Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 50 - aprile 1994

ISS 1120-7930- SPED.ABB.POST.- GR. mno% ~lLBIANCO '-XILROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Ildifficile(pertutti)vieneadesso di Giorgio Tonini lla sua prima prova elettorale, A il sistema maggioritario all'italiana ha funzionato. Se il sistema maggioritario deve produrre bipolarismo e, in questo, una maggioranza, entrambi questi risultati le elezioni del 27 marzo li hanno conseguiti. Il Centro ha raccattato un pugno di parlamentari, quasi esclusivamente grazie al recupero proporzionale, un mostriciattolo frutto dell'inevitabile compromesso nel vecchio parlamento - al quale nessuno pronostica lunga vita. Per il resto, 579 deputati su 630 e 278 senatori su 315 sono andati ai due poli, consegnan50 ANNOV0 • APRILE1994• L.3.500

IN QUESTO NUMERO ED!IORIALE Giorgio Tonini Il difficile (per tutti) viene adesso pag. 1 ATTUALITA Pietro Scoppola Elezioni: di svolta o di vera continuità? pag. 4 Pierre Carniti Il verdetto è staio chiaro. Il futuro alla idee, e ai programmi pag. 6 Giovanni Gennari È finito il centro: forse per la Chiesa è una «buona notizia» pag. 7 DOSSIER Cattolici e politica: un equivoco permanente o una opportunità nuova? Giovanni Benzoni La «grazia» di una rinnovata laicità nell'agire politico Angelo Bertani. Una rinnovata progettualità cristiana è naturalmente anti-destra Domenico del Rio La fine del partito «cristiano»? Forse questa è una «grazia» di Dio Paolo Giammarroni Non contentiamoci di una nuova diaspora Giovanni Guzzetta Il duplice contributo dei cristiani alla nuova realtà della politica Giuseppe Lumia È l'ora di sperimentare vie nuove di servizio reale Angelo Mina Fine dell'uso ideologico della fede. Era già nella «Lettera a Diogneto» Franco Monaco Implicazioni politiche della dottrina sociale della Chiesa Franco Monterubbianesi Saper scegliere con chi stare. E stare con gli «ultimi» Sabino Palumbieri Non è finito il ruolo della politica come forma piena di «carità» MarioReina Unità e pluralismo: una fecondità nuova Francesco Michele Stabile L'identità cristiana è liberazione concreta, o non è DOCUMENTO Emmanuel Mounier Fedeltà DOCUMENTAZIONE Maria Grazia Giannichedda Strategie per uno sviluppo umano e lotta alla povertà Bruno Catenacci Giuseppe Pennisi Giovanni Paolo Il Salvatore Vento Giuseppe Pennisi Pietro Scoppola Strategie per uno sviluppo umano Povertà 3. Programma Cee per l'integrazione economica e sociale dei gruppi meno favoriti» (1989-1994) Programma Onu per lo sviluppo: «Prodere» Povertà: ultime dal mondo degli ultimi Il lavoro dell'uomo è per l'uomo. Il profitto viene solo dopo EUROPA E IL MONDO Indagate sulla «concentrazione» Fininvest INTERVENTI Il rapporto Delors: per una società aperta alle esigenze del lavoro in Europa Olivetti e Fial: accordi sul lavoro in contesto europeo CRISTIANO-SOCIALI NOTIZIE Cristiano-Sociali: i perché di una scelta ideale e politica pag. 12 pag. 14 pag. 16 pag. 17 pag. 19 pag. 21 pag. 23 pag. 25 pag. 28 pag. 30 pag. 33 pag. 36 pag. 38 pag. 41 pag. 44 pag. 50 pag. 55 pag. 59 pag. 62 pag. 65 pag. 67 pag. 69 pag. 73 Le illustrazioni di questo numero sono tratte da «Il ritorno dei barbari» di Honoré Daumier

{)!,LBIANCO ~ILROSSO •lt1@iH;Jt;1IM do al Polo della Libertà una larga maggioranza assoluta alla Camera e una promessa di maggioranza assoluta anche al Senato. Grazie al maggioritario, gli italiani si sono dati una maggioranza, ma non ancora un governo. Più aperta che mai appare infatti, almeno al momento in cui scriviamo, la polemica tra Bossi e Berlusconi riguardo alla leadership della coalisione vincente e, di riflesso, riguardo alla designazione alla Presidenza del Consiglio. L'attualità politica si è così incaricata di fornire una inequivocabile dimostrazione della necessità di completare la riforma élettorale maggioritaria con un meccanismo elettorale o costituzionale di investitura del premier. In ogni caso, una maggioranza c'è. A questa bisogna ora rivolgersi per sportivi rallegramenti e per un cordiale augurio di buon lavoro. Dopodiché, buon lavoro anche a noi Progressisti, all'opposizione. Un'opposizione che dovrà non solo, come in ogni buona democrazia, controllare la correttezza del!' operato del governo ed elaborare una proposta alternativa da spendere alle prossime e"Jezioni, ma anche vigilare sull'affidabilità democratica della maggioranza, al momento tutt'altro che scontata, agli occhi degli stessi osservatori internazionali. Riuscirà il tentativo di Fini e Berlusconi di superare la polemica fascismo-antifascimo, a convincere chi teme che essa altro non sia che una malcelata riabilitazione, o addirittura rivincita, del ventennio? Riusciranno Bossi e Miglio a riassicurare quanti temono che il loro federalismo sia in realtà l'anticamera di un'avventura secessionista? E riuscirà Berlusconi a dimostrare che la sua gridata adesione ai principi liberaldemocratici non si arresterà dinanzi alla definizione di regole contro la concentrazione del potere, politico, economico, dell'informazione, di cui egli oggi gode come nessun leader politico dell'occidente democratico ha mai goduto? Su questi tre punti, i Progressisti dovranno esser capaci di un'azione critica molto rigorosa: dall'opposizione, nel caso probabile in cui la maggioranza riesca ad esprimere un governo, o anche all'eventuale tavolo di un governo istituzionale di transizione, qualora a questo portino i con - trasti in seno alla maggioranza. Certo, come direbbe Lapalisse, sarebbe stato molto meglio, per l'Italia oltre che per noi, se questi tre chiarimenti Fini, Bossi e Berlusconi avessero potuto darli dall'opposizione. Ma gli elettori hanno deciso diversamente: forse per la maggior esperienza pubblicitaria delle Destre, forse per l'eccesso di serioso grigiore dei Progressisti, sta di fatto che gli italiani hanno preferito l'avventura delle 3 prime alla rassicurante proposta dei secondi. Segno che, ancora, l'Italia assomiglia, per certi aspetti di psicologia politica di massa, più ad un paese ex-comunista che ad una moderna nazione occidentale. I Progressisti hanno proposto un cambiamento nella continuità: cambiare il governo e il personale politico, ma dentro la continuità dei valori costituzionali della Repubblica. E invece, gli elettori hanno preferito mandar giù dosi anche massiccie di continuità nel personale politico (da Berlusconi a Casini, dalla Fumagalli Carulli a Selva) pur di rompere chiaramente e nettamente col quadro di riferimento etico-politico della Prima Repubblica. Certo, c'è chi dice che questa analisi avrebbe potuto essere tranquillamente·rovesciata se il Centro - che su questa discriminante si è trovato assai più vicino ai Progressisti che non alle Destre - avesse scelto la via dell'alleanza anziché quella dell'isolamento. Ma questo non è avvenuto, a riprova dello sbandamento, culturale prima ancora che politico, in cui versa gravemente il movimento cattolico in Italia. Il deficit di comprensione dei «segni dei tempi» ha portato la dirigenza del Ppi e quella ecclesiastica (in totale, difensiva, sintonia) ad attirare alcuni milioni di «residui» voti cattolici nella trappola del Centro, che non ha potuto che dimostrarsi quello che doveva essere, in un sistema maggioritario, ovvero il luogo dell'insignificanza e della dissipazione politica. E ora, dopo il non expedit, dopo il no gerarchico ad una tranquilla ed attiva adesione dei cattolici organizzati alla logica bipolare del maggioritario, non può che arrivare, con una fretta sconcertante ed anche un po' maldestra, il «Patto Gentiloni»: i cattolici si astengano dal proporre il loro contributo, magari differenziato, alla elaborazione di sintesi politiche generali; e lascino ai vescovi il compito di negoziare la benedizione ai vincitori con qualche contropartita sui terreni vetero-clericali delle opere cattoliche, a cominciare dalla scuola. Ah, se Segni, ah, se Martinazzoli lo avessero invocato meno, il povero Sturzo, e lo avessero invece praticato di più, reincarnandolo nel contesto inedito della democrazia maggioritaria ... Molto è ancora confuso, sotto il cielo d'Italia, alle soglie del terzo millennio. Ma una cosa almeno è chiara: una rivincita sulle Destre, vincenti ma non ancora convincenti, potrà venire solo se sapremo fare i conti, allo stesso tempo, con la sconfitta tattica dei Progressisti e con là disfatta strategica del Centro. Che i Cristiano-Sociali, nel loro piccolo, possano essere uno dei luoghi privilegiati di questa decisiva operazione?

