i>!L BIANCO ~ILROSSO ••x+AAl•H;I Unapportonecessario traleattualicontraddizioni L a tirannia del tempo mi impedisce di svolgere compiutamente un intervento che avrei voluto intitolare «della riforma tradita)); un intervento, cioè inteso a chiarire le ragioni per cui il confuso panorama politico che si prospetta perpetua vecchi artifici e non è in alcun modo in sintonia con le ragioni ideali in nome delle quali coloro che si sono incontrati qui stamattina hanno combattuto per il cambiamento delle regole elettorali. Mi limiterò quindi soltanto ad alcune affermazioni, svolte in forma poco motivata, ma intese ad integrare, con il brutale riferimento ad alcuni nomi, l'impeccabile relazione introduttiva, che lo stile di Carlo Moro ha voluto collocare sul terreno dei principi, lasciando a ciascuno di noi di trarne i necessari corollari operativi. Non vorrei infatti che qualcuno dichiarasse di concordare con quei principi, pur contraddicendoli nei suoi comporlamenti. Nelle sue originarie motivazioni il sistema uninominale era inteso a rendere trasparente il rapporto tra dibattilo elettorale e risposta in chiave di governo. La democrazia dell'alternanza suppone posizioni chiare e risposte coerenti: chi vince va al governo, chi perde va all'opposizione. Noi stiamo invece assistendo ad un singolare gioco delle parti, con il quale si cerca in vario modo di perpetuare gli effetti negativi del vecchio ordinamento. Non credo che avremmo cambiato gran che se ad un sistema in cui in sede elettorale tutti lottavano contro tutti, di Nicolò Lipari essendo tuttavia alcuni consapevoli che, appena dopo le elezioni, avebbero cercato le vie di un'intesa, si fosse semplicemente sostituito un meccanismo secondo il quale si cercano in sede elettorale convergenze di pura facciata, nella sotterranea consapevolezza che, ad elezioni avvenute, ciascuno se ne andrà per la sua strada. Mi sembra sia questo l'atteggiamento di Rifondazione comunista che - dopo aver tenuto un Congresso tutto giocato su di un preistorico veterocomunismo e dopo aver costruito su questa ipotesi il suo gruppo dirigente, sempre proiettato su di una vocazione all'opposizione - dichiara la sua apparente convergenza in un Polo. progressista del quale tuttavia chiaramente non condivide la cultura di governo. A questo tipo di atteggiamento accosterei quello, formalmente inverso, ma pur esso improntato alla logica di un rapporto non trasparente con l'elettore, tenuto dai cultori del «centro)>e segnatamente da Martinazzoli. Non discuto qui il problema della legittimità di un centro nella democrazia dell'alternanza (o quanto meno nella stagione di passaggio dal sistema proporzionale a quello uninominale); mi limito ad osservare che, se si vuole indirizzare la scelta dell'elettore in funzione di una politica di governo, bisogna dirgli chiaramente prima con chi il centro si schiererà se nessuno dei tre Poli dovesse prevalere. Il silenzio o tenta ambiguamente di attrarre voti che saranno poi utilizzati in una direzione opposta rispetto all'intenzione dell'elettore o mira pertinacemente a realizzare l'ingovernabilità. Nell'un caso e nel28 l'altro contraddice al principio di fondo del nuovo ordinamento che voleva evitare sia i patteggiamenti ignoti all'elettore sia un esito della gestione del potere non immediatamente desumibile dal risultato elettorale. Il nuovo sistema che abbiamo tentato faticosamente di costruire mirava a rendere trasparenti le scelte politiche, a consentirne la costante verifica da parte del cittadino, ad indirizzare cioè i modelli politici in funzione dei propri programmi e ·delle proprie iniziative. Ciò avrebbe dovuto indurre a superare sia la vecchia logica contrattualistica che portava a costruire i programmi di governo su di un compromesso (spesso molto precario) tra tesi fra di loro lontane, per non dire contraddittorie, sia a superare l'immagine della politica tutta gestita entro gli angusti confini della dialettica amico-nemico. In entrambi questi due vizi mi pare sia caduto, nella sua ultima stagione, l'amico Mario Segni, il quale, dopo aver buttato a mar.e (senza neppure sottoporlo ad un dibattito con gli amici più cari) un patrimonio di convergenze faticosamente costruito nella stagione referendaria, da un lato ha sottoposto la sua immagine al logorio di patteggiamenti poco credibili (posto che le parole enunciate dagli aspiranti partners contraddicevano a comportamenti sedimentati) dall'altro pretende costruire il suo richiamo elettorale su di una improbabile battaglia contro una inesistente egemonia comunista. Se, da cattolici, vogliamo fare una battaglia sui valori, non possiamo dimenticarci che i valori contano non in quanto predicali, ma in quanto con-
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