Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

Poste queste premesse (con le quali dapprima abbiamo argomentato la tesi secondo la quale da dottrina sociale della Chiesa è ricca di concrete implicazioni politiche e poi abbiamo evocato e dato nome ai paradigmi di valore che tale dottrina prescrive), vorrei provare a rispondere alla seguente domanda: da quale versante vengono le sfide più insidiose a un'azione politica coerente con la dottrina sociale della Chiesa oggi in Italia? Dove, su quale fronte è bene fissare qualche paletto, se è vero - come abbiamo sostenuto - che la dottrina sociale della Chiesa non prescrive una sola politica, ma, questo sì, ne esclude talune con essa palesemente incompatibili? Per rispondere a questo interrogativo, mi faccio guidare dalla recente lettera del Papa ai vescovi italiani sulle responsabilità dei cattolici nell'ora presente, lettera che muove da un interrogativo non molto diverso. Anche qui, tuttavia, ci si imbatte nella babele delle interpretazioni, dalle più politiciste alle più evasive. Ciascuno ha ritenuto di scorgervi una chiave interpretativa, un punto focale, un accento prevalente. Per parte mia - giusto allo scopo di non affidarmi alle congetture, per tenere stretta la corda doppia che dà una doppia sicurezza - faccio mia l'interpretazione autprevole che ne ha dato il portavoce stesso del Papa, J. Navarro. A suo dire, il cuore delle riflessioni del Pontefice sarebbe il seguente: stimolare e incoraggiare il contributo dei cattolici per contrastare le derive secolariste ed economiciste che si manifestano in Italia e in Europa. Ecco le due sfide più indisiose per l'impegno pubblico dei cristiani. Proviamo a dare un nome più preciso a queste due sfide, con più specifico riguardo alla dialettica culturale e politica che si sviluppa in Italia. 1. Deriva secolarista. Mi pare di scorgerne i riflessi negli equivoci/ fraintendimenti connessi alla, per sè positiva, deideologizzazione della contesa politica. Una certa polemica anti-ideologica facile e corriva rischia di far passare l'idea che non si diano più differenze. Che forse dovremo qualificare come differenze etico-poli- {)!L BIANCO al.IL ROSSO • •11 )-i§J i a ;J tiche più che ideologiche (se questo aggettivo è indelebilmente segnato e compromesso con le vecchie ideologie totalizzanti di matrice ottocentesca che hanno pesato come un'ingombrante ipoteca sulla vita politica italiana e che, dunque, è buona cosa che siano deperite). Dobbiamo tuttavia vigilare affinché non passi una sorta di ideologia alla rovescia, di tutte la più insidiosa. Una sorta di «nuovopositivismo», secondo il preveggente monito di Paolo VI nell'«Octogesima Adveniens». Di questo vizio potrebbero essere figli: • una certa retorica sul «buon governo», che sottintende la riduzione della politica da arte e tecnica della gestio26 ne efficiente, e dunque la delega di essa ad elite tecnocratiche; • l'appello a un malinteso primato dei programmi (anche qui: sacrosanto in un tempo post-ideologico che finalmente riduce la politica allo stato laicale), quasi che i programmi si risolvano in un materiale elenco di cose da fare, anziché in un'agenda politica di impegni pratici gerarchicamente ordinati da inscrivere entro un orizzonte etico-politico disegnato secondo legittime preferenze; • l'ossessione di assemblare forze eterogenee, sulla scorta delle nuove regole elettorali, solo allo scopo di battere l'avversario, il quale solo sarebbe accecato dagli ideologismi (vecchi o nuovi). Anziché allearsi per, enunciando lealmente le proprie opzioni di valore, che operano anche (soprattutto?) quando sono dissimulale, magari per conquistare il consenso decisivo dell'elettorato di centro. Si tratta, insomma, di smascherare un prassismo dietro la cui pretesa neutralità sia la cancellazione della politica democratica che si nutre di aperta competizione tra opzioni diverse lealmente enunciate e la sua sostituzione con la tecnocrazia imperniata su chi assomma potere e sapere. 2. Deriva economicista. È la mortificazione delle istanze metaeconomiche, il cortocircuito che il Papa paventava già nel par. 42 della «Cenlesimus Annus», ove egli raccomandava di distinguere accuratamente tra una nozione buona e una degenerata di capitalismo. La prima lo fa coincidere con il positivo portato della rivoluzione industriale e liberal-democratica, ossia l'economia di mercato rivelatasi, alla prova della storia, non solo più efficiente, ma altresì correlata con la democrazia politica. La seconda, da respingere, per la quale il capitalismo indebitamente assurge a «ideologia radicale» sotto forma di ethos avido, appropriativo, predatorio. Insomma, dobbiamo situarci ben dentro le coordinate (e i vincoli) dell'economia di mercato e non inseguire mitiche e fuorvianti terze vie, ma c'è modo e modo di starci dentro. Anche politicamente: ci si può stare dentro subendo i

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