Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 49 - feb.-mar. 1994

{)!LBIANCO 0LILROSSO ••n)-i§J•M;J Dopolafinedell'unità, cattolicinellatransizione T utti in Italia - in questo momento - abbiamo la netta sensazione di non essere né carne né pesce. Nel clima presente d'incertezza e di confusione, volendo ottenere un po' di chiarezza, non c'è altro da fare che cominciare a prender atto che ci troviamo tutti all'interno di una difficile e delicata fase di «transizione». Dopo la fine della stagione ideologica (decretata dalle elezioni del 5 aprile 1992) e dopo l'avvio del secondo tempo della Repubblica (decretato dal referendum del 18 aprile 1993), siamo davvero in mezzo al guado. Da un lato, non siamo più una «democrazia bloccata» ma, dall'altro, non siamo ancora una «democrazia matura». Da un lato, abbiamo abbandonato il sistema proporzionale puro ma, dall'altro, non abbiamo ancora acquisito una mentalità bipolare e continuiamo tutti a ragionare con la vecchia logica consociativa. Da un lato, la classe politica di ieri va sostituita ma, dall'altro, non esiste ancora una nuova classe dirigente pronta per il ricambio. Anche le elezioni del 27 marzo 1994, cadendo all'interno di questa situazione in movimento, sono destinate a passare alla storia come le elezioni della «transizione». Non basteranno, cioè, a realizzare un cambiamento, per il quale occorreranno forse quattro, otto o dieci anni. Intanto, però, non possiamo star fermi. Bisogna costruire. Occorre imboccare, con discernimento ma con coraggio, la strada del rinnovamento. Se questo è il compito di tutti, qual è di Bartolomeo Sorge in particolare il ruolo dei cattolici democratici nella «transizione»? I nodi più difficili che oggi si pongono alla loro presenza in politica ci sembrano essenzialmente due: quello dell'identità da conservare, e quello del «polo» in cui collocarsi. Quale identità? Si dà, innanzi tutto, una prima unità o identità sostanziale Ira quanti, in virtù del Battesimo, appartengono alla comunità cristiana. È l'identità ddede, una unità profonda, soprannaturale (potremmo definirla «ontologica»), che non può esser messa in discussione da alcuna opzione temporale. Da questa fondamentale identità e unità di fede deriva la «tensione unitaria», che porta i cristiani a ritrovarsi uniti sui valori e sui rincipi etici essenziali riguardanti l'uomo e la società, alla luce del Vangelo e dell'insegnamento della Chiesa. È la identità o «unità dei valori» intesa come «fedeltà alla verità intera sull'uomo, con le esigenze morali, incondizionate e assolute che ne scaturiscono» (Giovanni Paolo II). Di conseguenza, dovunque i cattolici si trovino a operare, tenderanno spontaneamente a riconoscersi e a unirsi ogni qual volta si tratti di affermare e difendere i valori essenziali dell'antropologia cristiana, al di là delle differenze programmatiche, delle divergenti appartenenze partitiche e delle solidarietà concrete vissute da ciascuno. Questo secondo livello di identità e di «unità sul piano etico e ·culturale» è 51 già in certo senso di natura politica, in quanto i valori etici e la cultura ispirano inevitabilmente scelte, comportamenti, leggi, programmi e strutture. Tuttavia, da questa identità o «unità dei valori», non deriva necessariamente l'identità o l'unità partitica dei cattolici. Infatti, essendo la mediazione politica l'arte del possibile nel passaggio dalla fede alla storia si dà di fatto una pluralità di scelte diverse, di programmi concreti, di itinerari differenti, che possono essere tutti ugualmente coerenti con i medesimi valori ispiratori. Certo la concordia nell'azione politica è un bene, in sé desiderabile, da ricercare con diligenza; ma il fatto di avere la medesima fede e di ispirarsi ai medesimi principi e valori cristiani, se dispone naturalmente all'incontro, non si traduce però automaticamente in una identità e unità partitica o programmatica. Poiché, una cosa è il dovere morale per i cattolici di essere sempre «coerenti» con la fede e con la morale cristiana in ogni loro scelta, un'altra cosa è tradurre l'identità della fede religiosa nell'identità di un partito. La Chiesa non ha, non può avere un suo partito! Giustamente, riassumendo la dottrina del Concilio su questo punto, Paolo VI ha potuto affermare che «una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi» (Octogesima adveniens, n. 50). E al Papa fanno eco i vescovi italiani: l'identità cristiana nell'impegno sociopolitico, «a scanso di equivoci, non coincide con i programmi di azione culturale o sociale o politica che i cristiani, singoli o associati, perseguono. Si fonda in-

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