ISS 1120-7930- SPED.ABB.POST.- GR. mno% ~lLBIANCO '--XIL ROSSO MENSILE DI DIBATTITO POLITICO Cattolictiradelusioni e speranzanuova s di Franco Monaco ono tra coloro che, forse ingenuamente, hanno sperato sino all'ultimo - tanto più dopo la fuoriuscita dei cosiddetti «centristi» ex Dc - che il nuovo Partito popolare sciogliesse le proprie ambiguità in materia di politica delle alleanze esperendo l'ipotesi di un'intesa a sinistra. Ripeto: esperendo l'ipotesi, tutta da vagliare quanto al merito, e sempre fatta salva la possibilità - subordinata - di attestarsi in solitudine al centro. Non mi pareva un auspicio bizzarro ed azzardato, se si considerano quattro circostanze: l'orientamento enunciato dal49 ANNOV0 • FEBBRAIO-MARZO 1994• L.7.000
IN QUESTO NUMERO EDITORIALE Franco Monaco Cattolici tra delusioni e1speranza nuova pag. 1 Luigi F. Pizzolato Cattolici nella transizione: rischi e opportunità pag. 4 ATTUALITÀ Pierre Carniti Chi parla chiaro ora aiuta il nuovo a nascere pag. 7 DOSSIER Forum dei cattolici progressisti (Roma, 29/1/1994) Alfredo Carlo Moro Cattolici e politica nella Democrazia dell'alternanza pag. 10 Valentino Castellani Oltre l'unità politica. Sviluppo e solidarietà pag. 16 Stefano Ceccanti I Cattolici alla scelta: o nei poli o nel limbo? pag. 17 Roberto De Antoniis Nel polo progressista per la formazione dell'uomo pag. 18 Paola Gaiotti de Biase Per l'incontro tra valori e culture della sinistra pag. 19 Giovanni Gennari Né traditori dell'identità né «utili idioti» a sinistra pag. 21 Egidio Grande Cattolici e progressisti: opportunità e difficoltà pag. 24 Luciano Guerzoni Da cristiani tra i progressisti né moderati né antisolidaristi pag. 25 Marco lvaldo Cristiani vigili sui nodi delle «strutture di peccato» pag. 27 Nicolò Lipari Un apporto necessario lra le attuali contraddizioni pag. 28 Gianni Mattioli Tra Verdi e Cristiano-Sociali una naturale consonanza pag. 29 Raffaele Morese Insieme: verso il nuovo che è ancora à mezza strada pag. 30 Carla Passalacqua Il nuovo e le donne tra quotidianità e realismo pag. 31 Luciano Pazzaglia Il contributo opportuno dei Cristiano-Sociali pag. 32 Paolo Prodi Dopo la «liberazione»: pag. 33 testimonianza e nuova responsabilità politica Massimo Saraz Perché valori e solidarietà. siano programmi e realtà pag. 35 Pietro Scoppola Contro la tentazione delle piccole identità separate pag. 37 Cattolici e politica un equivoco: permanente o una opportunità nuova? pag. 39 Stefano Andreatta Dopo le macerie: impegno nuovo e unità a un livello più alto pag. 40 Giovanni Bianchi Cattolici: tra coerenza ideale e servizio reale pag. 43 Mario Gozzini Unità di fede vera contro l'ideologia del Pii pag. ~5 Livio Labor Uniti, finalmente, solo dalla capacità di servire pag. 47 Brunetto Salvarani L'unica unità che vale: pregare, e servire l'uomo pag. 49 Bartolomeo Sorge Dopo la fine dell'unità, cattolici nella transizione pag. 51 Francesco Traniello Oltre il collasso Dc, un dialogo aperto con tutti pag. 54 Ugo Trivellato Una presenza diffusa, né integralista, né di interessi pag. 56 DOCUMENTAZIONE Cristiano-Sociali Dichiarazione di intenti comuni delle forze progressiste pag. 59 Comunicato Stampa dei «Cristiano-Sociali» pag. 61 Achille Occhetto ai Cristiano-Sociali pag. 62 Priorità programmatiche per il governo del Paese pag. 63 Le illustrazioni di questo numero sono «invenzioni» vittoriane
.{)!L BIANCO ~ILROSSO 1§ 111I (u ;J ti1IH lo stesso Martinazzoli ancora alla costituente Dc del luglio scorso, quando la disicriminante 'rigida era posta semmai a destra verso la Lega, mentre verso il Pds si prospettava un rapporto di sfida-competizione sul piano politico essendo venute meno le pregiudiziali ideologiche; l'ispirazione e la tradizione più genuina di un partito che lo stesso De Gasperi (che pure conobbe il pungolo dossettiano alla sua sinistra) aveva raffigurato come «partito di centro che guarda asinistra»; il precedente di Moro che - merita rammentarlo agli immemori - condusse il Partito comunista (dico il Partito comunista!) ben sedici anni fa, ancora regnante Breznev, nella maggioranza di governo; la menzionata rottura con i Casini e i Mastella, prodottasi appunto sulla politica delle alleanze e che autorizzava a sperare che, scongiurata l'apertura a destra, si esplorasse l'ipotesi simmetrica e alternativa. Al contrario, Martinazzoli ha pagato il prezzo di una rottura senza profittarne per sciogliere il nodo della politica delle alleanze. Anzi, dovendo nuovamente trattenere chi, come Buttiglione e Formigoni, da posizioni di responsabilità entro il Partito popolare, propugna aperture a destra non molto dissimili da quelle dei «centristi» fuoriusciti. Speravo, come dicevo, in una interlocuzione con l'area progressista, per dare corpo a un'aggregazione di centro-sinistra che escludesse Rifondazione comunista. Non già in nome di pregiudiziali ideologiche, ma di corpose incompatibilità politiche e di ragioni di opportunità connesse alla logica del maggioritario, ove decisiva si rivela la conquista del consenso dell'elettorato moderato di centro. Le cose non sono andate così. Di più: al Nord, ove la variabile Lega avrebbe dovuto suggerire il disegno di un «cartello democratico» che andasse dal Partito popolare al Pds, i dirigenti del Partito popolare hanno chiuso ogni spiraglio. Esplorando piuttosto sino all'estremo limite l'ipotesi di intese sul centro-destra ed enunciando a tempo e fuori tempo che gli avversari sistemici sarebbero non più la Lega o il Msi ma l'alleanza progressista. In definitiva sanzionando la figura di un partito di centro attraversato da spinte a 3 destra a fatica trattenute, cioè una direzione di marcia rovesciata rispetto a quella inscritta nella menzionata locuzione degasperiana. In questo quadro, come può regolarsi un cattolico democratico e sociale di orientamento riformatore ancorché immune da spirito giacobino e da nostalgie catto-c'omuniste? Con rammarico, vincendo resistenze psicologiche e culturali sempre plausibili allorquando si è indotti a lasciare il campo e l'alveo a sé più familiQre,penso sia tenuto a sperimentare vie nuove, nel segno di una fedeltà creativa al proprio patrimonio. Acquisito che la «forma»convenzionale sembra, ..al- . meno in questa fase, avere smarrito o quantomeno estenuato la «sostanza» etico-politica di una tradizione. È, se non vedo male, un po' quello che sta facendo la coraggiosa pattuglia dei Cristiano-Sociali. Che potranno anche sbagliare qualche passo (e, personalmente, non ho elementi a sufficienza per giudicare se sia stato bene siglare l'intesa elettorale di «alleanza progressista» nonostante non si siano realizzate a pieno le condizioni sulle prime avanzate), ma ai quali vanno ascritti taluni meriti obiettivi; quello di tenere desta, sul piano politico, una sensibilità oggi negletta; quello di stare dentro i processi reali quand'anche non corrispondano precisamente alle nostre preferenze; quello di non limitarsi a «custodire il seme» nella sua integrità, ma di disporsi ad «investire il talento»; quello di non rassegnarsi all'idea che gli esigenti traguardi additati dalla dottrina sociale della Chiesa sono buoni soltanto per i fervorini intracattolici e per la retorica pubblica, ma puntualmente si arrestano sulla soglia dell'effettività politica. Personalmente, mi sono sempre riconosciuto nel solco della lezione di Aldo Moro. Mi fa riflettere perciò l'approdo ai Cristiano-Sociali di Alfredo Carlo Moro, stimato magistrato e fratello di Aldo. E, confesso, mi sorprende che taluni limpidi eredi del pensiero moroteo (penso, ad esempio, a Leopoldo Elia, verso il quale nutro sentimenti di viva stima ed amicizia) oggi risucchiati entro un disegno centrista e moderato non diano mostra di patire un senso di mortificazione.
