Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

i) .!J, BIANCO ~ILROSSO 1 •111°~•a~, t+t4 et)~•• sorse di presenza, organizzazione e conoscenza delle realtà, delle culture, delle potenzialità locali perché questi programmi siano fatti. dalla gente, dagli attori locali dello sviluppo. Un'iniziativa razionale, possibile, chiara; forse per questo, non facile da realizzare. L'episodio che volevo citare si riferisce ad una riunione preparatoria, di informazione sull'iniziativa, che si è realizzata in Honduras nel mese di settembre scorso. Il Governo Honduregno aveva più volte fatto presente che, tra i Dipartimenti più abbandonati dalle politiche nazionali, vi era il Dipartimento di Intibucà, una regione montuosa di confine con il Salvador, dove negli anni di conflitto c'era stata una forte presenza di rifugiati salvadoregni. Una regione lontana, abbandonata, povera. Molto empiricamente, il Coordinatore dell'Undp ha pensato di verificare e poi di invitare ad una riunione, indetta congiuntamente con il Governo, i diversi organismi di cooperazione attivi in qualche modo nell'area. Nessuno sapeva quanti fossero, nemmeno il Governo, perché ciascun programma, appunto di norma settoriale, aveva relazioni specifiche con un pezzo distinto e separato di apparato statale. Le aspettative erano di una scarsa presenza internazionale, visto che non se ne verificavano particolari benefici sugli indicatori di povertà, di istruzione, di salute del Dipartimento. Grande è stata la sorpresa generale quando, nella riunione, si è scoperto che tra iniziative bilaterali di vari governi, soprattutto europei, programmi di agenzie delle Nu e della Cee, presenze delle Ong internazionali, erano attivi nell'area più di 30 programmi di Cooperazione e, che questi potevano disporre di circa 28 milioni di dollari nell'arco dei prossimi due anni; una cifra enorme - se non sprecata - per un territorio che conta alcune centinaia di migliaia di persone. Ma la cosa più interessante è stato registrare il fatto che ciascuno dei tecnici, nazionali ed internazionali, responsabili della gestione dei singoli programmi ben si rendeva conto dei limiti di ciascun piccolo programma e si dichiarava assolutamente disponibile a coordinare sforzi, rivedere metodologie, riformulare, per quanto possibile, le proprie attività per renderle compatibili con un piano di sviluppo umano dipartimentale. Oggi questo lavoro di sinergie, di razionalizzazione e coordinamento prosegue e qualcosa di 48 analogo si sta svolgendo in numerosi dipartimenti degli altri paesi centroamericani, che hanno sperimentato negli ultimi anni esperienze simili. Si tratta, solo di un piccolo esempio, in sè insignificante, se non costituisse la spia di potenzialità e direzioni di marcia feconde e, tutto sommato, a portata di mano. Ed esperienze e progetti che si muovono in questa direzione sono più numerosi e meno isolati di quanto si pensi, come credo anche il dibattito di oggi potrebbe dimostrare. Ancora, qualche brevissima considerazione sulle strategie di lotta contro l'esclusione sociale, così come vengono realizzandosi nell'esperienza della Comunità Europea. Mi limito solo a ricordare l'itinerario tortuoso, ma fecondo, attraverso il quale vi si è giunti. Il primo programma europeo di lotta contro la povertà, - che risale se non ricordo male al 1974 - nacque solo come un classico intervento di finanziamento a pioggia di diverse esperienze europee molto disomogenee. Alcune, profondamente marcate da tradizionali strategie assistenziali e caritatevoli, altre, spinte da fermenti innovativi ancora acerbi, ma già volti a favorire una più autentica partecipazione dei diretti interessati ai diversi aspetti delle politiche sociali. Fu proprio il dibattito acceso che si svolse durante quella prima esperienza che contribuì alla ricerca da parte dei responsabili Cee di nuove vie per la lotta contro la povertà. La povertà, fino a quel momento, era stata vista piuttosto come la faccia nascosta, l'eterno inevitabile prezzo da pagare per lo sviluppo, e che andava corretto con interventi di assistenza riservati alle categorie in difficoltà: barboni, famiglie monoparentali, anziani, zingari, donne maltrattate, senza tetto e così via. Ma i limiti degli interventi assistenziali, resi evidenti nei seminari europei che per la prima volta si potevano tenere su quel tema, costrinsero a ricercare forme di intervento nelle quali non si rimanesse isolati con i gruppi marginali, ma si potessero stabilire collegamenti strutturali con le più generali dinamiche che sono al!'origine dei fenomeni stessi di povertà e di emarginazione. La povertà fu sempre più vista come l'indicatore del cattivo funzionamento economico e sociale e gli interventi presero sempre di più il carattere di interventi integrati, indirizzati a tutta la popolazione

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