D!.LBIANCO ~ILROSSO MiiNl••i Unanuovastagionepolitica peri cristiani? di Adriano Ossicini s ono assolutamente d'accordo con Pierre Camiti quanto afferma che chiunque leggesse l'intervento del Papa «secondo la vecchia abitudine di guardare alla presenza della Chiesa come rivolta al problema della cucina politica» commetterebbe un grave errore. L'intervento del Papa va inquadrato in un vasto disegno storico ed epocale, in una realtà di profonda e spesso drammatica trasformazione dell'Italia e del Mondo, trasformazione nella quale la Chiesa ha avuto un ruolo di grande rilievo e non può certo rinunciare a rivendicarne uno fondamentale per il futuro. Il discorso del Papa va letto, per i suoi riflessi religiosi, sul piano della realtà storico-politica, non immiserendolo nella dialettica quotidiana ed anche l'invito a una presenza il più possibile unitaria dei cattolici va, come giustamente dice Camiti, interpretata come unità sui valori. Sturzo stesso molti anni fa invocò una presenza il più possibile ampia dei cristiani in politica, ma definì la loro ipotetica unità forzata come violenza alle loro coscienze. Ma proprio l'analisi storica che penso si debba fare dà ragione alle preoccupazioni del Papa e dimostra che c'è ancora uno spazio e una utilità per la presenza dei cristiani in politica anche e, voglio dire, in modo particolare, nel nostro Paese. Non c'è dubbio che una determinata epoca storica si è conclusa. In sostanza l'organizzazione sorta alla fine della ultima guerra mondiale codificata negli accordi di Yalta non è più alla base degli equilibri internazionali sui quali si reggevano, anche in modo determinante, quelli nazionali. Non si tratta solo del crollo del muro di Berlino, della profonda crisi del comunismo internazionale, della «fine» dei paesi del cosiddetto socialismo reale. Si tratta di un mutamento 7 radicale negli equilibri di potenza anche per quanto riguarda tutto l'assetto politico ed economico internazionale. Tutto questo ha avuto profondi riflessi sulla nostra politica interna in quanto profondamente legata alla situazione internazionale. Il tipo di democrazia, per certi aspetti forzatamente bloccata, sulla quale si reggevano i nostri equilibri interni e sul quale era sorto ed era risultato egemone quello che viene comunemente chiamato il «progetto» degasperiano, è profondamente in crisi da lungo tempo. Ma con questo progetto, insieme ad esso, anche se per differenti ragioni, sono entrati in crisi tutti i partiti che in qualche modo avevano avuto un ruolo egemone al governo e all'opposizione nella nostra realtà politica. Oltre tutto a questa crisi politica si è accompagnata una profonda crisi ideologica, un vero e proprio tramonto delle ideologie. Ma il tramonto delle ideologie e la crisi dei sistemi e delle forze politiche tradizionali ha rimesso in discussione anche termini e formule prima usati con sicurezza o comunque con una certa oggettiva possibilità di orientarsi attraverso di essi. Termini come sinistra, destra, centro pur non perdendo una loro validità puramente indicativa, vanno ridefiniti. Ancor più vanno ridefiniti termini come socialismo, socialdemocrazia, democrazia avanzata, democrazia popolare ecc. Tramontate le ideologie, in base alle quali erano state per lungo tempo «costruite» certe «classificazioni», diventa molto difficile dire su quali basi, in teoria e in concreto, ci si possa definire «progressisti», e che cosa significhi oggi sul piano teorico, politico ed economico definirsi di destra, di centro o di s.inistra. Perché c'è indubbiamente una tendenza, ancora, ad autodefinirsi, per ragioni di comodo, secondo determi-
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