OlLBIANCO ~ILROSSO i i., i 111 ;J t+J IY Cattolicni ellatransizione: rischie opportunità di LuigiF. Pizzolato A tre rischi pare, stando anche alla recente lettera del Papa, sottoposto oggi il rapporto dei cattolici italiani con la politica: 1. che, per effetto della caduta delle ideologie, avanzi una politica che non si misuri più con i valori, ma sia attenta solo a «forme» e strumenti; 2. che anche per effetto d'una cattiva gestione della politica da parte di cattolici, si concluda che non è più necessaria una loro presenza organizzata e quindi sia rifiutata al loro patrimonio una espressività in politica; 3. che la confusione degli schieramenti distolga i cattolici dal loro impegno di presenza nel costruire la città. Poco da dire sul terzo. Non perché sia il più facile da sbrigare - ché, anzi, concretamente è forse il più arduo -, ma perché non presenta problemi da un punto di vista teorico. Si comprende facilmente p.nche l'esigenza che i cattolici elaborino comuni posizioni politiche a partire dal loro patrimonio. Il problema sarà qui quello di individuare canali e strumenti di una comune elaborazione: pensiamo che essi debbano essere di natura eminentemente culturale e da sviluppare all'interno del mondo cattolico (settimane sociali, consulte locali, osservatori e commissioni di attenzione al sociale, scuole di formazione politica, associazioni di cultura politica cristianamente ispirate ... ). Va comunque precisato che quella elaborazione, affinché abbia spessore politico, deve dar luogo non solo e non tanto a affermazioni di adesione ai valori, ma soprattutto a proposte politiche precise. Una riflessione comune gioverà all'insediamento politico dei valori, anche se potranno necessariamente essere diversificate, a seconda dei giudizi politici, la priorità e le modalità di traduzione. Diverso problema è quello della necessità di una «forza» politica (che però la lettera papale 4 stessa non qualifica come unitaria), che sia espressione visibile, nella sua dichiarata ispirazione cristiana, dei valori cristiani in politica. Essa dovrebbe non solo tradurre in proposte politiche i valori cristiani, ma far vedere quasi come quelle proposte si colleghino direttamente al patrimonio cristiano. La ragione di questa necessità risiede nel pericolo che l'assenza di una forza politica connotata come cristiana comporti la possibilità di una emarginazione dei cristiani e dei loro valori dall'orizzonte della politica. E che possa venire addirittura dichiarata irricevibile qualsiasi fonte prepolitica dei valori, fino al punto da dar luogo ad un annegamento di essi in una palude di puri strumenti presunti neutrali. C'è, insomma, il rischio che la politica diventi solo una «illuministica» ricerca di strumenti formali, che pretendano di surrogare i valori stessi, dei quali nessuno si impegnerebbe a giudicare il grado di verità per l'uomo. È legittimo, a questo punto, chiedersi se a determinare il collegamento tra il mondo dei valori e quello delle decisioni politiche sia, attualmente, più utile e congruo uno strumento partitico cristiano oppure presenze politiche cristiana - mente ispirate. Specie oggi, in cui è fresco il ricordo d'una forza politica cattolica che non è stata nel recente passato fedele a quella ispirazione, c'è il rischio che una forza siffatta sia vista come l'erede di quella passata, e che perciò renda addirittura impopolari i suoi valori. Nessuna garanzia esiste poi che una tale forza sappia comunque gestire più compiutamente e meglio di altre il proprio patrimonio ideale nella politica. Resta infatti sempre aperto almeno il problema delle priorità che questa forza stabilisce tra i valori del suo patrimonio che essa vuole tradurre: può darsi infatti che una forza dichia-
D!L BIANCO ~ILROSSO • M Ili (IlA ►1!éi ratamente cristiana scelga, per una sua valutazione storico-politica, l'insediamento di valori cristiani meno urgenti e meno utili alla crescita della città. Può darsi quindi che possa essere talora oggettivamente più espressiva dei valori cristiani, e soprattutto più efficace nella loro traduzione, magari una forza che non si proclami dichiaratamente cristiana, ma sia più capace di tradurre in politica quei valori, nella promozione dell'uomo. E l'efficacia, come si sa, non è elemento secondario in politica, anzi ne è aspetto costitutivo: essa significa che intorno ad essi è maturata un'adesione che fa crescere il costume civico e, in ultima analisi, il bene comune. Nel caso d'un cristiano e di una forza politica cristiana che si inseriscano in una forza partitica non connotata come cristiana, deve comunque restare l'impegno a tradurre in termini politici i propri valori, qualsiasi sia lo schieramento in cui essi si collocano. Anzi, è proprio sulla base della cittadinanza che possono trovarvi i propri valori che essi devono e possono giudiziosamente scegliere le forze politiche in cui si schierano. Una delle prime valutazioni da fare è se oggi, data la situazione di crisi delle ideologie e dati i non entusiasmanti esiti odierni di una forza «espressiva» cristiana pur meritoria nel passato, sia appagante collocarsi subito in una forza che si dichiari espressiva o sia meglio valutare se esista una forza, magari pluralistica, che traduca però più diffusivamente ed insedi nell'ethos comune i valori del patrimonio cristiano, anche se non li dichiari esplicitamente tali. Se, quindi, 5 oggi convenga di più perseguire l'espressività o la condivisione. Il nostro, opinabile ma convinto, giudizio è che le sorti dei valori del patrimonio sociale cristiano non siano inevitabilmente legate, oggi in Italia, ad una presenza partitica cristiana. E che quindi il declino dell'una non significa il declino degli altri. Alla contestazione a cui è soggetta oggi la vecchia Dc non mi pare che corrisponda una contestazione dei valori cristiani: anzi, spesso la condanna dell'una è espressa