Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 49 - feb.-mar. 1994

O!LBIANCO ~ILROSSO • •ni--m •a ; 1 Dopolemacerie:impegnonuovo e unitàaunlivellopiùalto IVlamo la stagione delle V macerie. Ci aggiriamo smarriti tra i fantasmi di un passalo che ci si è sbriciolato tra le mani in pochi anni. Il crollo del muro di Berlino ha frantumato regimi che si proclamavano vincenti ed eterni, modificando la geografia politica del pianeta; il terremoto di Tangentopoli ha polverizzalo un sistema politico italiano per mezzo secolo condannalo a perpetuare se stesso senza alternative. E così, nel tormento della distruzione, ci interroghiamo tutti, noi cattolici per primi, su un futuro del quale fatichiamo a intuire i nuovi orizzonti. I tempi stringono. Le elezioni del 27/28 marzo ci costringono a fare subito i conti con il domani. E sono conti difficili, inquietanti, ma anche carichi di promesse e speranze. E rispunta, più attuale che mai, la «questione cattolica». Il volo dei cattolici fa gola a lutti. Gli appelli al voto cattolico si moltiplicano. Nel momento in cui la Democrazia Cristiana è uscila dalla cronaca, per passare alla storia di mezzo secolo di conquiste e fallimenti, sembra quasi che tutti si accorgano della centralità del voto cattolico. Non è cosa di poco conio, in un Paese nel quale i cattolici sono stati considerati spesso degli «emarginati» dalla cultura laicista, accusali di non aver il senso dello Stato, indiziali di aver minato coi loro valori e ideali la nascita e la crescila di una nazione moderna e evoluta. Poiché non siamo inguaribili ingenui, ci rendiamo conto che in questa tardiva e sospetta riscoperta c'è di StefanoAndreatta molto di strumentale, c'è parecchio calcolo politico, c'è più di qualche spezzone di aritmetica elettorale. Ciò non ci impedisce, tuttavia, di sottolineare che il problema del ruolo dei cattolici nel nostro Paese è davvero uno dei nodi essenziali, uno dei crocevia per il futuro politico del Paese. L'interrogativo d'attualità è oggi quello legato allo «schierarsi» dei cattolici nello scenario politico. Strattonati da destra, da sinistra, dal centro, i cattolici si interrogano sulla loro collocazione. E qualcuno si chiede perfino se sia il caso di schierarsi, se valga la pena di gettarsi nella mischia. È la prima scelta, quella sulla quale occorre pronunciarsi con chiarezza. E lo ha fatto anche Giovanni Paolo II, sostenendo che oggi non è tempo di disimpegno o di atteggiamenti alla Ponzio Pilalo. Starsene alla finestra potrebbe essere comodo. Comodo, ma per nulla cristiano. La tentazione del disimpegno è oggi più strisciante che mai. Il venir meno di un forte partito di ispirazione cattolica mette in crisi molli che, per comodità e quieto vivere, avevano accettato la politica come «delega». Un cristiano che fugge di fronte alla gravità del momento presente è un cristiano che rinnega il suo ruolo e la sua identità. Il primo nodo da sciogliere, dunque, ancora prima del «dove» e con «chi» collocarsi è quello legato allo schierarsi, al non restarsene ai margini di un Pasese che ha di fronte la prospettiva esaltante e difficile di una nuova «ricostruzione», morale ancora prima che economica e istituzionale. Il cattolico, poi, sa di doversi misu40 rare non con delle ideologie ma con dei valori, degli ideali, delle testimonianze. Purtroppo, invece, anche in questa campagna elettorale, il peso delle ideologie si fa ancora sentire. Più dei programmi, a volte indistinti e confusi, contano gli slogan e le collocazioni in una topografia politica che risente ancora di schemi vecchi e logori. Spetta appunto ai cattolici impegnati ricordare a tutti che la politica è servizio al «bene comune» e che le scelte si misurano sui progetti di vita, sulle risposte ai problemi della gente. Entrare in politica, da cattolico, significa appunto ribaltare le logiche della vecchia politica, logiche che rischiano di inquinare anche la «nuova» politica. Significa partire dai valori. che diventano anche discriminanti, come il diritto alla vita, alla libertà delle culture, il rispetto degli «ultimi», l'equilibrato rapporto tra ecologia e sviluppo e così via. E con questi valori discriminanti si misurano programmi e uomini. In questa direzione va anzitutto rivendicato il diritto dei cattolici a non essere «discriminati» o al massimo tollerali e considerali quasi dei «diversi». Nel passato, troppo spesso l'inserimento di cattolici in molte liste è stato utilizzato come «specchietto per le allodole» o come richiamo per la caccia al consenso, senza considerare che l'avere un cattolico nelle proprie fila significa portarsi in casa un elemento di sicuro disturbo, un uomo o una donna che rispondono anzitutto alla propria coscienza e ai propri referenti ideali più che alla logica e alla disciplina di partilo o di gruppo.

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