ATTUALITÀ Elezioni:disvolta odiveracontinuità? di Pietro Scoppola - n molti, il 29 mattina, di fronte al risultato defini- i tivo del voto, abbiamo avuto la sensazione di non essere più nello stesso paese, di essere diventati quasi estranei in casa. Siamo estranei ora o non conoscevamo, prima, la realtà del paese? Forse il voto rivela l'Italia a se stessa; non cambia, non modifica, ma rispecchia una realtà esistente e - profonda. Credo che per capire il significato di questo voto si debba ragionare su due livelli. Il primo è quello immediatamente politico. Quasi tutti i commenti sono rimasti su questo piano. Su questo piano si pone anzitutto una domanda: è stato giusto imporre con i referendum elettorali il passaggio dal proporzionale all'uninominale maggioritario? Non credo che si debbano avere rimpianti: il sistema politico fondato sul proporzionale era ormai così corrotto da non poter sopravvivere. In più va sottolineato che la legge di attuazione dei referendum è stata quanto mai infelice; è alla legge e non ai referendum che vanno imputati molti degli inconvenienti della ultima campagna elettorale, in assenza di un doppio turno la polarizzazione è stata radicale fra destra e sinistra, sono state sacrificate le mezze ali; non è stata data agli elettori la possibilità neanche indiretta di una scelta di governo. Altri effetti negativi sono venuti dalle scelte dei partiti: la Dc (poi Partito popolare italiano) atte4 standosi al centro ha contribuito alla radicalizzazione; aggiungiamo pure che la insistenza della presidenza della Cei sulla unità politica dei cattolici ha avuto la sua parte in questa scelta centrista tardiva e non più compatibile con un sistema maggioritario. Nonostante la radicalizzazione degli schieramenti gli elettori hanno di fatto ragionato come si ragiona in una scelta binaria: da una parte o dall'altra, così è stato tolto o ridotto, alla sinistra come alla destra, l'apporto qualificante di una componente cattolica. Dal suo canto la sinistra ha le sue evidenti responsabilità per aver ceduto alla logica del fronte unito non compatibile con la conquista del centro. Le formazioni minori del polo progressista dividendosi nelle liste proporzionali non hanno raggiunto il quorum prescritto del 4% e hanno fatto perdere alla sinistra nel suo insieme alcune decine di seggi. Ma detto tutto questo rimane il problema di fondo - e siamo così al secondo livello di analisi e di riflessione-: il paese si è rivelato in queste elezioni per quello che è nel profondo. Un paese che si è illuso di poter uscire dalle contraddizioni e dalla crisi del vecchio sistema senza grandi sacrifici, che ha accolto per valido l'appello televisivo di un uomo che al vecchio sistema è legato ma che promette un nuovo miracolo economico; un paese in cui il senso della solidarietà è debole

{)!LBIANCO ~ILROSSO ikiiiiil•t;i e incerto e un appello sfrenato àll'individualismo è vincente. Le elezioni sotto questo profilo non segnano una svolta ma rivelano la realtà dell'Italia: l'Italia del «particulare» come lo chiama Guicciardini, in cui la mentalità più diffusa è quella dei sudditi che vogliono una guida sicura, non dei cittadini che vogliono assumersi la responsabilità delle loro scelte e del loro futuro. È triste sotto questo profilo che la prima reazione visibile del!'episcopato italiano sia stata quella di un invito a quel che resta della Dc a fare i conti con i vincitori, mettendo in ombra, a me sembra, quella esigenza fondamentale della presenza cristiana in politica che si riassume nel «principio di non appagamento», nella tensione costante verso traguardi più elevati di convivenza, più coerenti con le esigenze della solidarietà cristiana. Per decenni questo paese è stato rappresentato da un sistema in cui la Dc ha avuto un ruolo centrale: non è un merito di poco conto quello della Dc di aver interpretato democraticamente questa Italia profonda, moderata conservatrice e civilmente pigra, ma è un limite quello di non averla cambiata e fatta crescere. Il limite è anche degli altri partiti: abbiamo avuto una «repubblica dei partiti» non una «repubblica dei cittadini». La coscienza civica non è stata formata: si sono coltivate le appartenenze particolari non il senso dello Stato e il rispetto della legge; si sono piegate da tutte le parti le istituzioni agli interessi di partito ed ora la fragilità della cittadinanza italiana emerge in piena luce. La destra vincente è lo specchio di questa realtà; Berlusconi con una iniziativa geniale è riuscito a saldare in uno schieramento elettorale, precario ma vincente, l'egoismo del Nord che rifiuta la solidarietà nazionale, con le logiche clientelari del Sud che hanno trovato canali nuovi nel riciclato Movimento sociale. Se questa analisi, qui appena abbozzata, ha qualche fondamento occorre certo una risposta politica, con una opposizione severa e costruttiva che incrini e metta in crisi lo schieramento vincente; ma occorre anche una azione di grande respiro nelle fasce più profonde della società italiana. Qui a mio avviso è il compito più vero dei cristiani in collaborazione con tutte le forze sane di questo paese: far crescere e maturare le coscienze, il senso civico, il senso dello Stato, con i comportamenti quotidiani. Non serve nè recriminare, nè chiudersi in sterili catastrofismi: la storia non si ripete mai uguale a se stessa; l'idea di un fascismo alle porte è un alibi che può portare solo al disimpegno o a un pericoloso ribellismo guai se la sinistra fosse tentata di ripercorrere la via della mobilitazione delle piazze per opporsi al governo e ai provvedimenti che adotterà. Serve invece lavorare e impegnarsi non solo nella politica ma nella società italiana. . . . . . '":· . .•• : . ' .~. ' : . . . . -~· ... : .• . . ·-. . . 5