proprio ricorrendo all'esaltazione dei secondi e alla loro distinzione. Certo, talvolta l'operazione di distinzione può essere strumentale ad una «cattura» dei cristiani, ma non ci sembra comunque che riveli un odio verso il loro patrimonio, specie laddove ci siano energie di cattolici capaci di farlo apprezzare anche per la sua intrinseca validità umana. Confrontandoci con soggetti di altra provenienza, con cosiddetti «uomini di buona volontà», non è raro constatare con soddisfazione che i nostri semi sono germogliati anche in altri terreni, sia pure con diversa rigogliosità. Può darsi - ed è anzi auspicabile - che si ricostituiscano in un futuro forze partitiche più omogenee: case che siamo più abituati a frequentare e che più immediatamente esprimono il legame coi modi valoriali prepolitici. Oggi la necessità storica - e la legge elettorale - sembra piuttosto imporre un altro panorama ed un altro percorso. Lo scenario civile italiano oggi si configura come un terreno dove le recinzioni sono cadute e c'è il rischio che il terreno inselvati-
{)!LBIANCO a.z._ ILROSSO 1i11K19;JM•d chisca, se non interviene una semina di valori. Occorre allora che anche i cristiani si preoccupino di non lasciare in esclusiva balia di altri coltivatori un terreno vasto e attraversato da tante presenze. Sappiamo che c'è chi non crede alla ineluttabilità della polarizzazione di forze e cerca di alimentare un «centro» politico. Già ci sono lepremesse perché il centro sia terreno di contesa delle due polarizzazioni. Infatti le ambizioni di entrambe avranno una catena corta, che le terrà legate al centro: l'ansia di solidarietà della sinistra si troverà a fare i conti con il forte debito pubblico e dovrà per forza razionalizzarsi; l'anelito neoliberistico della destra dovrà misurarsi con il grave problema dell'occupazione e non potrà rischiare il conflitto sociale. Ci sarà quindi prevedibilmente un centro non deserto, ma affollato da attraversamenti. Ma se lo si considera luogo di collocazione politica stabile, esso risulterà il luogo della «vecchia» politica. Infatti esso vorrebbe essere quasi un tentativo di ricongelare il sistema contro il pericolo di opposti estremismi i quali però estremismi non sono più e non appaiono più. Se questa operazione però trovasse credito, il sistema si ricongelerebbe e si bloccherebbe ancora la possibilità dell'alternanza, ricadendo a breve nei vizi consociativi del passato sistema. Più che di un centro rassicurante a sproposito, la politica italiana ha più bisogno oggi d'una presenza coraggiosa e diffusa di cattolici, che sappia far emergere, sotto le presunte omogeneità, le vere discriminanti culturali che soggiacciono allo schiacciamento elettoralistico delle posizioni. Contro la radicalizzazione degli schieramenti e contro l'omogeneità rassicurante affidata a slogans elettorali (a sentire i quali la sinistra accede gaudiosamente al libero mercato e la destra suona la serenata solidaristica), c'è bisogno di ricondurre la politica oltre la retorica, ai veri bisogni umani in gioco. I Cattolici non devono rifiutarsi al compito di accettare lealmente la logica del!'alternanza e di animarla. Si troveranno a frequentare, con un po' di vertigine, forze provviste di minore omogeneità di valori, ma certamente più praticate e non sorde a valori umani. Nel restare isolati, in una forza partitica chiusa, si rischia oggi di rendere più inefficaci i nostri valori: come se si seppellisse il proprio talento o se si ibernasse un se6 me. Per noi oggi è preferibile la strada, più sapienziale e quindi più tipicamente politica, del mettersi in gioco dentro la polarizzazione che si configura, per darle casomai un supplemento d'anima e per introdurre le ragioni d'una politica alta in un panorama schiacciato su «cartelli di forze». Si può anzi dire che la dislocazione dei cattolici potrebbe essere utile ad impedire la deflagrazione conflittuale dell'attuale radicalizzazione e per mantenerla dentro i limiti della concordia sostanziale, di quella pace sociale che è il segno dell'amore finale possibile dentro la città dell'uomo. Affinché venga ricercato e mantenuto più visibilmente il nesso tra i valori di partenza e 'l'ambito delle decisioni politiche e affinché la traduzione di quei valori risulti più efficace, è opportuno che i cattolici entrino nelle polarizzazioni non come elementi sparsi, ma come una forza politica in qualche modo organizzata a livello di un'aggregazione che elabori programmi, quale intende essere quella dei Cristiano-Sociali. C'è bisogno insomma di formazioni cultural-politiche valorialmente più omogenee che si insedino dentro aggregazioni partitiche più diffuse. Quanto alla scelta dell'aggregazione, pare a noi ineludibile schierarsi oggi su quella che sembra salvaguardare meglio di altre i valori civili che risultano più a rischio: quello della moralità politica e quello della solidarietà. Infatti non è solo nella caduta delle ideologie che siannida lo spettro dell'irrazionalità politica: irrazionale è anche qu·ella politica che non alimenta valori comuni di convivenza e che non tende alla concordia sul possibile. Non si tratta di mettere in atto nessuna dispora «debole» da parte dei cattolici, ma una disseminazione motivata da ragioni storiche prudenziali e sempre attenta alle esigenze della coerenza con il proprio patrimonio, sempre pronta a riabbeverarsi alle fonti della comunità cristiana. Per questo ci pare opportuno accettare la logica dell'alternanza bipolare e collocarci in un'aggregazione che ci sembra puntare di più sulla esaltante scommessa di conciliare efficienza e attenzione alle situazioni di povertà; qualità della vita di tutti e primato delle condizioni di povertà strutturali e personali (che pure investono tutti). Assicurando che, laddove altri valori umani (e perciò cristiani) risultassero in pericolo, non esiteremmo a farcene sostenitori.
