Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

{)!,LBIANCO ~ILROSSO •lt1@iH;Jt;1IM do al Polo della Libertà una larga maggioranza assoluta alla Camera e una promessa di maggioranza assoluta anche al Senato. Grazie al maggioritario, gli italiani si sono dati una maggioranza, ma non ancora un governo. Più aperta che mai appare infatti, almeno al momento in cui scriviamo, la polemica tra Bossi e Berlusconi riguardo alla leadership della coalisione vincente e, di riflesso, riguardo alla designazione alla Presidenza del Consiglio. L'attualità politica si è così incaricata di fornire una inequivocabile dimostrazione della necessità di completare la riforma élettorale maggioritaria con un meccanismo elettorale o costituzionale di investitura del premier. In ogni caso, una maggioranza c'è. A questa bisogna ora rivolgersi per sportivi rallegramenti e per un cordiale augurio di buon lavoro. Dopodiché, buon lavoro anche a noi Progressisti, all'opposizione. Un'opposizione che dovrà non solo, come in ogni buona democrazia, controllare la correttezza del!' operato del governo ed elaborare una proposta alternativa da spendere alle prossime e"Jezioni, ma anche vigilare sull'affidabilità democratica della maggioranza, al momento tutt'altro che scontata, agli occhi degli stessi osservatori internazionali. Riuscirà il tentativo di Fini e Berlusconi di superare la polemica fascismo-antifascimo, a convincere chi teme che essa altro non sia che una malcelata riabilitazione, o addirittura rivincita, del ventennio? Riusciranno Bossi e Miglio a riassicurare quanti temono che il loro federalismo sia in realtà l'anticamera di un'avventura secessionista? E riuscirà Berlusconi a dimostrare che la sua gridata adesione ai principi liberaldemocratici non si arresterà dinanzi alla definizione di regole contro la concentrazione del potere, politico, economico, dell'informazione, di cui egli oggi gode come nessun leader politico dell'occidente democratico ha mai goduto? Su questi tre punti, i Progressisti dovranno esser capaci di un'azione critica molto rigorosa: dall'opposizione, nel caso probabile in cui la maggioranza riesca ad esprimere un governo, o anche all'eventuale tavolo di un governo istituzionale di transizione, qualora a questo portino i con - trasti in seno alla maggioranza. Certo, come direbbe Lapalisse, sarebbe stato molto meglio, per l'Italia oltre che per noi, se questi tre chiarimenti Fini, Bossi e Berlusconi avessero potuto darli dall'opposizione. Ma gli elettori hanno deciso diversamente: forse per la maggior esperienza pubblicitaria delle Destre, forse per l'eccesso di serioso grigiore dei Progressisti, sta di fatto che gli italiani hanno preferito l'avventura delle 3 prime alla rassicurante proposta dei secondi. Segno che, ancora, l'Italia assomiglia, per certi aspetti di psicologia politica di massa, più ad un paese ex-comunista che ad una moderna nazione occidentale. I Progressisti hanno proposto un cambiamento nella continuità: cambiare il governo e il personale politico, ma dentro la continuità dei valori costituzionali della Repubblica. E invece, gli elettori hanno preferito mandar giù dosi anche massiccie di continuità nel personale politico (da Berlusconi a Casini, dalla Fumagalli Carulli a Selva) pur di rompere chiaramente e nettamente col quadro di riferimento etico-politico della Prima Repubblica. Certo, c'è chi dice che questa analisi avrebbe potuto essere tranquillamente·rovesciata se il Centro - che su questa discriminante si è trovato assai più vicino ai Progressisti che non alle Destre - avesse scelto la via dell'alleanza anziché quella dell'isolamento. Ma questo non è avvenuto, a riprova dello sbandamento, culturale prima ancora che politico, in cui versa gravemente il movimento cattolico in Italia. Il deficit di comprensione dei «segni dei tempi» ha portato la dirigenza del Ppi e quella ecclesiastica (in totale, difensiva, sintonia) ad attirare alcuni milioni di «residui» voti cattolici nella trappola del Centro, che non ha potuto che dimostrarsi quello che doveva essere, in un sistema maggioritario, ovvero il luogo dell'insignificanza e della dissipazione politica. E ora, dopo il non expedit, dopo il no gerarchico ad una tranquilla ed attiva adesione dei cattolici organizzati alla logica bipolare del maggioritario, non può che arrivare, con una fretta sconcertante ed anche un po' maldestra, il «Patto Gentiloni»: i cattolici si astengano dal proporre il loro contributo, magari differenziato, alla elaborazione di sintesi politiche generali; e lascino ai vescovi il compito di negoziare la benedizione ai vincitori con qualche contropartita sui terreni vetero-clericali delle opere cattoliche, a cominciare dalla scuola. Ah, se Segni, ah, se Martinazzoli lo avessero invocato meno, il povero Sturzo, e lo avessero invece praticato di più, reincarnandolo nel contesto inedito della democrazia maggioritaria ... Molto è ancora confuso, sotto il cielo d'Italia, alle soglie del terzo millennio. Ma una cosa almeno è chiara: una rivincita sulle Destre, vincenti ma non ancora convincenti, potrà venire solo se sapremo fare i conti, allo stesso tempo, con la sconfitta tattica dei Progressisti e con là disfatta strategica del Centro. Che i Cristiano-Sociali, nel loro piccolo, possano essere uno dei luoghi privilegiati di questa decisiva operazione?

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