{).!J, BIANCO ~ILROSSO Pikii••li Ilverdetto èstatochiaro. Il futuroalleidee,eaiprogrammi di Pierre Carniti - 1risultato elettorale è stato chiarissimo: le destre I hanno vinto. Le prospettive di governo restano invece più oscure. O, perlomeno, più incerte. L'incertezza deriva dalla decisione di Bossi di sbarrare la strada di Palazzo Chigi: a Fini per i suoi trascorsi ed a Berlusconi per il suo presente. - Cioè per l'ampiezza e la ramificazione dei suoi interessi, non sempre compatibili con l'interesse comune. L'incertezza deriva anche dalla difficoltà di ridurre ad unità la concezione centralistica e nazionalistica di Alleanza Nazionale con quella federalista e separatista della Lega. Alla fine però nessuna di queste difficoltà dovrebbe impedire alle destre di trovare un compromesso sul programma e sugli uomini e di formare il nuovo governo. In discussione, dunque, non è «se» le destre riusciranno a fare il governo, ma, al massimo, «come e quando». Se questa valutazione è corretta ci si deve chiedere da una parte perché progetti politici contrastanti (se non incompatibili) ed una competizione interna aspra, ai limiti della rissa, non abbiano impedito il successo elettorale delle destre, e dall'altra perché un pluralismo programmatico molto più sobrio ed una dialettica assai misurata tra le varie componenti abbiano «colpito ed affondato» _loschieramento di sinistra. La spiegazione, data da alcuni, che il risultato negativo dei progressisti sia da addebitare a qualche uscita estemporanea di Bertinotti durante la campagna elettorale, prima ancora che elusiva, appare (se confrontata ai comportamenti della destra) assolutamente fuorviante. Non c'è dubbio che alcune cose Bertinotti avrebbe fatto meglio a risparmiarsele, ma le ragioni dell'insuccesso dei Progressisti vanno ricercate altrove. Provo ad indicarne sinteticamente qualcuna. Primo: le promesse di Berlusconi di risanare i conti pubblici, aumentare i posti di lavoro e con6 temporaneamente, ridurre le tasse non hanno, ovviamente, nessun fondamento, e tuttavia sono state credute. Questa contraddizione, già molti secoli fa, Demostene la spiegava così: «nulla è più facile che illudersi. Perché l'uomo crede vero ciò che desidera». Secondo: lo schieramento progressista, pur essendo pluralista, era sicuramente meno composito ed improbabile dello schieramento di destra. Ma non è stato considerato affidabile. Credo che ci sia una ragione che potrà essere superata solo se verrà affrontata esplicitamente e non rimossa come un cavillo. La storia della sinistra (particolarmente in Italia) è stata soprattutto una storia di divisioni. Perché il futuro, com'è necessario, sia di ricomposizione occorre avviare un profondo e convincente aggiornamento delle forme e dei modi di essere delle forze progressiste. Terzo: è in atto la consumazione, anche se tutt'altro che lineare, delle vecchie contrapposizioni ideologiche. Tutt'altro che lineare perché, come si è visto durante la campagna elettorale, l'antifascismo è sostanzialmente morto, mentre l'anticomunismo, in qualche modo, resiste. Una diversa legge elettorale avrebbe probabilmente favorito una evoluzione meno parziale. Tuttavia l'ingegneria elettorale, per quanto importante, non potrà mai risarcire l'eclissi della politica. Il futuro dello schieramento progressista dipenderà dunque, ed innanzi tutto, dalla sua disponibilità a non inaridire le sue ragioni in una contesa senza verità, ed inoltre, dalla capacità di assumere limpidamente, fuori dagli ideologismi, e dentro la vita concreta, la complessità di problemi e dei comportamenti, verificando su questo terreno, come esige la democrazia dell'alternanza, là forza persuasiva delle proprie idee e delle proprie proposte e, quindi, la capacità di costruire il consenso.

