Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

{)!LBIANCO ~ILROSSO 1111 tr-·'S 11MIl Implicazionipolitichedella dottrinasocialedellaChiesa orrei provare a rispondeV re all'interrogativo optando per un livello di discorso intermedio tra quello più teorico - del nesso fede-politica - e quello più pratico-politico, della distribuzione dei cattolici italiani entro uno o più schieramenti. La questione, a mio giudizio cruciale anche in rapporto al tema in oggetto, è la seguente: quali le implicazioni politiche della dottrina sociale della Chiesa? Talvolta si ha l'impressione che la dottrina sociale della Chiesa sia condannala a un ingrato destino. Faccio tre esempi: a) tra gli intellettuali e gli opinionisti cattolici (e non), nel giro di pochi anni, si è passati dalla contestazione aperta all'omaggio di rito, al vezzo di fare il verso ad essa; b) tra i cristiani comuni, ancora clamorosamente difetta anche solo una minima conoscenza e assimilazione dei suoi parametri. Si spiegano anche così certe direzioni problematiche prese dal consenso cattolico e manifestatesi sullo stesso piano politico-elettorale dopo la rottura del vasto contenitore democristiano. Una deriva, questa, che ha prodotto un brusco risveglio per chi porla responsabilità entro la comunità cristiana, disvelando come, sollo l'esile rassicurante manto dell'unità politico-partitica dei cattolici, allignavano equivoci, ritardi, contraddizioni. In una parola, operava una coscienza cristiana politicamente non istruita (fu il cruccio di Giuseppe Lazzali); c) tra gli attori politici di parte callolidi FrancoMonaco ca, si oscilla tra l'appropriazione della dottrina sociale della Chiesa e l'estenuazione delle sue «implicazioni politiche», Ira la pretesa di fare il «partito della dottrina sociale della Chiesa e la propensione a risolverne la portala entro la mera opzione antislalalisla (da destra) o un generico afflato solidarista (da sinistra). È appena il caso di osservare che, per un verso la dottrina sociale della Chiesa è patrimonio tanto ricco e di portala universalistica che nessuna concreta, specifica esperienza politica può pretendere/millantare di esaurirlo in sè (esso è suscettibile, cioè, di ispirare una pluralità di proposte/percorsi, ciascuno dei quali de25 ve elaborare una propria, più determinata mediazione politico-programmatica, ancorché nell'orizzonte ideale della dottrina sociale della Chiesa); per altro verso, essa è densa di pregnanti implicazioni politico-programmatiche che impegnano e in certo modo vincolano i cristiani singoli nella loro azione pratico-politica e, a fortiori, le formazioni che osano enunciare un programmatico riferimento all'ispirazione cristiana (in Italia sono quattro quelle su base nazionale: il Partito popolare post-democristiano, il Centro cristiano democratico di Casini e Mastella, i Popolari ·per la riforma di Mario Segni, i Cristiano-Sociali di Carniti e Gorrieri). Fare politica da cristiani, dunque, è operazione sommamente impegnativa, che non involge solo la qualità (appunto cristiana) delle motivazioni soggettive e l'orizzonte metapolitico, ma anche il merito, la qualità, la direzione concreta della proposta, dei programmi, dei comportamenti degli attori politici. Proviamo a richiamare alla memoria le idee-forza, le categorie-chiave, i paradigmi etico-politici («principi di riflessione, criteri di giudizio, direttive d'azione») che si rinvengono dentro la dottrina sociale della Chiesa: primato della persona, centralità della famiglia fondala sul matrimonio, pluralismo sociale e istituzionale, libertà di educazione, principio di sussidiarità, solidarietà, apertura universalistica, pace-giustizia-salvaguardia del creato. Istanze che, considerate dal punto di vista dell'azione politica, possono essere tutte raccolte entro la categoria sintetica del bene comune.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==