(Fuci, Acli, ecc.), ma ha guadagnato consensi assai diffusi e appoggio convinto in un'area molto rilevante dell'opinione cattolica (stampa diocesana ecc.), e che sul movimento referendario ha costruito la propria immagine di leader nazionale un democratico-cristiano come Mario Segni prima di uscire clamorosamente dal partito d' origine, e di fondare un proprio movimento proclamando a gran voce le ragioni della fine della parabola storica del partito cristiano e affidando alla riforma elettorale il compito di decretare tale compimento. Occorrerà riconoscere che i consensi ottenuti in una così vasta porzione del mondo cattolico dalla strategia delle riforme elettorali, destinate per opinione comune a intaccare le base strutturali del partito cristiano come si era sino allora configurato, erano per lo meno rivelatori di uno stato di profondo disagio se non necessariamente di distacco, nei suoi riguardi. Ancora non disponiamo di analisi convincenti sui movimenti allora verificatisi nel mondo cattolico, ma non sembra esagerato asserire che la sua partecipazione attiva e determinante alle. campagne referendarie fu un segnale che non tutti vollero cogliere, dell'esaurimento avvenuto in una parte molto consistente della coscienza cattolica, di un sistema politico e di un modello di partito. che ne aveva costituito sino allora l'asse portante. In un certo senso si può dire che nelle campagne referendarie il mondo 01.L BIANCO 0-Z., ILROSSO 1 •11 ~1#) I i ;J cattolico espresse una propria soggettività politica «in negativo», decretando implicitamente la conclusione anche formale di un'esperienza storica di unità politica che sempre più appariva un simbolo ormai privo di effetti contenuti e i cui costi etici e religiosi venivano ora avvertiti come sproporzionati ai benefici, anche per effetto del crollo dei sistemi comunisti. Le successive vicende giudiziarie impressero un'ac-· celerazione a un processo che già si era nettamente delineato e ne accorciarono drammaticamente i tempi. Quali compiti allora ci attendono? Dobbiamo anzitutto prendere atto che il collasso e la sparizione della Democrazia cristiana ha reso lo scenario politico molto più fluido e incerto. Si potrebbe dire che è venuto meno un alibi, forse anche un equivoco, ma che faceva comodo a tutti. Proprio come nei processi il momento della verità non è sempre il più gradevole nè il più rassicurante. Il campo si è improvvisamente aperto e il gioco si è fatto di colpo assai più rischioso (e più duro). Le strade che si sono aperte per i cristiani nel campo della politica appaiono più impervie. La Chiesa istituzionale è spinta ad accrescere ragionevolmente il proprio tasso di interventismo. Pesanti sono i rischi di contraccolpi integralistici, che possono benissimo trovar riparo e asilo nei nuovi soggetti politici, proprio per il fatto che questi hanno rotto i ponti con la tradizione e le mediazioni cristiano-democratiche. 55 Sembra peraltro illusorio il richiamo, riaffiorante con forza, a ricostituire una sorta di unità politica dei cattolici intorno alla dottrina sociale della Chiesa che non è né vuol essere un programma politico: sarebbe come ritornare a Toniolo, scavalcando don Sturzo. Quanto poi al ritorno a Sturzo da parte dei neo-popolari, potrà forse funzionare come indicazione di metodo politico, e come tale credo debba essere accolto con favore: ma non può far dimenticare che il messaggio sturziano aveva come referente un popolo cristiano se non una nazione cattolica, cioè una rappresentazione della realtà sociale e religiosa di un Paese investito ancora marginalmente dai processi di secolarizzazione di massa. Vedo per i cristiani che credono nei valori della democrazia profilarsi nuovamente un compito immenso nel campo della cultura e del costume politico. Li vedo chiamati ad iniziative forti atte a predisporre le condizioni, le regole, i luoghi, perché la fine anche simbolica dell'unità in un partito - e dunque, la salvaguardia del pluralismo - possa diventare l'occasione di un dialogo politico più efficace, in una situazione di reciproco rispetto, in cui la partecipazione a diverse schieramenti diventi ragione di reciproco arricchimento e completamento, anziché di penose preclusioni o di anacronistici anatemi. Perché non considerare anche questo un segno dei tempi?
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