D!L BIANCO ~ILROSSO tiiiidiit+i Chiparlachiaro ra aiutailnuovoanascere di Pierre Camiti N el giro di pochi mesi la storia politica italiana ha subìto una impressionante accelerazione. Abbiamo assistito al crollo improvviso di una classe politica, al potere da mezzo secolo, sotto la spinta di eventi che le hanno fatto perdere consensi e legittimità. È stato introdotto un nuovo sistema elettorale destinato a sconvolgere vecchi equilibri politici e vecchie abitudini. Hanno rumorosamente fatto irruzione sulla scena forze estranee al tradizionale quadro di riferimento istituzionale e culturale. Questi elementi sono sembrati sufficienti a molti analisti per pronosticare l'imminente passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Cioè il passaggio da un sistema politico costruito sulla proporzionale e le coalizioni, ad uno fondato sul maggioritario e due schieramenti contrapposti. Ormai però sappiamo che le cose non andranno così. Il 27 e 28 Marzo non si oonfronteranno, infatti, due programmi, due schieramenti, due leader. 1 raggruppamenti che si daranno battaglia saranno sicuramente tre. O, forse, quattro. Malgrado le volonterose affermazioni contrarie di quanti avevano attribuito prima ai referendum e poi alla nuova legge elettorale chiarificatrici virtù salvifiche, presumibilmente non ci sarà quindi un vincitore assoluto in grado di mandare gli avversari all'opposizione. Il nuovo Parlamento sarà perciò obbligatoa varare un governo di coalizione. Forse era illusorio immaginare una così rapida riconversione di un ceto politico formato nella logica della proporzionale a quella dei due schieramenti. Oltre tutto si deve riconoscere che il passaggio dal vecchio al nuovo non è semplice. Perché richiede che siano superati radicati criteri di appartenenza. Richiede la fatica di mettere insieme storie e culture diverse. Tutte cose che, quasi certamente, richiedevano più tempo di quello che c'è stato. 7 C'è però anche chi ritiene che l'esito che si profila (contraddittorio con le iniziali aspettative) sia da attribuire, in parte determinante, ai difetti della nuova legge elettorale. Certo una legge a due turni con ballottaggio sarebbe stata assai più utile e razionale. Non si dovrebbe tuttavia ignorare che le riforme elettorali, da sole, possono avere un ruolo decisivo nel destrutturare un sistema politico, ma difficilmente si può affidare ad esse anche il compito di costruirne uno nuovo. Nella storia delle moderne democrazie, almeno finora, questo appare come un'indiscutibile dato di fatto. Quale che sia la motivazione più plausibile, il risultato è che adesso, tra il regime proporzionale e quello maggioritario, ci troviamo comunque in una infida terra di nessuno. Con il rischio di vedere risuscitare tutti i sotterfugi, le trappole ed i pastrocchi, che pensavamo definitivamente sepolti con la prima Repubblica. Questo pericolo può essere scongiurato soltanto se agli elettori saranno presentate, dalle diverse aggregazioni, scelte di governo chiare. Il problema naturalmente riguarda tutti i raggruppamenti, ma in primo luogo quello del Centro di Segni e Martinazzoli. Per Segni, che è stato il principale promotore di una riforma sostenuta in nome del sacrosanto diritto degli elettori di decidere con il proprio voto da chi farsi governare, si tratta di un'esigenza ineludibile per evitare una definitiva perdita di credibilità. Ma anche per Martinazzoli, che pure non ha mai nascosto la sua personale avversione per un sistema politico bipolare, è un dovere dire ai suoi elettori cosa farà in Parlamento nel caso, tutt'altro che imprevedibile, che il Centro non conquisti la maggioranza assoluta dei seggi. Almeno questa chiarezza gli elettori hanno il diritto di esigerla e a chi chiede di rappresentarli non dovrebbe essere consentito di sottrarsi al dovere di assicurarla.
P.&T.COMPANY ESTRATTO CONTRIBUTIVO INPS. DA OGGI, PASSATO, PRESENTE E FUTURO SONO SOTTO IL VOSTRO CONTROLLO. UNA GARANZIA PER IL DOMANI DAL NOVEMBRE 1993 L'INPS HA DATO INIZIO AD UN'OPERAZIONE CHE INTERESSA 30 MILIONI DI LAVORATORI DIPENDENTI E AUTONOMI: L'INVIO A DOMICILIO DI UN ESTRATTO CONTRIBUTIVO CHE INDICA LE RETRIBUZIONI DICHIARATE DAL DATORE DI LAVORO O I REDDITI PER I LAVORATORI AUTONOMI E I CONTRIBUTI DI TUTTA LA VITA LAVORATIVA. BASTA CONTROLLARE L'ESTRATTO CONTRIBUTIVO CONSENTE LA VERIFICA COMPLETA DELLA POSIZIONE PREVIDENZIALE FINO AL 31 DICEMBRE 1990 ED È UNO STRUMENTO PREZIOSO PER LE SCELTE PERSONALI IN VISTA DEL PENSIONAMENTO. SE Cl SONO DATI INESATTI O INCOMPLETI, BASTA SEGNALARLI ALL'iNPS CON LA CARTOLINA DI RITORNO.INSERITA NELL' ESTRATTO CONTRIBUTIVO, DOVE SI TROVERANNO ANCHE UNA SERIE DI NUMERI TELEFONICI A CHIAMATA GRATUITA PER INFORMAZIONI O PER FISSARE UN APPUNTAMENTO CON I FUNZIONARI INPS. I LAVORATORI POSSONO RIVOLGERSI ANCHE AGLI ENTI DI PATRONATO CHE FORNIRANNO GRATUITAMENTE LA LORO ASSISTENZA. FINO ALL'AUTUNNO 1994 L'INPS HA PROGRAMMATO DI PRESO CHI NON È PIÙ IN VITA, IN QUANTO PUÒ ESSERE COMUNQUE UTILE PER I FAMILIARI CONOSCERE LA POSIZIONE PREVIDENZIALE DEL CONGIUNTO. E' UN'INIZIATIVA DI DIMENSIONI VASTISSIME: L'INPS CONFIDA NELLA COMPRENSIONE DEGLI INTERESSATI PER EVENTUALI DISGUIDI. INSIEME, UNA PENSIONE RAPIDA PER LA RIUSCITA DELL'OPERAZIONE L'INPS CHIEDE LA COLLABORAZIONE DEI LAVORATORI E DELINVIARE CIRCA 3 MILIONI DI LE AZIENDE PER INP ESTRATTI CONTRIBUTIVI AL RAGGIUNGERE MESE, INIZIANDO DAI LAVORA- UN OBIETTIVO CHE È TORI PIÙ VICINI AL PENSIONA- NELL'INTERESSE MENTO, IN MODO DA CONCLU- DI TUTTI: LA SICUDERE L'OPERAZIONE ENTRO REZZA, PER OGNI L ' A U T U N N O D E L 1 9 9 4 • L A V O R A T O R E , Istituto Nazionale L'ESTRATTO VERRÀ INVIATO DELL'ESATTEZZA E PrevidenzaSociale CURATO PRESSO L'INPS, COM- DELLA PENSIONE. ANCHE A CHO NON È POÙ ASSO- DELLA TEMPESTOVOTÀ' ., ESTRATTO CONTRIBUTIVO INPS. AL DOMICILIO DI 30 MILIONI DI LAVORATORI.
