vece sulla fede e sulla morale cristiana, con il loro preciso richiamo all'insegnamento della Chiesa in campo sociale; si vive nella comunione ecclesiale e si confronta fedelmente con la parola di Dio letta nella Chiesa. È una identità da incarnare (senza rivendicarla solo per sé) nel pluralismo delle situazioni, giorno per giorno» (La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, 23ottobre 1981, n. 25). Perciò, l'unità partitica dei cattolici si può giustificare solo in virtù di un «prudenziale giudizio storico», per usare l'espressione dell'episcopato lombardo. Ed è appunto quanto è avvenuto in Italia, durante il primo tempo della Repubblica, a causa della eccezionalità della situazione postbellica, quando gli italiani furono chiamati a compiere scelte gravi e definitive, senza avere ancora una sufficiente maturità democratica, col pericolo di compromettere irreparabilmente l'identità morale, spiritualee culturale del Paese. Ma oggi, dopo cinquant'anni di vita democratica, dopo che gli italiani hanno ricostruito il Paese, dopo aver gettato le basi dell'Europa unita, dopo la fine delle ideologie e la sconfitta del comunismo, era inevitabile che venis- {)!LBIANCO '-'L, ILROSSO 1 •11 i.-m• a ;J sero meno le ragioni di quel «prudenziale giudizio storico» che, fino a due decenni fa, suggeriva ancora come necessaria l'unità dei cattolici nella Dc. È iniziato così quel confuso passaggio dal primo al secondo tempo della Repubblica, del quale oggi non è ancora possibile prevedere con certezza la durata e gli sbocchi. Una cosa però è certa: l'esperienza storica dell'identità cattolica tradotta in unità partitica appartiene alla passata stagione ideologica che la imponeva, ma che ormai si è definitivamente conclusa. E indietro non si torna più. Tuttavia, la fine di una forma storica di presenza e di servizio non significa affatto che il bene comune del Paese, in questa difficile fase di transizione, non esiga più la presenza di una forza politica di ispirazione cristiana. Anzi, nella transizione, sebbene in forme diverse, essa appare non meno importante. Infatti, il cristianesimo (come ricorda il Papa nella sua lettera ai vescovi italiani) è destinato ad avere un ruolo determinante nella costruzione della democrazia matura, specialmente dopo la fine delle ideologie. La eventuale scomparsa di una presenza politica d'ispirazione cristia52 na avverrebbe a scapito sia della ulteriore crescita civile e democratica dell'Italia, sia della stessa costruzione dell'Europa, che si fonda sui medesimi valori e sulla medesima eredità di fede, di cultura, di unità, che costituiscono il nostro patrimopio genetico. Nello stesso tempo', però, la fine della stagione ideologica e la crisi irreversibile della vecchia forma-partito impongono ai cattolici democratici un modo veramente nuovo di presenza. Il problema che oggi si pone pure ai cattolici è - come disse ancora Giovanni Paolo II ai vescovi italiani nel maggio 1993 - come conciliare l'unità con il pluralismo. Certo, l'unità è un bene; ma anche il pluralismo è un valore. L'unico modo per garantire che l'unità non mortifichi il pluralismo, e viceversa, è che l'unità politica si costruisca liberamente, non sia imposta o coatta. È possibile perciò che, finite le ideologie totalizzanti, nell'uno e nell'altro programma politico non vi sia nulla contro la coscienza cristiana. Di conseguenza, un cattolico - senza compromettere la sua identità - potrà scegliere quel programma che ritiene politicamente più efficace, salva sempre la coerenza con i valori-e con i princi-
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