O!LBIANCO W..ILROSSO 11111Mli•Mlt◄PMM riprende a diventare più diffusa e più profonda. Anzi cresce e si approfondisce proprio in quelle parti del mondo che, secondo indicatori convenzionali, vengono considerate in maggiore espansione economica. In Asia, dove il Pil è aumentato negli anni Ottanta al tasso medio ben dell'8%, alla fine del decennio ci sono 700 milioni di poveri, almeno 50 milioni - una cifra pari quasi all'intera popolazione dell'Italia - di più di quelli stimati dieci anni prima: in Cina un forte tasso di crescita del Pii è strettamente correlato ad un tasso parimenti forte della diffusione della povertà. Anche in America Latina, nel «decennio perduto» dell'indebitamento estero e della crescita contenuta - un tasso medio di aumento del Pii appena del1'1,6% l'anno - il numero dei poveri sono in espansione: nel 1990erano 185milioni, il 5% di più di quelli del 1981. Paradossalmente, dato che, allo scopo di rendere omogenee le analisi, nei confronti internazionali si utilizzano «soglie di povertà» basate sul confronto tra redditi familiari e redditi medi pro-capite, è proprio l'Africa a sud del Sahara che, sotto il profilo meramente statistico, appare come il continente in cui negli anni Ottanta, la povertà è meno cresciuta se intesa in quanto divario tra i tenori di vita medi e quelli di chi meno ha. Tuttavia, impiegando indicatori «fisici» di sussistenza (quali lo stato nutritivo, la mortalità infantile, l'aspettativa di vita alla nascita), il quadro è ben diverso: si è passati da 191milioni di persone al di sotto della «soglia di sussistenza» nel 1985 a 228 milioni (il 47% della popolazione totale) nel 1990. E nei Paesi industrializzati ad economia di mercato? Uno studio commissionato dal Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (Criel) italiano all'Oil indica che nei Paesi dell'Europa Centrale ed Orientale il patto sociale implicito su cui si basava la «sicurezza esistenziale» non ha retto ai programmi di transizione verso l'economia di mercato allestiti a partire dal 1989: il fenomeno sta dilagando ad un ritmo che neanche gli osservatori più accorti, e piu preoccupati, avevano anticipato. In Europa Occidentale ed in Nord America, gli indicatori e le analisi presentati al simposio dimostrano che le «vecchie diseguaglianze» - tra chi ha un titolo di studio e chi non lo ha, tra chi ha un lavoro e chi non lo ha, tra uomini e donne - stanno diventando più vaste e che ad esse si stanno aggiun60 gendo «nuove povertà», spesso caratterizzate da forme estreme di privazione in cui i livelli, bassissimi di reddito e consumo, sono accompagnati da disadattamento ed emarginazione. Le prospettive per gli anni Novanta non sono incoraggianti: la stagnazione economica internazionale in atto dalla fine degli anni Ottanta ha, quanto meno, la conseguenza di ridurre l'attenzione delle forze politiche nei confronti del fenomeno, mentre la povertà continua a diventare più diffusa e più profonda. Cosa non ha funzionato? Le determinanti sono molteplici. Anche nel ciclo economico espansivo 1982-89, le politiche interne di numerosi Paesi, spesso con l'incoraggiamento delle istituzioni finanziarie internazionali, hanno promosso ristrutturazioni dei settori produttivi e del mercato del lavoro, senza tener adeguato conto delle loro implicazioni sui livelli di reddito e di consumo dei meno abbienti nonché in termini di privazione, disadattamento ed emarginazione. Esse hanno, poi, accentuato, specialmente nei Paesi industrializzati ad economia di mercato, i fenomeni di esclusione economica e sociale: milioni e milioni di persone sono state cacciate dai mercati del lavoro o, soprattutto i più giovani, si sono trovate a dover affrontare barriere invalicabili all'accesso, con perdita non solo di reddito ma anche di stato sociale, di sicurezza, di dignità. In breve, i fatti hanno smentito il paradigma secondo il quale la crescita economica sarebbe comunque «scesa» sino ad incidere positivamente sui meno favoriti. Tuttavia, non è stato ancora costruito un nuova paradigma analitico: la teoria economica della povertà si presenta come un mosaico di approcci spesso distinti ed a volte contraddittori. Quanto più la povertà diventa un fenomeno complesso e diversificato, tanto più è difficile costruire una teoria generalizzata con definizioni chiare ed universali, con metodi e procedure di quantizzazione generali (o quanto meno generalizzabili), con un impianto concettuale rigoroso e, al tempo stesso, tale da fornire strumenti operativi di indiscussa efficienza ed efficacia per guidare analisi empiriche e plasmare politiche, strategie, programmi e misure. In primo luogo, quindi, occorre rispondere ad una vera e propria sfida analitica: occorre riesanimare, innanzitutto a livello teorico, come affrontare la politica economica della redistribuzione e come impedire che la politica economica
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