DOSSIER Cattolicie politica nellaDemocraziadell'alternanza Forumdeicattoliciprogressisti (Roma,29/1/1994) Questo Dossier. Cattolici e politica: pare un tema antico, ma le circostanze attuali della vita italiana lo pongono con prospettive del tutto nuove. Siamo in un passaggio epocale, più o meno compiuto, più o meno positivo, più o meno voluto, certo, ma la situazione è nuova. Per questo i Cristiano-Sociali hanno promosso a Roma, il 29 gennaio, un Forum sull'argomento. Come si osserverà leggendo i contributi seguenti si è guardato avanti, dando per vissuta, e sofferta, su diversi fronti, la stagione della Dc. Oggi.i tempi sono nuovi, ed esigenti, per tutti. Pubblichiamo di seguito la relazione introduttiva di Alfredo Carlo Moro e gli interventi della giornata. Nella seconda parte del Dossier, iniziamo la pubblicazione dei contributi che ci sono giunti in risposta ad un «questionario-riflessione», che facciamo precedere allapubblicazione dei contributi pervenutici. Per esigenze assolute di spazio siamo costretti a rinviare al prossimo numero, che uscirà al più presto, la pubblicazione degli articoli di Giovanni Benzoni, Angelo Bertani, Domenico Del Rio, Paolo Giammarroni, Giovanni Guzzetta, Giuseppe Lumia, Angelo Mina, Franco Monaco, Franco Monterubbianesi, Sabino Palumbieri e Francesco Michele Stabile. Ce ne scusiamo con gli Autori, e con i lettori. (G.G) 9
O!LBIANCO ~ILROSSO 111 •i.1§t 1M; 1 Cattoliceipolitica nellaDemocrazidaell'alternanza - I n questo nostro incontro sul significato, sul valore e sulle modalità della presenza della componente cristiana nella vita politica, cercherò - come introduzione al dibattito - di - individuare alcune piste di riflessione comune e di prospettare alcune strade da seguire perché il contributo del mondo cattolico alla costruzione della città dell'uomo non si esaurisca nella insignificanza o, peggio, nel tradimento dei valori in cui fermamente crediamo. 1. Una prima considerazione, da cui occorre partire, è che i cattolici in quanto tali hanno ancora qualche cosa da dare perché sia costruita una migliore casa comune. È certo indispensabile riconoscere subito che i cattolici - dal punto di vista sociale e culturale - sono una minoranza nel paese, anche se minoranza non separata ma profondamente inserita nella comunità umana di appartenenza; non antagonista ed in opposizione ma «in cordata» coh altri uomini di buona volontà per costruire con altre forze ideali e sociali, nel confronto e nella cooperazione, le basi per una vita comunitaria più umana e più giusta. Superata prima la tentazione clerico-moderata, animata più dalla paura che dalla volontà di contribuire alla costruzione della nuova Italia (la politica di «eunuchi», la «prostituzione del voto senza programma e senza carattere», come affermava Don Sturzo); superata poi la tentazione di costruire e realizzare un organico progetto cattolico di Stato che, partendo dai principi, modellasRelazione di Alfredo Carlo Moro se la realtà rendendola coerente; i cattolici italiani hanno attuato un forte impegno in collaborazione con altre forze politiche anche se ancorate a ideologie diverse per la realizzazione, di uno Stato democratico e pluralista, fondato su principi e valori elaborati dalla cultura cattolica ma che finirono con l'essere largamente condivisi da molti uomini di buona volontà. Come affermò La Pira alla Settima sociale dei cattolici italiani sulla Costituente, l'ispirazione cristiana di una Costituzione non deriva da esteriori richiami o affermazioni ma dall'inserimento nel patto fondamentale di «un ordinamento economico, politico, familiare, culturale e religioso conforme alla natura e alla dignità della persona umana. Solo di una Costituzione così fatta si può davvero dire che è cristianamente ispirata; perché l'ispirazione cristiana è incorporata nei suoi istituti, ravviva e finalizza le sue norme circola nelle sue strutture». L'apporto dei cattolici alla rifondazione dello Stato democratico - se si vuole essere intellettualmente onesti - è stato rilevantissimo e solo macchiato, non del tutto offuscato, dai pesanti errori commessi nell'ultimo quindicennio. La delineazione dei valori fondanti la nostra vita sociale attraverso il patto costituzionale - ancora validissimi anche se non del tutto attuati - ha fortemente risentito dell'incontro fecondo tra cultura cattolica e culture diverse; lo sviluppo per certi aspetti · stupefacente della nostra comunità - dopo un lungo periodo di povertà non solo materiale, dopo la distruzione 10 della democrazia peraltro non ancora compiuta e dopo la tragedia della guerra - deve molto all'apporto dei cattolici impegnati non solo nella politica ma anche nella vita sociale; la tutela della libertà, bene essenziale per lo sviluppo comunitario e della persona, e la progressiva evoluzione in senso democratico di forze che si ponevano fuori del sistema è stato certamente facilitata dall'azione dei cattolici organizzati non solo sul piano politico; la realizzazione di una democrazia in cui tutte le forze avessero legittimazione piena nella costruzione comune è merito che non può essere misconosciuto. Certo, errori sono stati compiuti, ma chi in politica può dirsi immune da errori? Certo - e ciò non può non ferirci profondamente - tradimenti agli ideali per cui il mondo cattolico si è impegnato in politica sono stati pesantemente pre.senti specie nell'ultimo decennio: ma tutto ciò, se appanna l'azione dei cattolici, non toglie ogni valore all'apporto che il mondo cattolico ha dato - e può continuare a dare se depurato da molte scorie e rinnovato nelle modalità di presenza - all'attività politica e sociale nel nostro paese. Esistono ancora, all'interno del mondo cattolico, moltissime forze sane: rilevanti energie ed esperienze che si sono forgiate nel crogiolo della vita sociale, oltre che politica; grandi ricchezze morali radicate non su moralismi declamati ma su un autentico spirito di servizio; rilevanti ricchezze di riflessione sulle esigenze dell'uomo degli anni duemila e sulle strutture, istrtuzionali e non, più adatte per ac-
