Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 49 - feb.-mar. 1994

eliminate tutte quelle condizioni negative che impediscono di fatto il pieno sviluppo della personalità; un programma di sviluppo che sappia vincere la episodicità di molte velleità espresse dalla società; adeguati strumenti per incalanare e mediare le spinte che emergono nella vita sociale. In mancanza di tutto ciò è stato inevitabile che le istituzioni democratiche siano state piegate alla difesa dei molti segmenti forti in cui la società si è divisa, abbandonando di fatto ogni principio di effettiva solidarietà. Non si è realizzato in realtà troppo Stato e poca società, ma poco Stato e troppe organizzazioni forti, legali o illegali, che in combutta con i partiti hanno fatto prevalere i propri interessi particolari a danno degli interessi di tutti. L'equivoca invocazione «più società e meno Stato» deve essere sostituita dalla giusta esigenza di «Più Stato e più società». Occorre poi prendere decisamente le distanze da una politica che ha visto, nella forma del partito, non lo strumento per ascoltare la gente e individuarne i bisogni meno epidermici, per educare i comportamenti, per mediare tra interessi contrapposti, per elaborare programmi, ma solo un mezzo per l'occupazione della società e per gestire il potere, per il collegamento affaristico ed il voto di scambio, per la tutela di interessi parziali, per l'accentuazione delle appartenenze in vista della distribuzione dei privilegi. Sulla base della cinica, anche se ironica, formula «il potere logora chi non ce l'ha» - che sottointende e propugna che il potere va utilizzato non per servire ma per servirsene e che avidità e paura del potere possono, in tanti, essere più forti del gusto dell'indipendenza e della onestà - il partito è così divenuto solo un ufficio di collocamento per l'occupazione dei diversi assetti istituzionali e al tempo stesso il «servomeccanismo» di altri sistemi parzialmente forti per catturare e mantenere consenso e per ottenere rilevanti mezzi economici per inquinare, a proprio profitto, la corretta dialettica democratica. Occorre, ancora, ripudiare una poi)!LBIANCO ~ILROSSO litica disancorata dal senso e dal rispetto della legalità, essenziale per costruire una comunità più giusta e per questo più umana. Una legalità che non si realizza solo non contravvenendo ai precetti penali - anche se questo è il minimo che si deve pretendere, quanto meno da chi è investilo di grandi responsabilità collettive - ma anche non accettando la coesistenza di una doppia legalità: quella nei rapporti interpersonali, richiesta a tutti i cittadini, e quella nei rapporti tra istituzioni e tra istituzioni e cittadino in cui diviene possibile realizzare l'illegalità usando le forme legali. Realizzare la legalità, attraverso la politica, significa che la legge non può essere 13 effetto di una contrattazione con quelle parti sociali forti che hanno il potere di sedersi, palesemente o non, al tavolo delle trattative e che possono esercitare, in tante forme, un diritto di veto; che la legge non può ridursi ad essere mera ratifica dell'esistente, e cioè delle conquiste che, in assenza di una regolamentazione a cui ci si è opposti con ogni mezzo, il potente di turno ha realizzato, riducendo così il diritto alla mera funzione di attribuire valenza giuridica alle posizioni conquistate con la forza; che la legge non sia una mera dichiarazione di intenti, disinteressandosi della sua possibilità di affettiva attuazione, e non si riduca ad una mera opzione che il cittadino, ad libitum, può seguire o non perché comunque amnistie, sanatorie, perdonismi di ogni tipo rendono sicura l'impunità a chi la trasgredisce. È necessario però anche opporsi a nuovi modi di fare politica che oggi vengono proposti e che contengono anch'essi pesanti tossine che avveleneranno la vita democratica e ne impediranno un autentico sviluppo agaranzia del bene di tutti. Bisogna dire decisamente di no: a) a una politica spettacolo e cioè ridotta ad apparenza tesa solo a catturare consenso più che a risolvere problemi e a far crescere l'uomo. Per risolvere i gravi problemi che emergono all'orizzonte non ci si può accontentare di catturare emotivamente le persone e di dare apparenti sicurizzazioni. L'istrionismo accattivante, le sceneggiate per acuire l'attenzione, i colpi di scena per nascondere la mancanza di progetti e di idee, la banalizzazione dei problemi proponendo ricette facili ma illusorie e mistificanti, portano a fare della comunità un gruppo docile, apparentemente appagato, disinformato, ripetitore di slogan, non una unione di uomini vivi, partecipi allo sviluppo, protagonisti di storia individuale e collettiva. La politica come supermarket non rende le persone cittadini, ma li mantiene in una condizione di sudditi-consumatori; la politica come pubblicità è sempre e solo una pubblicità ingannevole; il carisma dell'immagine è a tutto

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