Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

{)!LJUANCO ~ILROSSO • •11 ~1§•1 a ;J Il duplicecontributdoeicristiani allanuovarealtàdellapolitica - I I vizio abituale di molti ragionamenti condotti intorno all'ormai classico tema del rapporto tra fede e politica è costituito dalla tendenza a traitarlo, per così dire, al singola- - re. Da un lato si parla di cattolici, ma si potrebbe benissimo dire «il cattolico», intendendosi a questi fini per lo più una realtà omogenea o, comunque, presupponendosi l'identità dell'«oggetto» di indagine. Si noti infatti che, a suggellare questa connotazione assolutizzata (e, perciò, singolare) del primo dei due termini, si finisce per scomodare nientemeno che la fede, non suscitando un uguale fascino porre la medesima questione nei termini, ad esempio, del rapporto tra credenti e.politica, tra sentimentoreligioso e politica, tra pratica religiosa e comportamenti politici, ecc. Dall'altro, che le degenerazioni della politica siano state per lungo tempo nascoste all'ombra di una esaltazione della «Politica»con tanto di «p»maiuscola è af· fermazione che non richiede giustificazione, ma evoca, piuttosto, un moto di nostalgia e profondo rispetto per quei pochi che veramente l'hanno intesa come vocazione e come servizio. Se c'è un risultato, quindi, della bufera (non solo giudiziaria) che si è scaricata sul sistema politico, in questi ultimi due anni, questo è l'erosione delle categorie pure con le quali per decenni sono stati farciti i nostri dibattiti. Non è questa la sede per valutare se ciò sia un bene o un male, né se questo fenomeno debba farsi risalire alla fine dei conflitti ideologici, ali' estinzione di un certo modello di partito, alla tradi Giovanni Guzzetta sformazione del sentimento comune nei confronti della cosa pubblica e della sua gestione, fatto è che il potere evocativo, quasi mistico, dei concetti si è volatilizzato o è stato comunque fortemente ridimensionato. Ciò è vero per la politica, ma specularmente vale per la questione religiosa con riferimento a questo terreno. Infatti è difficile, a meno di non collocarsi su di un piano diverso ed improprio, trattare oggi rigidamente i\ tema del rapporto tra «fede» e «politica» quando «singoli» (questi sì) credenti militano pressocché in ogni partito. Si deve dunque rinunciare al singolare e considerare i termini del problema come se si trattasse deipluralia tantum di liceale memoria. È dovere di tutti impegnarsi per «accompagnare» questa svolta culturale valorizzando positivamente 19 le differenti scelte politiche tra i membri della stessa comunità religiosa e, sull'altro versante, pretendere che effettivamente la «Politica», più prosaicamente, ma con maggiore beneficio di tutti, si articoli in chiare e concrete «politiche». Così posta schematicamente la questione (di cui si dà, per brevità, scontata la dimostrazione) il problema può essere affrontato sotto due profili. Si potrebbe semplicemente capovolgere lo schema passato adattandolo alla nuova declinazione «al plurale» e, allora, il tutto si riformulerebbe così: mentre prima ci si chiedeva quale fossero le scelte coerenti con (o necessitate dal) la fede, oggi ci si domanda quali di queste scelte sono incompatibili con la medesima. Ed è questo, mi pare, il modo nel quale lo interpretano i nostri vescovi quando parlano di unità sui valori che, per definizione, essendo qualcosa di non perfetlamente coincidente con unità organizzativa in un partito, può essere compatibile con scelte differenziate purché all'interno, per dir così, di una precisa «banda di oscillazione». L'altro modo, compatibile con il precedente, ma che, forse, si addice maggiormente ad un laico, per sua natùra un po' timoroso di avventurarsi sul terreno (magisteriale) della teologia morale, è quello di andare a fondo dei mutamenti culturali in corso per cercare di trarre qualche lume sul come affrontare questa transizione così incerta. Mi si perdonerà se, rinviando agli altri contributi, certamente ricchissimi

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==