{).!J, BIANCO ~ILROSSO iiliiil•ii ' E finito il Centro:forseper laChiesa èuna«buonnaotizia» di GiovanniGennari rima di affrontare direttamente l'oggetto di P queste riflessioni, vorrei premettere alcune osservazioni che serviranno ad offrire il contesto in cui leggere quanto dirò in seguito. 1 - Il messaggio delle urne, il 27/28 marzo, è stato chiaro. Lo si può condivivere o meno, ma il ta·glio è stato netto. La legge elettorale, pur così pasticciata, - anche per il riflesso indiretto delle elezioni amministrative di novembre, in cui vigeva il sistema del doppio turno con ballottaggio, che ha come .lasciato il segno nella memoria di politici ed elettori - , ha spinto a creare una alternativa abbastanza pronunciata, ed ha creato, così, due schieramenti fondamentali contrapposti. È stato un primo passo verso una vera alternanza, pur con tutti i difetti che emergono in questi primi giorni di trattative per il nuovo governo, con le vecchie bizze dei partiti e movimenti detti nuovi, con i comportamenti di sempre che cercano di reinventarsi. Un vero spazio per un vero Centro, che sia davvero determinante e davvero autorevole, non c'è stato, e con molta difficoltà tornerà ad esserci. La spinta è verso una contrapposizione· di due schieramenti, e lo sarà sempre più. Occorre prenderne atto fino da ora, per evitare delusioni ancora più amare di quelle avute stavolta. 2 - Si è detto che il successo dello schieramento di Forza Italia è quasi miracoloso, essendo stato prodotto «in soli tre mesi». È miopia grave. Dietro l'innegabile successo di Silvio Berlusconi ci sono quindici anni di televisione, privata prima e pubblica poi in concorrenza omologante tra loro. Il messaggio di fondo, nello sfascio evidente della politica tradizionale, è stato preparato, suggerito, accompagnato, indotto, esplicitato, da anni e anni di televisione commerciale, consumista, americaneggiante, tutta 7 lustrini e pacche sulle spalle, pubblicità e promesse di benessere, allegria-allegria, capace di rassicurare con la fortuna altrui, di far sognare con le telenovelas, di illudere con Il prezzo è giusto, con i quiz, con i concorsi a premi, con una cultura precisa: denaro, successo, benessere, salute, affari, consumi, privato, desideri, sfizi, divi, dive, divette. Sia chiaro che questo non era solo il mondo di Berlusconi, ma anche quello delle emittenti di stato. La gente ha visto una sola cultura, dovunque, e quando ha dovuto scegliere, tra ciò che si presentava vecchio, e cioè Dc-Ppi, Pci-Pds, Psi ormai estinto, con qualche piccolo contorno di risulta, e ciò che si presentava come nuovo, Lega, Msi-Alleanza Nazionale, e soprattutto Forza Italia, ha scelto per questo. Ci sarebbe stato da meravigliarsi se fosse andata diversamente ... La gente ha pensato che gli altri, bene o male, li aveva già provati, con gli esiti che sono sotto gli occhi di tutti. Era il momento di provare questi... È il punto in cui siamo. 3 - C'è anche una terza riflessione, da fare. L'enfasi ossessiva con cui tutto il vecchio sistema, che alla gente appariva solidale nelle vicende di fondo di Tangentopoli, ha presentato Berlusconi e Forza Italia, come se il solo problema e il solo nemico fosse lì, ha ingigantito agli occhi degli elettori l'importanza e il potere di questa realtà, accreditandone ben al di là del vero la novità e la alternatività al vecchio sistema. La scelta elettorale di Berlusconi, poi, che per ragioni varie, e per lui fortunatissime, ha potuto stringere alleanza di fondo solo con chi prima non era mai stato parte del sistema, ha fornito un fattore decisivo. Certo: ad analisi sofisticate risulta chiaro che molto di quello che è confluito in Forza Italia è personale riciclato della vecchia classe dirigen-

,O!LBIANCO W.ILROSSO iiiiiiliM te, che la strada vera di Berlusconi è stata aperta da Craxi e Forlani, che uno come lui al potere c'è da tanti anni, in certo senso, che tra le promesse e il mantenimento c'è di mezzo ... il mare, che ... che ... L'epoca che viviamo è quella dei messaggi semplificati, e semplificanti: peggio per chi non l'ha capito. È una piccola consolazione, tutta intellettuale, dire che il vecchio è parso nuovo, e che il nuovo, - sia Pds, che Ppi, che Segni, che Ad, ed altro-, è parso vecchio. A parte il fatto che la novità vera non si raggiunge per decreto, o per un annuncio della Bolognina, di piazza del Gesù, e di qualche giornalista che diventa politica, ma con un lavoro lungo e con una pulizia a fondo di ciò che è vecchio, comprese complicità, omissioni, ammiccamenti, presenze residue nelle liste e negli organi rinnovatori, la verità è che la lezione dei fatti è stata questa. Occorre rifletterci sopra. E veniamo al tema centrale: Chiesa cattolica e situazione attuale in Italia, dopo la fine della Dc, e in qualche modo anche della prima Repubblica. È finita l'era del monopolio cattolico della Dc. Tutti conoscono il lungo cammino che ha percorso la Chiesa cattolica italiana per arrivare prima ad accettare, e poi a patrocinare la Democrazia Cristiana. Dopo i decenni della diffidenza e delle condanne, a cavallo di fine secolo scorso, e dopo il periodo clerico-fascista dell'era Mussolini, alla caduta del fascismo prevalse, in Vaticano, la decisione di appoggiare con tutte le forze il partito di De Gasperi, come unico baluardo efficace contro il pericolo comunista, allora tutt'altro che ipotetico. La Dc è stata il partito della Chiesa italiana, che ha pagato prezzi altissimi, sul piano pastorale e di credibilità morale presso tanta parte del 8 popolo italiano, ma nei fatti ha salvato, alla fine degli anni '40, la libertà di tutti, comunisti compresi. La difesa dei valori umani e cristiani ha all'inizio giustificato la scelta della Chiesa italiana. Con l'andare del tempo, e forse ben presto, i valori sono usciti di campo, e il mondo ecclesiastico ha protetto la Dc anche quando i valori non c'entravano nulla, e anzi, anche quando la realtà della politica reale, delle alleanze, della prassi di tanti uomini di potere, erano tutto il contrario dei valori stessi. La Chiesa italiana, con pochissime eccezioni, ha accompagnato in silenzio le degenerazioni della politica di governo, e addirittura ne è stata complice in tante sue parti. È un fatto innegabile. Tangentopoli è stata inghiottita con grande tranquillità ufficiale dagli uomini di Chiesa. L'istituzione chiedeva alla Dc, partito eterno di potere, che sembrava fino a pochi mesi fa una cosa sola con il sistema, e lo era, protezione e vantaggi molto concreti, li otteneva, e chiudeva gli occhi su tutto il resto, con nobili eccezioni che non cambiavano le cose, e forse fornivano alibi per difese dialettiche e sapienti distinguo ininfluenti. Su tasse, privilegi, Concordato, esenzioni, primazie, agevolazioni, anacronistici residui dell'e· poca in cui trono e altare andavano a braccetto, la Chiesa italiana nei suoi vertici non ha ceduto di un millimetro, neppure dove è apparsa cedere. Basterebbe chiedersi, in soldoni, cosa è stato sottratto al potere ecclesiastico, e cosa è rimasto, per rendersi conto che questa è la realtà dei fatti, nella sostanza. Oggi è finita un'era, ed è evidente anche a chi vorrebbe restare volontariamente cieco che i cattolici sono andati via, dalla Dc, e soprattutto sono andati via dalla presa in considerazione