compagnare l'uomo nel suo cammino di .liberazione. Questo tesoro di energie e di esperienze deve essere posto a servizio della comunità umana in cui siamo inseriti. E ciò non solo proponendo soluzioni ai problemi dell'uomo e della comunità di oggi ma anche essendo testimoni della speranza (virtù teologale che si fa dinamica storica) contro tutti i catastrofismi e i disimpegni; testimoni della carità e cioè della attenzione, nella solidarietà, alle esigenze delle persone, specie di quelle che hanno avuto meno fortuna nella vita; testimoni della giustizia affinché ciò che è giusto per me e dovuto a me sia giusto e dovuto anche per l'altro, superando i molti privilegi che ancora rendono solo declamatorio il principio di eguaglianza tra gli uomini e rimuovendo le «strutture di peccato» causative di ingiustizie e di sofferenza. 2. Una seconda considerazione da tener particolarmente presente è che il mondo cattolico itàliano non è costituito da un blocco univoco e monolitico ma contiene nel suo interno una molteplicità di orientamenti, valutazioni, proposte. Se - come riconosceva Paolo VI - una medesima fede -può condurre a impegni diversi per cui bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni (OA50); se la fede - come riconosceva Giovanni Paolo II - non può essere ridotta ad ideologia e la stessa dottrina sociale cristiana ha carattere teologico non ideologico, morale non tecnico, profetico non prescrittivo (S R S 41); se l'identità dei cattolici (come hanno riconosciuto i Vescovi italiani in La Chiesa italiana e le prospettive del paese) «non coincide con i programmi di azione culturale sociale e politica che i cristiani, singoli o associati, perseguono ma si fonda invece sulla fede e la morale cristiana con il loro preciso richiamo all'insegnamento in campo sociale e si vive nella comunione ecclesiale»; se l'identità cristiana - sono sempre i Vescovi italiani nel documento sopra citato - è «da incarnare, senza rivendicarla solo per se, nel pluralismo delle situazioni, {)!LBIANCO '-"' ILROSSO 1111 t-i§t•?f;I ~ -- -·- _:,__.._;,_ \ .. .. -- -~,::... giorno per giorno, quando proprio la fede anima le competenze umane dell'analisi, del confronto, della mediazione e della prospettazione»; se tutto ciò è vero i cristiani - che nell'attività politica sono chiamati non a proclamare il Vangelo e la conversione dei cuori, o a certificare la loro identità, ma ad edificare una società pienamente umana - possono entrare nel dialogo della storia sulla base di opzioni diverse e realizzando collaborazioni specifiche di diverso tipo. In realtà l'identità e l'unità dei cristiani deve realizzarsi intorno ai valori cui si deve rimanere fedeli pur nel difficile, ed eventualmente diverso, modo di radicarli nella storia; l'unità più che mono11 litismo in un'unica struttura organizzativa e in un'unica proposta deve essere un saper riflettere insieme, con modalità diverse tutte da sperimentare, sul significato dei valori nel divenire storico, sulla loro traducibilità nelle contingenze della vita, sul discernimento dei pericoli per tali valori che si annidano all'orizzonte. Deve anzi rilevarsi come oggi una rigida unità dei cattolici in una unitaria struttura partitica rischia fortemente di condannare alla sterilita ed alla insignificanza la presenza dei cattolici nel nostro paese. Innanzi tutto perché la compresenza di posizioni diverse all'interno di un unico partito ha effetto paralizzante, impedendo la costruzione di un programma comune che non sia di meri principi e bloccando l'azione concreta sulla base di veti incrociati. È quello che è avvenuto negli ultimi anni nella Dc quando, nell'impossibilità di effettuare scelte ampiamente condivise, si è rinunciato a fare politica e ci si è conseguentemente appiattiti sulla mera gestione del potere. Poi perché l'arroccamento dei cattolici, sia pur meramente nominale, in un unico partito ha portato all'isolamento nella difesa e nella propulsione dei valori propri del mondo cattolico e quindi alla loro più difficile tutela e promozione. Per scardinare, o quanto meno mettere in difficoltà quello che costituiva il perno della vita politica italiana, le opposizioni - e spesso gli stessi alleati che volevano acquisire maggiore spazio politico - si sono coalizzati «contro», proprio sul terreno delle istanze per il cattolico più essenziali, mentre la chiusura nell'autosufficienza ha reso impossibile realizzare accordi extra moenia per preservare il possibile (la vicenda dell'aborto può essere illuminante). Infine perché - nella nuova situazione conseguente alla riforma elettorale - un piccolo partito di cattolici, necessariamente minoritario, che per unire potenzialmente tutti i cattolici deve porsi come autosufficiente e non scegliere Ira le po sibili alleanze con i poli contrapposti, diventerà di fatto del tutto marginale nella dialettica politica. Si spreca così una occasione straordinaria per pote-
re incidere - con formazioni organiche di cattolici che partecipino ai raggruppamenti contrapposti - nei programmi delle due antitetiche alleanze affinché siano rispettati e in qualche modo recepiti quei fondamentali valori che i cattolici, ma non solo loro, ritengono essenziali per la costruzione di una comunità più umana e giusta. ·In una situazione di grande movimento, in cui le tradizionali ideologie totalizzanti sono state abbandonate, in cui si è tutti alla ricerca dei fondamentali bisogni delle persone da appagare e degli strumenti più adeguati per dare risposte soddisfacenti ad essi, in cui la presenza cattolica è ricercata nei diversi schieramenti non tanto per gretti motivi di aritmetica elettorale quanto perché la loro esperienza - nel mondo della cultura, delle professioni, dell'assistenza nei settori più a rischio della convivenza, dell'economia e del lavoro - può essere preziosa per innervare i programmi comuni di azione, sarebbe assai elusivo se il mondo cattolico, in vista di una unità formale, si aulocondannasse alla estraneazione o alla insignificanza. Del resto è paradossale - ma tristemente illuminante - che la componenete cattolica, che tanto ha fatto per recuperare alla democrazia compiuta forze politiche ancora marginali (pagando per questo altissimi prezzi) si sforzi, nel momento in cui ha in qualche modo raggiunto questo obiettivo, di respingere ancora una volta queste forze verso posizioni estreme, che finirebbero col diventare estremistiche, solo per assicurarsi uno spazio in un mitizzato «centro». Sembra che si preferisca una diaspora silenziosa da parte di singoli (in gran parte già avvenuta) che però finisce con il vanificare una ancora utile presenza organica di cattolici politicamente omogenei che possa arricchire i programmi e le azioni degli schieramenti contrapposti ovvero che si idealizzi una sorta di testimonianza, politicamente sterile, che per preservare una presunta identità rifiuta alleanze ed erige barriere e così rischia di porsi fuori della storia. Sembra che se non è possibile avere il potere, ed essere centro immobile intorno a cui devono {)~BIANCO '-'l..ILROSSO ltll~'SJ•H;J ruotare varie costellazioni, si preferisca rinunciare ad essere compartecipi del mutamento e soggetti attivi nello sforzo di costruzione di una nuova comunità. L'unità dei cattolici - anche se come singoli o come gruppo effettueranno opzioni politiche diverse - può realizzarsi con altre modalità. Sarebbe opportuno costruire momenti ed occasioni di confronto, di approfondimento, di analisi delle nuove situazioni di vita che l'accelerazione della storia porta con se, di comune ricerca delle esigenze e dei bisogni dell'uomo. Il che non significa né creare un trasversalismo all'interno delle varie forze politiche né rompere la lealtà verso le alleanze a cui si partecipa: significa solo porsi in dialogo - come del resto dovrebbe esser fatto anche Ira le diverse forze politiche - per rendere più chiari a se stessi il significato delle scelte e il senso del proprio impegno nella storia, per rielaborare con una consapevolezza arricchila e meno superficiale le varie proposte, per ritrovare quel che può unire anche se su altri temi si continuerà ad essere divisi. Ritrovarsi periodicamente - e dialogare serenamente - aiuterà a raffreddare un clima politico che sia divenendo sempre più rovente; a dimostrare che si può essere alternativi senza essere, solo perciò, nemici e che possono essere ricercati punti di incontro e di accordo malgrado le diverse opzioni. E ciò aiuterà i cristiani a superare la tentazione, sempre pericolosamente presente, di scambiare per infedeltà la divergenza di vedute; di ritenere un tradimento e non un arricchimento la varietà delle intuizioni e delle proposte; di privilegiare la forzosa omogeneizzazione piuttosto che la ricchezza delle proposte nell'unità dei valori di fondo. 