Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 49 - feb.-mar. 1994

confini etici della famiglia, gli orizzonti del diritto alla vita, la piena libertà d'insegnamento e di cultura per i cattolici e gli esponenti delle altre confessioni religiose. E non è tutto. Il tema dell'unità dei cattolici riemerge puntuale ad ogni appuntamento elettorale. Finito il tempo degli inopportuni (o troppo datati) appelli al voto cattolico, rimane pur sempre il problema dell'unità dell'impegno dei cattolici nel tessuto sociale e politico. Un tema che trova risposta nella Lettera del Papa ai Vescovi italiani, della quale è stata data, anche da una vasta parte del mondo laico, una lettura riduttiva e fuorviante. I cattolici, pur dispersi in varie formazioni politiche, sono condannati a essere uniti quando in gioco ci sono le scelte di fondo che danno un'impronta alla società. Non dovrà scandalizzare nessuno, dunque, che in momenti decisivi del dibattito politico e delle scelte istituzionali, i cattolici costituiscano una sorta di «partito trasversale», cementanto dalla coerente testimonianza e difesa di alcuni valori. In questo senso l'unità dei cattolici è ancora e perennemente valida. Divisi sulle strategie, sugli schieramenti, sulle formule, i cattolici sono condannati all'unità, per il bene del Paese, per la coerenza alle ragioni stesse del loro impegnarsi nella cronaca e nella storia. Resterebbe poi da sottolineare l'impegno dei cattolici in merito alla individuazione dei candidati. Oggi, infatti, c'è il rischio di sottolineare come aspetto essenziale dell'impegno politico quello della competenza. E non c'è dubbio che oggi più che mai l'Italia ha bisogno di politici e governanti competenti. Ma non possono essere considerati optzional, doti come onestà e coerenza. Per tutti la politica è e non può che essere «servizio al bene comune», e, come tale, non può che avere come esigenza condizionante l'onestà. Ciò è tanto più vero per un cattolico per il quale fare politica significa servire gli altri, il prossimo, il fratello a costo di personali rinunce e sacrifici. O!L BIANCO ~ILROSSO • n•i.•taJ ;J E qui entra in gioco la coerenza tra le cose che si dicono e si fanno e lo stile di vita personale. Essere cattolici in politica, infatti, significa anzitutto essere testimoni credibili. Alla luce di queste riflessioni, diventa meno importante discutere se i cattolici debbano essere necessariamente progressisti, possano essere moderati, siano più credibili in uno schieramento piuttosto che nell'altro. In realtà i cattolici devono soprattutto essere «virus benefici» capaci di contagiare i diversi schieramenti con la credibilità dei loro comportamenti individuali, la coerenza delle loro idee, il radicamento dei loro valori. La diaspora è vi~ta da taluni come un incubo da evitare, ma questo esodo 42 ai vari angoli della politica non è in sé né bene né male. Può diventare un errore se porta a cancellare l'identità cattolica nel Paese, può diventare addirittura un bene se riesce a contagiare di «cattolicità» i tessuti malati di una società che paga oggi anche la scarsa coerenza, gli autentici tradimenti, i fallimenti di tanti che cattolici si sono proclamati senza trarne le conseguenze quotidiane. Ciò non toglie che sia legittimo anche l'esperimento di un nuovo partito di ispirazione dichiaratamente cattolica. È la «scommessa» di Martinazzoli con il Partito popolare italiano, un tentativo di facilitare l'aggregazione dei cattolici impegnati in politica attorno a un programma che privilegi appunto i valori che costituiscono il patrimonio di una fede vissuta nella concretezza del presente. È inevitabile che proprio questo partito possa diventare il referente naturale per vasta parte della gerarchia, per ambi scorci del movimentismo di ispirazione cattolica. E in tutto ciò non c'è nulla di ambiguo o scandaloso, purché anche questo partito che nasce dalle ceneri della Democrazia cristiana venga giudicato alla stregua degli altri, per ciò che dice e scrive nei suoi programmi, ma soprattutto per ciò che concretamente farà e per la credibilità del suo personale politico. Se il nuovo partito di ispirazione cattolica supererà la prova dei fatti, l'Italia - e non soltanto i cattolici - non potranno che trarne giovamento. Per il momento il Partito popolare si pone come elemento che «provoca» il mondo cattolico a un confronto serrato. Da «partito Stato» a minoritario partito «testimonianza», questa neonata formazione politica si merita certamente l'attenzione critica dei cattolici. Non più regime di monopolio, ma di ampio e libero confronto. Al di là dell'appuntamento del 27 e 28 marzo, il nodo centrale resta comunque questo: perché e come un cattolico deve entrare in politica, per quali progetti e quali speranze. Con chi e dove ciò avvenga, conta oggi assai meno. Anzi, è questione del tutto secondaria.

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