{)!LBIANCO ~ILROSSO •;iikiiliti delle opinioni politiche degli uomini di Chiesa come obbliganti, o anche solo condizionanti. Gli ultimi venti anni, dal referendum sul divorzio alle recentissime elezioni, sono stati in Italia una continua erosione della credibilità della Chiesa come autorità in politica. L'era della presidenza Ruini, per quanto riguarda la Cei, è una continua serie di rovesci politici e di influenza a livello di potere sociale. Oggi i cattolici votano come vogliono, a torto e a ragione, senza che nessuno ecclesiastico, neppure il Papa, abbia realisticamente la possibilità di orientare le loro decisioni. Ormai, a credere alla importanza politica dei pronunciamenti delle autorità ecclesiastiche in Italia sono rimasti solo un po' di laici, con i loro giornali partito, come «La Repubblica», «L'Unità» e «Il Manifesto», e anche «Corriere della Sera» e «Stampa». A chi conosce un po' la realtà vera del mondo cattolico viene da ridere, ma nel campo religioso, anche per colpa delle precedenti scelte di parte della Chiesa come istituzioni, l'ignoranza di tanti laici è di rigore. Ultimo esempio è stato, in materia, il ruolo dato ad un articolo di «Roma Sette», il supplemento domenicale della Diocesi di Roma: un articolo firmato con nome e cognome, Paolo Castiglia, che diceva solo che oggi è il caso di «guardare avanti», e che definiva «giovane ed efficiente» il movimento sorto attorno a Silvio Berlusconi, ha dato modo a tanti, laici e anche cattolici, di stracciarsi le vesti per quello che è stato chiamato «il voltafaccia» di Ruini, che nel caso non c'entrava proprio nulla. Sia chiaro: non dico che certi uomini di Chiesa non siano capaci di cose come questa. Anzi. .. chi conosce quel mondo ne ha viste tante, che non sorprenderà certo, ma è evidente che questo, finora, non è il caso di Runi e dell'atteggia9 mento della Chiesa nei confronti della politica italiana. Ci vuole tempo ... In ogni caso è evidente che non si torna indietro, e che i cattolici, anagrafici e veri, sono oggi dappertutto, nei partiti e nei movimenti italiani, che la mediazione decisiva sarà più che mai quella della coscienza, che nessun ecclesiastico potrà più sognarsi di scavalcarla, che i singoli credenti, con serietà pari alla loro convinzione di fede, dovranno confrontarsi con i programmi precisi della politica nelle varie sedi, senza automatismi di alcun genere, senza deleghe ad alcuno. In questa prima fase, tuttavia, sarà evidente che cattolici e Chiesa, come tali, dovranno fare i conti con una complicità pesante del passato, e che occorrerà un serio impegno per scrollarsi di dosso le complicità prolungate, i silenzi interessati, i privilegi oggi incomprensibili, i favori assurdi, le ingiustizie operate in tanti settori. Per crearsi una nuova verginità politica il lavoro ecclesiale sarà difficile, e lungo. Forse non è neppure il caso di cercarla: basterà, credo, una autentica credibilità nella pratica evangelica e nella adesione ai valori della fede, da non confondersi mai con altre cose, anche legittime. Oggi il patrimonio autentico dei valori della fede e della eredità cristiana non può più essere delegata ad alcuna forza politica. Non servirebbe a niente accodarsi al carro dei vincitori di turno. Torna, finalmente, il primato della fede sulla politica, dei valori sugli interessi, delle convinzioni sulle convenienze, della coerenza sui calcoli di parte, della coscienza dei singoli fedeli sulle opinioni dei vescovi in materia in cui il loro ufficio non dà autorità religiosa ... È un discorso da riprendere, ma dal punto di vista di chi prende sul serio la fede e il suo vero primato, la situazione odierna è un innegabile passo avanti.

P.&T.COMPANY ESTRATTO CONTRIBUTIVO INPS. DA OGGI, PASSATO, PRESENTE E FUTURO SONO SOTTO IL VOSTRO CONTROLLO. UNA GARANZIA PER IL DOMANI DAL NOVEMBRE 1993 L'INPS HA DATO INIZIO AD UN'OPERAZIONE CHE INTERESSA 30 MILIONI DI LAVORATORI DIPENDENTI E AUTONOMI: L'INVIO A DOMICILIO DI UN ESTRATTO CONTRIBUTIVO CHE INDICA LE RETRIBUZIONI DICHIARATE DAL DATORE DI LAVORO O I REDDITI PER I LAVORATORI AUTONOMI E I CONTRIBUTI DI TUTTA LA VITA LAVORATIVA. BASTA CONTROLLARE L'ESTRATTO CONTRIBUTIVO CONSENTE LA VERIFICA COMPLETA DELLA POSIZIONE PREVIDENZIALE FINO AL 31 DICEMBRE 1990 ED È UNO STRUMENTO PREZIOSO PER LE SCELTE PERSONALI IN VISTA DEL PENSIONAMENTO. SE Cl SONO DATI INESATTI O INCOMPLETI, BASTA SEGNALARLI ALL'iNPS CON LA CARTOLINA DI RITORNO.INSERITA NELL' ESTRATTO CONTRIBUTIVO, DOVE SI TROVERANNO ANCHE UNA SERIE DI NUMERI TELEFONICI A CHIAMATA GRATUITA PER INFORMAZIONI O PER FISSARE UN APPUNTAMENTO CON I FUNZIONARI INPS. I LAVORATORI POSSONO RIVOLGERSI ANCHE AGLI ENTI DI PATRONATO CHE FORNIRANNO GRATUITAMENTE LA LORO ASSISTENZA. FINO ALL'AUTUNNO 1994 L'INPS HA PROGRAMMATO DI PRESO CHI NON È PIÙ IN VITA, IN QUANTO PUÒ ESSERE COMUNQUE UTILE PER I FAMILIARI CONOSCERE LA POSIZIONE PREVIDENZIALE DEL CONGIUNTO. E' UN'INIZIATIVA DI DIMENSIONI VASTISSIME: L'INPS CONFIDA NELLA COMPRENSIONE DEGLI INTERESSATI PER EVENTUALI DISGUIDI. INSIEME, UNA PENSIONE RAPIDA PER LA RIUSCITA DELL'OPERAZIONE L'INPS CHIEDE LA COLLABORAZIONE DEI LAVORATORI E DELINVIARE CIRCA 3 MILIONI DI LE AZIENDE PER INP ESTRATTI CONTRIBUTIVI AL RAGGIUNGERE MESE, INIZIANDO DAI LAVORA- UN OBIETTIVO CHE È TORI PIÙ VICINI AL PENSIONA- NELL'INTERESSE MENTO, IN MODO DA CONCLU- DI TUTTI: LA SICUDERE L'OPERAZIONE ENTRO REZZA, PER OGNI L ' A U T U N N O D E L 1 9 9 4 • L A V O R A T O R E , Istituto Nazionale L'ESTRATTO VERRÀ INVIATO DELL'ESATTEZZA E PrevidenzaSociale CURATO PRESSO L'INPS, COM- DELLA PENSIONE. ANCHE A CHO NON È POÙ ASSO- DELLA TEMPESTOVOTÀ' ., ESTRATTO CONTRIBUTIVO INPS. AL DOMICILIO DI 30 MILIONI DI LAVORATORI.

