Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 49 - feb.-mar. 1994

D!L BIANCO ~ILROSSO tiiiidiit+i Chiparlachiaro ra aiutailnuovoanascere di Pierre Camiti N el giro di pochi mesi la storia politica italiana ha subìto una impressionante accelerazione. Abbiamo assistito al crollo improvviso di una classe politica, al potere da mezzo secolo, sotto la spinta di eventi che le hanno fatto perdere consensi e legittimità. È stato introdotto un nuovo sistema elettorale destinato a sconvolgere vecchi equilibri politici e vecchie abitudini. Hanno rumorosamente fatto irruzione sulla scena forze estranee al tradizionale quadro di riferimento istituzionale e culturale. Questi elementi sono sembrati sufficienti a molti analisti per pronosticare l'imminente passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Cioè il passaggio da un sistema politico costruito sulla proporzionale e le coalizioni, ad uno fondato sul maggioritario e due schieramenti contrapposti. Ormai però sappiamo che le cose non andranno così. Il 27 e 28 Marzo non si oonfronteranno, infatti, due programmi, due schieramenti, due leader. 1 raggruppamenti che si daranno battaglia saranno sicuramente tre. O, forse, quattro. Malgrado le volonterose affermazioni contrarie di quanti avevano attribuito prima ai referendum e poi alla nuova legge elettorale chiarificatrici virtù salvifiche, presumibilmente non ci sarà quindi un vincitore assoluto in grado di mandare gli avversari all'opposizione. Il nuovo Parlamento sarà perciò obbligatoa varare un governo di coalizione. Forse era illusorio immaginare una così rapida riconversione di un ceto politico formato nella logica della proporzionale a quella dei due schieramenti. Oltre tutto si deve riconoscere che il passaggio dal vecchio al nuovo non è semplice. Perché richiede che siano superati radicati criteri di appartenenza. Richiede la fatica di mettere insieme storie e culture diverse. Tutte cose che, quasi certamente, richiedevano più tempo di quello che c'è stato. 7 C'è però anche chi ritiene che l'esito che si profila (contraddittorio con le iniziali aspettative) sia da attribuire, in parte determinante, ai difetti della nuova legge elettorale. Certo una legge a due turni con ballottaggio sarebbe stata assai più utile e razionale. Non si dovrebbe tuttavia ignorare che le riforme elettorali, da sole, possono avere un ruolo decisivo nel destrutturare un sistema politico, ma difficilmente si può affidare ad esse anche il compito di costruirne uno nuovo. Nella storia delle moderne democrazie, almeno finora, questo appare come un'indiscutibile dato di fatto. Quale che sia la motivazione più plausibile, il risultato è che adesso, tra il regime proporzionale e quello maggioritario, ci troviamo comunque in una infida terra di nessuno. Con il rischio di vedere risuscitare tutti i sotterfugi, le trappole ed i pastrocchi, che pensavamo definitivamente sepolti con la prima Repubblica. Questo pericolo può essere scongiurato soltanto se agli elettori saranno presentate, dalle diverse aggregazioni, scelte di governo chiare. Il problema naturalmente riguarda tutti i raggruppamenti, ma in primo luogo quello del Centro di Segni e Martinazzoli. Per Segni, che è stato il principale promotore di una riforma sostenuta in nome del sacrosanto diritto degli elettori di decidere con il proprio voto da chi farsi governare, si tratta di un'esigenza ineludibile per evitare una definitiva perdita di credibilità. Ma anche per Martinazzoli, che pure non ha mai nascosto la sua personale avversione per un sistema politico bipolare, è un dovere dire ai suoi elettori cosa farà in Parlamento nel caso, tutt'altro che imprevedibile, che il Centro non conquisti la maggioranza assoluta dei seggi. Almeno questa chiarezza gli elettori hanno il diritto di esigerla e a chi chiede di rappresentarli non dovrebbe essere consentito di sottrarsi al dovere di assicurarla.

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