3. Una terza riflessione deve essere fatta sul modo con cui oggi il cristiano - come ogni uomo di buona volontà - deve fare politica ripudiando vecchi modi di gestione della cosa pubblica e decisamente opponendosi a nuove proposte di tipologia della presenza 12 politica che appaiono, come le vecchie anche se in modo diverso, del tutto insoddisfacentiper non dire rovinose. Occorre innanzi tutto riaffermare la centralità della politica di fronte alla sua progressiva emarginazione - qualcuno ha detto estinzione - che abbiamo sperimentato in questi ultimi anni. Di fronte al progressivo sviluppo della società democratica, e al tumultuoso evolversi delle soggettività private e pubbliche, non si è realizzata una forte presenza del momento di sintesi, proprio della politica, perché i particolarismi siano ridotti e gli interessi più giusti appagati, ma un progressivo ritrarsi della politica. Al posto di una pubblicizzazione del privato, e cioè un inserimento sempre più vivo e costruttivo nella comunità organizzata in Stato del pluralismo sociale, si è venuta attuando una privatizzazione del pubblico sempre più profondamente irretito nelle maglie degli interessi di quei gruppi «forti»che potevano, aggregando consensi o elargendo prebende, condizionare le scelte decisionali. La politica si è così trasformata in «amministrazione», nel senso che è venuta progressivamente perdendosi la capacità della politica di dominare una realtà frammentata per realizzare una superiore composizione degli interessi, delle domande, delle rivendicazioni, delle attese che emergono nella società. Di fronte ad una società proliferante lo Stato è divenuto sempre più debole e impotente, il che ha portato di fatto ad una disintegrazione del contesto sociale e ad un nuovo neo-feudalesimo risorgente in cui corporazioni e lobby tendono a dettar legge e ad acquisire sempre nuovi e più rilevanti privilegi. In realtà il giusto ed utile dispiegarsi delle autonomie sociali, perché non sia o non diventi prevaricazione, esige un forte e unitario quadro di riferimento che garantisca che non predominio particolarismi; un autorevole centro capace di ascoltare anche le fievoli voci dei più deboli e cioè di coloro che non hanno corporazioni che sappiano farsi valere e che invece hanno più bisogno dell'intervento dello Stato perché, secondo il dettato costituzionale, siano
eliminate tutte quelle condizioni negative che impediscono di fatto il pieno sviluppo della personalità; un programma di sviluppo che sappia vincere la episodicità di molte velleità espresse dalla società; adeguati strumenti per incalanare e mediare le spinte che emergono nella vita sociale. In mancanza di tutto ciò è stato inevitabile che le istituzioni democratiche siano state piegate alla difesa dei molti segmenti forti in cui la società si è divisa, abbandonando di fatto ogni principio di effettiva solidarietà. Non si è realizzato in realtà troppo Stato e poca società, ma poco Stato e troppe organizzazioni forti, legali o illegali, che in combutta con i partiti hanno fatto prevalere i propri interessi particolari a danno degli interessi di tutti. L'equivoca invocazione «più società e meno Stato» deve essere sostituita dalla giusta esigenza di «Più Stato e più società». Occorre poi prendere decisamente le distanze da una politica che ha visto, nella forma del partito, non lo strumento per ascoltare la gente e individuarne i bisogni meno epidermici, per educare i comportamenti, per mediare tra interessi contrapposti, per elaborare programmi, ma solo un mezzo per l'occupazione della società e per gestire il potere, per il collegamento affaristico ed il voto di scambio, per la tutela di interessi parziali, per l'accentuazione delle appartenenze in vista della distribuzione dei privilegi. Sulla base della cinica, anche se ironica, formula «il potere logora chi non ce l'ha» - che sottointende e propugna che il potere va utilizzato non per servire ma per servirsene e che avidità e paura del potere possono, in tanti, essere più forti del gusto dell'indipendenza e della onestà - il partito è così divenuto solo un ufficio di collocamento per l'occupazione dei diversi assetti istituzionali e al tempo stesso il «servomeccanismo» di altri sistemi parzialmente forti per catturare e mantenere consenso e per ottenere rilevanti mezzi economici per inquinare, a proprio profitto, la corretta dialettica democratica. Occorre, ancora, ripudiare una poi)!LBIANCO ~ILROSSO litica disancorata dal senso e dal rispetto della legalità, essenziale per costruire una comunità più giusta e per questo più umana. Una legalità che non si realizza solo non contravvenendo ai precetti penali - anche se questo è il minimo che si deve pretendere, quanto meno da chi è investilo di grandi responsabilità collettive - ma anche non accettando la coesistenza di una doppia legalità: quella nei rapporti interpersonali, richiesta a tutti i cittadini, e quella nei rapporti tra istituzioni e tra istituzioni e cittadino in cui diviene possibile realizzare l'illegalità usando le forme legali. Realizzare la legalità, attraverso la politica, significa che la legge non può essere 13 effetto di una contrattazione con quelle parti sociali forti che hanno il potere di sedersi, palesemente o non, al tavolo delle trattative e che possono esercitare, in tante forme, un diritto di veto; che la legge non può ridursi ad essere mera ratifica dell'esistente, e cioè delle conquiste che, in assenza di una regolamentazione a cui ci si è opposti con ogni mezzo, il potente di turno ha realizzato, riducendo così il diritto alla mera funzione di attribuire valenza giuridica alle posizioni conquistate con la forza; che la legge non sia una mera dichiarazione di intenti, disinteressandosi della sua possibilità di affettiva attuazione, e non si riduca ad una mera opzione che il cittadino, ad libitum, può seguire o non perché comunque amnistie, sanatorie, perdonismi di ogni tipo rendono sicura l'impunità a chi la trasgredisce. È necessario però anche opporsi a nuovi modi di fare politica che oggi vengono proposti e che contengono anch'essi pesanti tossine che avveleneranno la vita democratica e ne impediranno un autentico sviluppo agaranzia del bene di tutti. Bisogna dire decisamente di no: a) a una politica spettacolo e cioè ridotta ad apparenza tesa solo a catturare consenso più che a risolvere problemi e a far crescere l'uomo. Per risolvere i gravi problemi che emergono all'orizzonte non ci si può accontentare di catturare emotivamente le persone e di dare apparenti sicurizzazioni. L'istrionismo accattivante, le sceneggiate per acuire l'attenzione, i colpi di scena per nascondere la mancanza di progetti e di idee, la banalizzazione dei problemi proponendo ricette facili ma illusorie e mistificanti, portano a fare della comunità un gruppo docile, apparentemente appagato, disinformato, ripetitore di slogan, non una unione di uomini vivi, partecipi allo sviluppo, protagonisti di storia individuale e collettiva. La politica come supermarket non rende le persone cittadini, ma li mantiene in una condizione di sudditi-consumatori; la politica come pubblicità è sempre e solo una pubblicità ingannevole; il carisma dell'immagine è a tutto
