ancora ignota oppure inusitata in Italia. Dunque, le esperienze concrete non mancano. Il «Libro Bianco - Crescita, competitività, occupazione - Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo» presentato dal Presidente della Commissione dell'U.E. Jacques Delors in dicembre invoca una maggiore «flessibilità» degli orari senza però specificare in che senso e 70
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