~!I-~BIANCO "-''-~ llOSSO DOSSIER Cattolicie politica:unequivoco permanenteounaopportunitànuova? Questo Dossier. Pubblichiamo in questo numero la seconda serie di interventi sul problema attualissimo del rapporto tra cattolici e politica dopo la fine ufficiale della Dc, la nascita del Partito Popolare, la «fuga» dei seguaci di Casini, Mastella, Fumagalli-Carulli nelle file di destra, e la scelta dei Cristiano-Sociali di collocarsi nello schieramento progressista. L'unità politica dei cattolici, come obbligo anche solo morale di votare in un certo senso, se mai c'è stata, non c'è più, nonostante i ritardi di certi appelli e le insistenze di certa ufficialità ecclesiastica. Ricordiamo che tutti i testi di questo Dossier sono stati scritti ben prima del 27/28 marzo, e quindi senza conoscere i risultati elettorali recenti. Ciò che è èerto, tuttavia, a guardare quello che si muove in politica, è che non si può dire che valori e identità cristiana siano passati di moda. È la scommessa, difficile, di oggi, e forse di sempre. Nel precedente numero avevamo pubblicato gli interventi di Stefano Andreatta, Giovanni Bianchi, Mario Gozzini, Livio Labor, BrunettoSalvarani, Bartolomeo Sorge, Francesco Traniello, Ugo Trivellato (G.G.). 11

{)~BIANCO "-'L, IL ROSSO • 11•)-1§) i H ;J La«grazia»diunarinnovata laicitànell'agirpeolitico L o svelamento. La frantumazione pratica della Dc in tre partiti e l'esaurimento di ogni ragione di potere, oltre che politica, hanno infine reso palese quello che teoricamente e secondo le più timide riflessioni ecclesiologiche era - da decenni - inoppugnabile: l'unità politica dei cattolici, come «dovere» e come «valore», non deve (e, aggiungerei, oggi non può) necessaria - mente coincidere con quello che è stato un suo esito storico maggioritario e cioè la Democrazia cristiana. Senza dover ricordare che la volontà di perpetuare nei fatti la coincidenza tra cattolici e democristiani è stata la causa di indicibili distorsioni sul piano ecclesiale prima ancora che su quello civile, c'è da constatare che la divisione dell'organizzazione partito - e la realtà che da sempre in tutte le formazioni politiche ci sono «cattolici» - (ancorché non riconosciuti, soprattutto per il pregiudizio dell'unico partito cattolico) - fanno ora scoprire «l'unità nei valori». Tuttavia il senso di tale scoperta può avere un segno diverso a seconda della lettura che se ne dà sia dal punto di vista civile che da quello ecclesiale. Per esempio ancora molti sono coloro che subiscono la fine della Democrazia cristiana e che pensano che la cosa più urgente da fare sia realizzare una formazionedall'identità «purificata» (resa magari più credibile da un periodo passato all'opposizione) che riproponga la medesima «presenza» e la medesima «mediazione»dell'era democristiana. La chiarezza, anche se frutto di un brutale schematismo, mi pare indispensabile. Provoa declinare la mia. di GiovanniBenzoni L'inganno dell'«unità nei valori». L'unità nei valori in politica può assumere le caratteristiche di una vuota formula se non viene colta secondo le due modalità che sono da considerarsi dei veri e propri «a priori» dell'attuale civiltà. Perché da una unità nei valori è facile slittare ad una unità dei valori, che è tutt'altra cosa. Una modalità riguarda la politica come forma non assoluta di governo 12 della società. In politica non si dà valore né tanto meno unità se ognuno di essi n9n viene colto e proposto nelle forme di quella parzialità pratica che riguarda l'efficacia dell'operare politico. La ovvietà che ci capita di formulare ad ogni confronto elettorale che tutti sono d'accordo su pace, lavoro, benessere ecc ... non fa che rimarcare la differenza che passa tra unità nei e unità dei valori. L'altra modalità riguarda la dimensione ecclesiale dove l'unità è un dono e i valori non sono altro che possibili riflessi di una dinamica di fede che dipende, come è ovvio, dalla Grazia. Richiamo queste modalità che sono del tutto pacifiche non certo per riproporre chissà quali fantasmi integristici, ma per dire che se non si rimette in gioco la possibilità per tutti i credenti di riappropriarsi della responsabilità della loro fede, si costruiscono nuovi scudi che mortificano la fede e provocano ulteriori divisioni in politica. E dunque se l'unità nei valori non vuol essere solo una formula, innumerevoli sono i macigni e le incrostazioni darimuovere perché ai cattolici sia possibile costruire un percorso dignitoso in politica che sia per davvero sotto il segno della fedeltà, della sequela. Per una rinnovata laicità nell'agire politico. Anche senza volere attingere a quel patrimonio che è la riflessione sulla laicità del cristiano, sulla positività della terra, sul comune cammino e destino dell'umanità, basta porre attenzione ali'attuale straordinario impoverimento del linguaggio di fede e cristiano in genere per provare fasti-

