01.LBIANCO 0.Z. ILROSSO U~iIl a ;W a~• IlI Olivettie Fiat:accordi sullavoroincontestoeuropeo di Giuseppe Pennisi* L' esito della vertenza Olivetti e quello della Fiat Auto hanno riproposto il problema della rimodulazione e dell'eventuale riduzione degli orari di lavoro. È tema che merita un dibattito serio e che non può essere eluso in un'Unione Europea in cui quest'anno il numero dei disoccupati sfiora i 20 milioni - una cifra pari alla popolazione di Grecia e Portogallo, due dei 12Paesi dell'Unione, sommate assieme. La stessa evoluzione demografica - ossia la riduzione delle classi di età che entrano nel mercato del lavoro - non alleggerirà la situazione. In breve, si sta rovesciando l'ipotesi sulla quale, verso la metà degli Anni Ottanta, sono state costruite le politiche cieli'occupazione e del lavoro - in primo luogo «Il Piano del Lavoro» varato nel 1985 in Italia. Allora, si assumeva che lç1 riduzione delle classi di età all'ingresso nel mercato del lavoro avrebbe ridotto la disoccupazione, iri particolare quella giovanile: in Italia, ad esempio, nel non tanto lontano 1988 il rapporto «Lavoro e Politica del Lavoro in Italia» avvertiva che nella seconda metà degli Anni Novanta sarebbe stato l'ingresso delle donne del Mezzogiorno nel mercato del lavoro a «salvarci» da una sempre più acuta penuria di braccia e cervelli, mentre oggigiorno ci sono un milione e mezzo di giovani che cercano lavoro senza trovarlo ed il tasso di disoccupazione tra le giovani donne del Sud e delle Isole supera il 50%. Non solo, ma gli alti livelli di disoccupazione in Europa rappresentano una minaccia crescen- ·te alle stesse politiche sociali a. tutela degli anziani. Lo dice senza mezzi termini il Commissario dell'U. E. responsabile per le politiche sociali, l'irlandese P'radaig Flynn: «se non diamo lavoro ai 20 milioni di disoccupati dell'U.E., non saremo presto più in grado di finanziare i nostri sistemi sociali ed aumenteranno le tensioni tra i giovani che ne sostengono i costi e gli anziani che ne traggono le prestazioni». Analisi demografiche mostrano che già adesso circa un quinto dei 340 milioni di cittadini dell'U.E. hanno più di 60 anni, l'età in cui in molti Paesi dell'U.E. si va in pensione. Nel 2010, gli europei che ricevono pensioni di anzianità o vecchiaia saranno di più di quelli che pagheranno i contributi. I sistemi previdenziali di gran parte dei Paesi dell'U.E. sono in gran misura «a ripartizione»: chi lavora paga le prestazioni per chi è a riposo. Stanno diventando di giorno in giorno sempre più a rischio. Due economisti olandesi, Geert Dewulf e Henk A. Becker, differenziano le generazioni degli ultimi sessant'anni e dei prossimi trent'anni in tre categorie: la generazione silenziosa, nata tra il 1930 ed il 1940; la generazione della protesta, nata tra il 1940 ed il 1955; e la generazione perduta nata tra il 1955 ed il 1970. Le prime due hanno goduto di tenori di vita crescenti e sistemi sociali sempre più estesi in mercati del lavoro in cui a ragione dello sviluppo tecnologico e crescente competitività europea la domanda di impiego superava l'offerta. La terza avrà un tenore di vita stagnante, subirà una spinta competitiva sempre più forte dai Paesi di nuova industrializzazione, dovrà sostenere l'onere sempre maggiore dell:invecchiamento delle altre due generazioni. Il punto di rottura, secondo Dewulf e Becker, rischia di verificarsi attorno al 2020 quando la generazione perduta raggiungerà l'età della pensione; dopo una vita professionale difficile caratterizzata da lavori più incerti e più precari (oltre che meno retribuiti in termini reali) di quelli dei loro genitori, rischiano di dover fronteggiare una riduzione ulteriore dei loro te69
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