scapito del carisma delle idee e finisce inevitabilmente con il servire più alle ambizioni dei singoli che all'effettiva dedizione alle esigenze degli uomini. b) a una politica dello scontro per cui è più significativo essere contro qualcuno che costruirsi una identità e un programma propri; è più opportuno scavare fossati che lanciare ponti per far emergere, in un dialogo costruttivo, punti comuni e proposte condivisibili; è più utile costruirsi antagonisti di comodo su cui lanciare anatemi, e speculare sui pre-giudizi ancora diffusi,che cercare di capire le ragioni degli altri. Nella società vociferante di oggi sembra che solo chi grida di più abbia ragione, che solo chi agita la clava della propria presunta verità difenda meglio la pr.opria posizione, che solo la demonizzazione dell'altro faccia emergere la giustezza della propria proposta, che la nevrastenia debba soppiantare la ragione. Ma in una contrapposizione siffatta non si costruisce ma si frantuma; non si risolvono i problemi complessi ma ci si paralizza a vicenda; non si aiuta l'emergere della razionalità ma si da spazio esclusivamente alla emotività. c) a una politica del notabilato, costruita da alcuni specialisti illuminati che sanno, da soli, cosa può essere utile per tutti; che da spazio a giovani - e meno giovani - a rampanti e telegenici disancorati dai fermenti e dalle reali esigenze di vita presenti nella società civile; che tutela prevalentemente interessi di un gruppo contrabbandandoli come interessi di tutti; che persegue una apparente efficienza del sistema disancorata da una sua reale efficacia e cioè dalla sua capacità di dare concrete risposte al bisogno della persona di poter godere di una vita più compiuta su tutti i piani. Perché la politica non si riduca a tutela degli interessi economico-finanziari di pochi, ma a ricerca reale del bene comune, è indispensabile che sia momento di sintesi di un processo che nasce nella società e in essa si sviluppi e arricchisca; che si ridia in mano ai cittadini il timone della propria storia attraverso una partecipazione reale e non fittizia e una collaborazione co- {)!.LBIANCO ~ILROSSO 1,111-.1§j1j:j struttiva che veda impegnati larghi strati di popolazione. Perché la politica non si risolva nell'esercizio del potere da parte di una oligarchia è indispensabile che sia presente in essa la grande complessità esistente nella società e che il ceto politico trovi la sua legittimazione nella sincronia con i reali movimenti culturali e sociali presenti nella società e con i fermenti in essa emergenti, È indispensabile che la politica torni ad essere coscienza e volontà generale e non nuova delega ai professionisti della vita pubblica o ad opinionisti. cl) a una politica della furbizia tutta imperniata su tatticismi (firmo la sfiducia al governo ma subito dopo firmo la fiducia allo stesso governo), sul proclamare nei programmi una cosa convinti di realizzarne in realtà altra (diceva Don Sturzo «i programmi non si scrivono, si vivono»); sul rifiuto formale di accordi impegnativi per perse-. guire sottobanco i cosiddetti «accordi tecnici», sul ricatto o la blandizia nei confronti del concorrente o del!'avversario (abbiamo letto con grande amarezza che un emergente leader cattolico assicurava a Berlusconi che se non si fosse presentato alle elezioni si sarebbe fatto in modo che le banche non chiedessero il pagamento dei suoi cospicui debiti). Una politica nuova - costruttrice veramente di legalità e democrazia esige trasparenza, coerenza, contrapposizioni leali, rifiuto dei tanti giochetti che hanno nel passato fortemente appannato l'immagine della politica come strumento di servizio della collettività. e.) a una politica intesa in senso totalizzante e cioè come politica che pretende di subordinare a sè tutti gli altri sottosistemi all'interno di una visione gerarchizzata e ideologizzata della realtà sociale. La politica, nella società complessa e pluralistica di oggi, deve essere intesa come attenta interpretazione delle attese e dei bisogni delle persone; come ricerca continua degli obiettivi minimi comuni da fermamente perseguire malgrado la diversità delle ispirazioni di partenza; come capacità di 14 mediare i conflitti inevitabili nella società complessa perché prevalgano gli interessi mediamente condivisi e diffusi; come momento alto di individuazione di criteri di valore comune e di scelte appaganti che riconducano ad unità di molte soggettività in cui si esprimono le singolarità della nostra vita sociale. f) a una politica ridotta a pragmatica gestionedell'esistente priva di contenuti valoriali e di capacità progettuale. Una politica regno della sopraffazione come la teorizza l'ideologo della Lega. La caduta delle ideologie - intese come gabbie interpretative della realtà in mutamento - è stata certam.ente positiva per costruire una politica più aperta ed attenta alle esigenze reali delle persone e non deformata da filtri ideologici. Ma questo «crepuscolo degli dei» ha comportato troppo spesso anche una stanchezza, che si è tradotta in rinuncia, a progettare per il futuro e un appiattirsi sulla grigia gestione del presente; in una incapacità di indirizzare, se non disciplinare, l'emergente; in una diffusa miopia a discernere i «segni dei tempi» presenti nella storia degli uomini. Far politica, oggi, esige ancora la capacità di coniugare realismo ed utopia componendo l'apparente antinomia tra i due termini; il saper gestire il «già»ma il saper programmare il «non ancora»; il saper riconoscere lo scarto che necessariamente esiste tra ciò che si può, tra ideale e reale, ma senza rinunciare a tentare di costruire una comunità migliore in cui possa essere vissuta da tutti, nel mondo più ampio possibile, la giustizia e la pace che restano esigenze fondamentali dell'essere umano. 4. Un'ultima considerazione mi sembra essenziale fare. Per realizzare questo nuovo modo di fare politica e per rifondare - sulla legalità, la moralità e la giustizia - una comunità partecipata in una democrazia compiuta i cattolici devono dare il loro contributo anche in forme organizzate per rendere più esplicita e più significativa non tanto la propria testi-
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