{)!L BIANCO ~ILROSSO 1 fX• 1Nlt1 i i~IN4 Cf 1~•M zioni e politiche che sembrano non andare nello stesso senso, per così dire. Anche lo scenario internazionale, quello dell'inizio degli anni 90, sembra mostrare che il vento spira in tutt'altra direzione. Sullo sfondo della crisi del bipolarismo, della caduta delle ideologie, del trionfo inarrestabile del libero mercato - ormai, senza freni e senza antagonismi - la teoria dello Sviluppo Umano si azzarda a sostenere con forza che la crescita economica non è un fine, ma un mezzo; che la rigida e feroce contrapposizione tra politiche economiche di riaggiustamento strutturale e politiche sociali, imposte dagli organismi finanziari, sta determinando effetti catastrofici sulle economie e sulle società degli stati più poveri ed indebitati, che rappresentano la enorme maggioranza degli abitanti del pianeta. E che anche la crescita generale degli stati ricchi come di quelli poveri sembra compromessa e ristagnante. È una realtà incontestabile che si accentua fortemente negli anni successivi e pone tutti gli attori dello scenario internazionale, - governi, popoli, istituzioni finanziarie - di fronte alla necessità di riadeguare strumenti, ridisegnare politiche, ripensare le condizioni e le finalità dello sviluppo. Il re è nudo. Ma il dibattito internazionale si rianima e si arricchisce di un nuovo polo dialettico, che nessuno può permettersi di liquidare con fastidio e sufficienza. Così, dal 1990, i Rapporti sullo Sviluppo Umano si impegnano a sottoporre all'attenzione di tutti il proprio contributo critico ali' analisi dei problemi cruciali dello sviluppo mondiale. Ad esempio, quello del 1991 affronta la questione centrale del finanziamento dello Sviluppo Umano approfondendo il ruolo dei governi nazionali. Si analizzano le potenzialità di ristrutturazione dei bilanci nazionali, mediante il trasferimento di fondi dagli sprechi della spesa militare e delle imprese pubbliche in perdita, verso priorità di maggiore rilevanza quali l'istruzione primaria e l'assistenza di base. Da un'analisi basata su quattro coèfficienti che evidenziano le attuali priorità di spesa dei governi, risulta, ad esempio, che i paesi in via di sviluppo, pur impegnando nel bilancio pubblico oltre il 25% del proprio Pnl, indirizzano meno di un decimo di spesa verso priorità di sviluppo umano. Se ne conclude che il mondo ha un'enorme opportuni46 tà di aumentare gli investimenti nello Sviluppo Umano, già con le risorse disponibili. Il rapporto del 1992 é centrato sull'analisi dei mercati mondiali. Le restrizioni del commercio internazionale - vi si rileva - costano ai paesi in via di sviluppo circa 500 miliardi di dollari all'anno, dieci volte di più di quanto ricevano in assistenza dal!' estero. Non c'è da stupirsi se la disparità globale di reddito si è raddoppiata negli ultimi 30 anni: il 20% più ricco della popolazione mondiale riceve un reddito 150 volte più elevato del reddito del 20% più povero. Al centro del Rapporto del 93, sono posti i bisogni di partecipazione e l'analisi dei processi di esclusione della gente dai processi decisionali, dalle opportunità, dai mercati. Se ne conclude che probabilmente meno del 10% della popolazione mondiale è oggi in grado di partecipare pienamente alla vita politica, economica, sociale e culturale. Anno dopo anno, insomma, - in un interesse sicuramente crescente e con una capacità propositiva sempre più convinta - i vari Rapporti scelgono, approfondiscono, pongono in evidenza le grandi contraddizioni ed i problemi delle società contemporanee - quelle ricche e prospere e quelle povere e disperate - usando un filtro, quello dello Sviluppo Umano, semplice ed efficace. Quello che ne scaturisce è uno strano ed affascinante prodotto, che è qualcosa di meno e di più - al tempo stesso - di una nuova teoria generale dello sviluppo, conclusa, sperimentata, consacrata. Che è qualcosa di meno e di più, al tempo stesso, di un ricettario da sottoporre ai Governi perché riadattino, in base ad esso, le proprie politiche economiche e sociali. Le analisi sullo Sviluppo Umano si configurano come un prodotto aperto, costruito ed ampliato per accumulazioni successive, come uno strumento ambiguo e polivalente, che può essere adoperato in molti contesti, da molti attori, con molte finalità. Esso ha, sicuramente introdotto, nel dibattito teorico, uno strumento concettuale di lettura critica dei fenomeni attuali dello sviluppo mondiale, in particolare per le relazioni Nord-Sud. Come ha aperto, anche, uno spazio di ridefinizione delle politiche degli Organismi Internazionali e dei governi sulla relazione tra politiche economiche e politiche sociali, sulla
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