Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

i>!LBIANCO '-'L. ILROSSO 1n11BP~•a~@KH la misura in cui il comunismo è ancora una larga parte del proletariato. Tre esperienze sono state fatte dal 1944, che hanno sgomberato il terreno dagli errori che non devono essere più commessi su questa cerniera delle due Francie. È stato dimostrato che ogni labourismo che volesse rifare il socialismo a livello di cenacoli, senza la zavorra e la forza del proletariato, è votato alla palude: scacco del dopo-Resistenza. È stato dimostrato che ogni assembramento di eretici e di dimissionari di sinistra senza una robusta dottrina e senza una base popolare, conduce alla impotenza: scacco del Rdr. È stato dimostrato infine che tutte le informazioni che per la loro debolezza ideologica, il loro mimetismo alle tesi comuniste e la loro assenza di autonomia non appariranno che come strumento del partito comunista, sono incapaci oggi anche di allargare l'azione: scacco del Front National del Psv e di parecchi gruppuscoli paracomunisti. È sulla base di queste tre lezioni che dobbiamo ripensare interamente al problema comunista. Le condizioni negative sono chiare. Nel' senso che abbiamo dato alle parole: non anticomunismo sistematico, non labourismo eclettico, non bergerismo, non criptocomunismo. Ciò porta molte negazioni, ma bisogna cominciare in ogni azione col delimitare il proprio terreno, con mosse tattiche. Noi sappiamo che soltanto una dottrina originale molto valida e l'impulso vivo del proletariato, uniti l'una all'altro possono apportarci il contenuto di un'azione, capace di riprendere la grande tradizione rivoluzionaria francese (così come quella di Rosa Luxemburg o di Gramsci). Gli schermi, sfortunatamente, si moltiplicano davanti al proletariato, gli schermi di colore cangiante dell'anticomunismo, ma anche gli schermi della scolastica, della menzogna, del caporalismo che il comunismo di fatto alza ogni giorno di più .numerosi tra il popolo e noi. Non bisogna accettare né gli uni né gli altri, non bisogna consentire di lasciarci tagliare dal proletariato solo perché un'amministrazione ci rifiuta il visto. Non si tratta di ricomporci una immagine del proletariato conforme a un desiderio: bisogna rendergli la sua libertà di movimento, di ispirazione e di creazione affinché esso possa ritrovare la propria libera voce. Bisogna nutrirlo infine di realtà e non di dogmi feticci, di vaghe voci e di paradisi illusori. Bisogna - noi non ce la prenderemo - dargli la possibilità di continuare l'opera positiva del partito comunista elimi40 nando tutti i veleni che vi sono mescolati. Questo è uno dei nostri compiti principali per il futuro. Noi vi contribuiremo con la rivista nel modo più largo possibile, e il nostro augurio sarebbe che vi potessimo un giorno collaborare con un comunismo uscito da un vicolo cieco. Noi ci getteremo dunque sventatamente là dove si vorrebbe precipitarci da una parte e dall'altra. Noi non ci divertiremo a costruire un erbaio di dimissionari del partito comunista. Noi non ci impegneremo nella palude polemica. Non andremo sui marciapiedi di Parigi, le notti di Natale, a rialzare da un vomito rossastro l'umanesimo koestleriano. Noi toglieremo all'Occidente quel tumore della buona coscienza che esso alimenta da due anni al punto in cui va in suppurazione il suo anticomunismo di difesa sociale, quell'orrenda buona coscienza che soffoca anche la disposizione di intrapredere le prese di coscienza salutari. Noi l'abbiamo vista nascere a quei manifesti diffusi in tutte le Chiese, e dove otto su dieci delle nostre foto di identità avrebbero riempito il servizio ambiguo che si domandava a quella di un prelato infelice. L'abbiamo vista gonfiarsi ad ogni errore, ad ogni crimine del comunismo, sfigurare il volto della cristianità, addormentare il socialismo, nutrire le nostalgie sterili e le illusioni mortali di una nazione che fu grande. Coloro che si staccano dal comunismo con un cuore insufficientemente risoluto e fedele hanno due vicoli ciechi da evitare; la congiura dei pessimismi, che Koestler offre loro; e la congiura degli ottimismi, che tutti propongono loro. Essi non ci troveranno né su una via, né sull'altra. Contro il pessimismo, noi abbiamo una fede. Contro l'ottimismo, il morso della ingiustizia. L'ingiustizia! Migliaia di persone dabbene la ignorano ancora con tutta tranquillità, esse oggi si fanno, della loro indignazione contro il comunismo, un riparo contro i loro propri rimorsi, e contro il suo ossessionante richiamo. Noi ossessioneremo le loro notti, le nostre notti, con la sua voce rauca. Se la rivoluzione socialista devia, è troppo comodo giudicarla, volgersi dall'altra parte e mettersi tranquilli. Più che mai, bisogna che riprendiamo la rivolta dei nostri vent'anni, le rotture dei nostri venticinque anni. Il cristiano non lascia il povero, il socialista non abbandona il proletario, o essi spergiurano il loro nome. Gli uffici competenti si guarderanno bene dal contare su di noi per questo spergiuro.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==