dio ogni qual volta l'aggettivo cristiano viene usato per «rafforzare» la propria credibilità nell'attuale fase politica. Si fa ricorso allo scudo protettivo del nome «cristiano» per sfruttare quella rendita che la «religione» continua ad avere sul piano civile e politico e nei fatti si concorre a oscurare la drammaticità del problema, quello cioè del linguaggio di fede come linguaggio comprensibile oggi. Da questo punto di vista i «Cristiano-Sociali» hanno svenduto un pezzetto di patrimonio per una manciata di voti in più, il che sconcerta visto che molti tra i più autorevoli loro esponenti sono stati dei «campioni della laicità». Se non fosse ancora chiaro io considero oggi quanto meno doverosa e riparatrice l'autointerdizione dell'uso del nome cristiano come marchio di garanzia di qualunque formazione politica. Certo non è quasi nulla rispetto ali' esigenza profonda di «silenzio» che oggi si imporrebbe nella nostra Chiesa per poter realizzare qualcuno dei pre-requisiti per riguadagnare lo spazio possibile al linguaggio di fede, tuttavia fare il contrario è davvero non cogliere un segno dei tempi. Nel «silenzio», le straordinarie possibilità dei cattolici. Cogliere l'opportunità offerta dal venir meno dell' equivoco dell'unità politica dei cattolici è innanzi tutto un problema di riforma ecclesiale, che come tale impegna tutti i credenti. Va da sé che la maggior parte delle scelte e pratiche pastorali deve essere ripensata proprio perché in radice «viziata» dalla identificazione dei cattolici con i democristiani; ma nella mia prospettiva, è solo tramite questa riforma ecclesiale che può avere senso concreto la domanda del destino dei cattolici in politica. Se ciò non avvenisse - scomparsa la Dc - i cattolici in politica non sarebbero molto diversi da quello che sono stati e sono in virtù non solo della Dc, ma della chiesa cattolica italiana. Due mi sembrano le condizioni della scelta del silenzio (scelta voglio ribadire che dovrebbe imporsi per anche semplicissimi motivi di natura penitenziale). {)!LBIANCO ~ILROSSO 1111 >,-s, i a; 1 La prima condizione recita la scelta ecumenica come stile e metodo di vita non solo e non tanto nei rapporti tra le Chiese, quanto all'interno della Chiesa cattolica. Il metodo ecumenico deve diventare prassi comune dello stare insieme nella comunità ecclesiale, altrimenti si rende impraticabile la stessa possibilità di accogliere il miracolo dell'unità nei valori. Uso volutamente la parola miracolo, perché se non si sa rivivere lo stupore evangelico è sicuramente prevalente la autocostruzione, o, in altri termini, la «presunzione religiosa». La seconda condizione discende dalla ritrovata parresia nella comunità ecclesiale ed è quella dell'assoluta e piena responsabilità individuale del cattolico nell'odierno operare politico. Per dirla con uno slogan, il cattolico in politica dovrebbe essere più maceralo dal dubbio, dall'insecurlas, che pro13 tetto dallo scudo della certezza. Tutto questo non ha nulla a che fare con la volontà di ridurre la fede alla sfera privala; a mio parere è l'unico percorso possibile per produrre capacità di cogliere politicamente il futuro e per elaborare nuove possibilità di pensare. Se ogni cattolico in politica fosse «un cuore pensante ... ». Ho fatto riferimento al silenzio come spazio/tempo indispensabile della Chiesa e di ogni cattolico: l'effetto dovrebbe essere la quotidianità della dimensione mistica di cui uno dei modelli «sorprendenti» compare nella scrittura «privata» di Etty Hillesum, giovane ebrea olandese che affronta la abiezione della vita nel campo di concentramento con la dignità umana che nasce dal voler essere «il cuore pensante di questa baracca» (cfr. «Diario 1941-1943», Adelphi 1985). Si tratta di percorso che pur non avendo nessun elemento intellettuale in comune con l'itinerario di Simone Weil, approda ad una analoga «esigenza/capacità» di nuova cittadinanza. Di una cittadinanza senza barriere e planetaria quale oggi è avvertita da qualsiasi essere umano politicamente consapevole. È quel «nuovo paradigma» cui Ernesto Balducci ha dedicato l'ultima e più matura riflessione (cfr. «La terra del tramonto, saggio sulla transizione», Edizioni Cultura della Pace 1992) ponendo in evidenza l'ineluttabilità del passaggio dall'homo faber all'homo sapiens o, in termini più generali, «la transizione dall'antagonismo della simpatia come unica legge della sopravvivenza». La fine dell'unità politica dei cattolici ridà ad ogni credente la sua piena responsabilità: sarà davvero un bene per la società e per la Chiesa se questo comporterà un crinale in cui c'è sempre meno spazio per «la Grande Muraglia», sotto qualsiasi forma essa si presenti (cfr. A. Waldron, «La Grande Muraglia, dalla storia al mito», Einaudi 1993), e sempre più pratica dell'«apertura» cosi come a chi vuole continua ad insegnarla Aldo Capitlni (chiudo così e rinvio ad un mio intervento, «Per ricordare Aldo Capitini» in: «Servitium». n. 90, 1993).

{).!J, BIANCO a.l., ILROSSO 1111 }."SJ i a ;J Unarinnovataprogettualità cristiana è naturalmenteanti-destra s ulla presenza dei cattolici in politica mi son fatto, col tempo, tre convinzioni. La prima è che non serve porsi il problema in termini «teologici» o ideologici. Le forme di questa presenza (partilo unico confessionale o laico, pluralità di formazioni, diaspora eccetera) vanno valutate nella contingenza storica e secondo i risultali (di bene comune, non di potere ecclesiastico) che ne derivano. La seconda è che la coscienza cristiana deve comunque vegliare per evitare il vero rischio che è duplice: la strumentalizzazione della religione al servizio della politica e la strumentalizzazione della politica al servizio della religione. Né l'«unità politica» né la presenza dei cattolici nei vari partiti o schieramenti mettono automaticamente al riparo da questi pericoli. La terza convinzione è che nel complesso la presenza dei cattolici italiani sulla scena politica negli ultimi cinquant'anni è stata positiva non solo per la funzione di diga anticomunista, ma soprattutto per il progetto ideale di cui è stata portatrice. Benché non sempre esplicito né prevalente, questo progetto ha contribuilo - dalla Costituzione in poi - a rendere viva, pluralista, libera e sviluppata la nostra società. Via via questa progettualità è venuta meno e negli ultimi quindici anni ad essa si è sostituitala spregiudicata e affaristicagestionedel potere fine a se stesso. Penso dunque che la società italiana sarebbe più povera e instabile se venisse meno una significativa presenza della cultura e della tradizione cattolidi Angelo Bertani · co democratica sulla scena politica. La vicenda di questi mesi, col mutamento delle regole elettorali, le conseguenze di Tangentopoli nella pubblica opinione, i cambiamenti sulla scena mondiale comporta una serie di novità e un ri-disporsi della presenza dei credenti nella nuova geografia politica (che non è un mero fatto formale, ma significa e provoca opzioni culturali e sociali di rilievo). Il venir meno di una «unità di cattolici» obbligala o conformista, che in parte ha favorito l'irresponsabilità del ceto dirigente democristiano negli ultimi quindici anni, è positivo. Ma non si può cerio considerare positivo il ripiegamento di molti cattolici sulle posizioni della Lega o di Forza Italia. È vero che ciò significa che tali orientamenti erano già nella realtà e nella mentalità; e tuttavia è innegabile che i soggetti politici hanno il potere di far emergere e di coltivare negli aderenti e simpatizzanti alcune tendenze oppure altre. Così che non è indifferente fare appello ai sentimenti di generosità e agli atteggiamenti di razionalità oppure agli istinti egoistici e regressivi. Non mi sembra pertanto troppo azzardato pensare che non solo lo scenario politico ma anche la qualità culturale e morale del nostro Paese verrà influenzata, nel bene e nel male, da come verranno definendosi i soggetti politici nel prossimo futuro. Cre- . do che l'attuale movimento di scomposizione e ricomposizione delle forze politiche (sia dei veri e propri «partiti» sia delle «aggregazioni») sta portando per certi versi ad una provvidenziale chiarezza. Nella maggior parte dei vecchi partiti, ad esempio, coesisteva14 no per interesse o necessità anime molto diverse che tra l'altro creavano equivoci e immobilismo. È positivo dunque che Dc, Psi, Pri, Pli si scompongano oggi tra componenti di «destra» e di «sinistra»; che Pannella si agiti nell'area di centro-destra; che Berlusconi si dimostri quale è, e cioè il gran patron del mondo della destra; che i «cristiano-democratici» si muovano Ira gli éx-craxiani e Alleanza nazionale, che la Lega si avvii ad una dialettica interna e ad una metamorfosi ancora imprevedibile. Accanto a questi processi di chiarimento segnati dalle differenziazioni (a sinistra c'era già stata quella tra Pds e Rifondazione) mi sembra invece che non sia per ora realmente positivo il processo di riaggregazione perché si svolge sul vecchio e equivoco schema destra-sinistra, rappresentativo di una realtà nazionale e internazionale superata. Nonho mai pensato che destra e sinistra siano termini insignificanti, anzi. Ma mi sembra che oggi il loro uso sia piuttosto nominalistico e che i termini non siano stati riempiti di significati nuovi adeguati.alledomande di oggi. Una maggior attenzione alla scena mondiale (un po' dimenticata dalle forze politiche, prese dai problemi del cortile domestico) porta a considerare come la vera scelta che oggi si pone nel mondo è tra la accettazione pura e semplice delle forme di neoliberalismo selvaggio (con la cultura consumista e darwiniana che ne consegue e la riduzione della politica e amministrazione degli interessi costituiti) e il tentativo di costruire un modello economico che regoli e finalizzi il «merca-

