Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

processi o provando a governarli col metodo delle «giuste riforme» (così la C.A.). Di questa deriva economicista, nel vivo della politica italiana, rilevo qualche traccia: • nella rottura del nesso vitale tra interessi e valori (a discapito di questi ultimi) nella rappresentanza politica; • nella aperta propensione a «scendere in campo» da parte di nuovi attori politici a tutela di malcelati interessi privati piuttosto che in vista di un più comprensivo bene comune; • nella vistosa marginalità . politica della «questione sociale» (o di tutela delle posizioni deboli) sul piano interno ed internazionale a vantaggio degli obiettivi di modernizzazione economica e istituzionale, sui quali più volentieri si concentrano dibattito e iniziativa politica. Una «questione sociale», che certo non esaurisce l'agenda politica, ma che, tantomeno, può configurarsi come problema di risulta. In conclusione e in positivo, mi sentirei di concludere conferendo a una politica di ispirazione cristiana i se- {)!LBIANCO ~ILROSSO 111 •~'SJ• a;1 guenti quattro aggettivi (essi non esauriscono la gamma dei.registri, ma alludono ai versanti più a rischio sopra menzionati): • riformatrice, in quanto assegna a se stessa un compito regolativo (e non di registrazione passiva) dei rapporti economici e civili, in nome di un sano primato della politica (cfr. O.A. 46); • solidarista, cioè tesa alla misura di uguaglianza compatibile. con i vincoli dell'economia di mercato e la democrazia politica; • partecipativa, ove il popolo sovrano (e non elite più o meno illuminante e magnanime) sia protagonista della propria elevazione; • mite (più che moderata), cioè non esasperata e giacobina nei metodi e nello stesso linguaggio (imbarbarito) della lotta politica, in quanto sostenuta dalla fiducia nelle risorse del confronto razionale e consapevole del limite della politica come via alla salvezza in una pospettiva cristiana. Mite nel metodo/costume, ma - ripeto - audace nei suoi traguardi. L'«audacia della 27 fraternità» per dirla con le parole del Papa al corpo diplomatico. Se così non fosse - mi chiedo - perché scomodare l'ispirazione cristiana? Di più: perché scomodare la politica? Solo per far dilagare interessi e culture che poco hanno a che fare con l'ispirazione cristiana e che stravincono da soli, senza il supporto della politica? Anche perché la dottrina sociale della Chiesa non conduca a un caso clinico di schizofrenia: proclamata e proposta, con toni ingenui e persino massimalisti e impolitici, dentro la comunità cristiana e l'associazionismo cattolico, ma estromessa non appena si varca la soglia delle sedi politiche. Quasi si fosse scherzato. Che credito si può dare alla parola di una comunità cristiana che dopo avere educato i giovani alla esigente pratica del servizio, del volontariato, dell'obiezione di coscienza, mostra di contentarsi di una politica chiusa entro gli angusti orizzonti di un esangue moderatismo liberale?

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