to» a un sviluppo sociale qualitativo, guidato da una politica capace di progettualità e di scelte di carattere etico. In dimensione italiana a me sembra che uno scenario maturo dovrebbe portare alla presenza di due posizioni «estreme» rappresentate da una parte da Rifondazione comunista e dall'altra dal Msi-Alleanza nazionale, entrambe forze di opposizione più che di governo, non necessariamente escluse da amministrazioni locali né dalla partecipazione alla creazione del consenso su questioni isfituzionali o costituzion.ali, ma di norma esterne alla formulazione di programmi politici veri e propri (e delle .conseguenti maggioranze) in ragione della eterogeneità della loro proposta. Questi soggetti politici hanno tuttavia una utile funzione di rappresentanza politica di una quota di cittadini altrimenti tentati dal disinteresse (astensione) o dalla rottura polemica (violenza). Il panorama politico potrebbe comprendere ancora a lungo soggetti anomali come la Lega (ed altre formazioni analoghe che potrebbero nascere, non necessariamente solo nell'area considerata di «destra» né solo al Nord), che per certi versi rappresenta una realtà «prepolitica», una rappresentazione non mediata di interessi localistici e/o corporativi. E l'alternanza, il bipolarismo, dove sono? Eccoli: al centro dello schieramento dovrebbero poi formarsi due grandi poli, ciascuno abbastanza omogeneo, caratterizzati appunto dalla grande scelta strategica e mondiale tra il capitalismo «così com'è» e il capitalismo «guidato e corretto». Questi poli rappresenteranno i due termini della vera alternanza e si distingueranno non solo per la politica economica ma anche per la radice culturale ed etica e, - entro i limiti compatibili con una democrazia dell'alternanza (in ciò diversa da un regime di lunga durata) - per il progetto di società. A me sembra del tutto evidente che i cattolici italiani - per loro scelta naturale, non certo per imposizione gerarchica - sono chiamati ad essere parte fondamentale e caratterizzante di questo polo «progressista» o «rifar- {)!LBIANCO '-'L, ILROSSO • •t•)-'ffl • a ; 1 mista» o «dello sviluppo sociale» o «della politica come amore e progetto» (e non come gestione degli interessi prevalenti), insieme con le altre forze eredi della tradizione socialista e liberale e a quelle più nuove, nate dall'attenzione all'ambiente, alle nuove forme di partecipazione, del volontariato, della convivialità e della non-violenza. Ci potranno naturalmente essere anche cattolici nell'altro «polo», ma certo non potranno dirsi coerenti con l'insegnamento sociale della Chiesa, con la tradizione del cattolicesimo democratico, con l'immagine di uomo sviluppata dal pensiero personalista, col nucleo essenziale di una morale che propone come ideale l'amore per l'altro a cominciare dagli ultimi. Proprio il tema degli ultimi è decisivo. Nella società del «benessere», benessere apparente a fronte di una reale insicurezza, è proprio il tema degli «ultimi» ad essere discriminante per i cattolici. In una società dove il «terzo escluso» rischia di essere emarginato dal processo produttivo, dallo Stato sociale e dalla stessa dinamica della speranza rappresentata dalla possibilità di far valere democraticamente la propria presenza, i credenti non possono che condividere la collocazione minoritaria dei poveri. Non solo per farsi portatori delle loro attese, ma anche per contribuire a farne forza decisiva e corresponsabile nella guida del Paese. Se si parla di solidarietà e di «ripartire dagli ultimi» proprio di questo si tratta: di schierarsi, senza tentazioni giacobine, insieme con gli interessi e i ceti più deboli, che sono proprio quelli che hanno pagato il prezzo più alto per le rapine di Tangentopoli e per l'inefficienza e il clientelismo di quella autentica associazione a delinquere che andava sotto il nome di Caf. In questo momento il processo di scomposizione e ricomposizione è solo iniziato e perciò io credo che i credenti che si trovano nei vari schieramenti (penso naturalmente soprattutto ai Cristiano-Sociali e alle forze più vive e consapevoli del Partito popolare, ma anche a molti che si trovano in diver15 sissime altre collocazioni, dal Pds alla Rete, dai Verdi alla Lega) debbano oggi sviluppare la loro strategia di presenza e di dialogo avendo presente un più vasto e futuro scenario; quello nel quale si trovino a competere da un lato le forze della cultura radical-liberista, consumiste e secolaristiche; e dall'altro lato quelli che credono in un progetto politico di sviluppo materiale e morale, moderato e solidale. Anche la scelta coraggiosa di difendere l'identità e la autonomia strategica del nuovo soggetto politico che ha preso il nome di Partito popolare e che si offre come punto di riferimento e strumento per quei cattolici che ne condividono l'ispirazione mi sembra significativa in questo contesto. Non vuole essere, io credo, la pretesa di una impossibile neutralità né la presunzione di una superiorità né una volontà di testimonianza fine a se stessa. Non subire la logica della efficacia a breve tempo e della contrapposizione bipolare in un momento in cui essa appare rozza e strumentale, mi sembra scelta non solo nobile, ma anche lungimirante. Si tratta di definire un patrimonio ideale tuttora prezioso, che altrimenti rischia di perdersi. Non importa se al prossimo Parlamento esso sarà rappresentato da trenta o cento persone. Conta che sia presente, che milioni di cittadini lo facciano proprio anche senza la prospettiva di un successo immediato. Quale catarsi dai passati «successi»! Certo, per essere veramente utile al Paese in futuro essa può e deve tuttavia accompagnarsi ad una grande capacità di iniziativa e di dialogo, ad un grande rilancio della progettualità attraverso la quale, come al tempo della Costituente, i cattolici democratici, insieme agli altri uomini di buona volontà, portino un contributo originale e necessario. Tutti i cattoliéi democratici: quelli che oggi sono maggioranza nel Partilo popolare insieme a quelli, pur numerosi, che si trovano in altri schieramenti ed anche a quelli che oggi sono perplessi o confusi o arrabbiali. Insieme con tutti gli uomini di buona volontà: quelli che hanno una visione non·egoista della vitae della politica.

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