{'!,L BIANCO ~ILROSSO iiiki+iiiii - ' \ 1. '-·· · ......... camente eluso, per concludere che i vincoli giuridici (inclusi quelli costituzionali) da soli non sono in grado di arginare un bel niente. In realtà quindi quella di Berlusconi più che una proposta di politica fiscale è semplicemente una accattivante presa di posizione diretta ad accaparrarsi la comprensibile insofferenza dei contribuenti verso il fisco e trasformarla in consenso elettorale. D'altro canto l'insofferenza verso le tasse esiste ovunque (sia nei paesi più tartassati del nostro, che negli altri) e la battaglia «contro le tasse», al posto di quella per l'equità fiscale, è dappertutto un ingrediente classico della propaganda politica di destra. Il problema vero per l'Italia è il divario tra entrate e spese rispetto al Prodotto Interno Lordo, che è di oltre 12 punti. Questo divario è la causa del nostro dissesto economico-finanziario. Quando perciò Berlusconi suggerisce di bloccare o, addirittura, di ridurre le entrate, significa che immagina di colmare il divario con una drastica riduzione della spesa. Dovrebbe tuttavia sapere che la spesa per oltre 1'80 per cento è composta da tre voci fondamentali: interessi sul debito; prestazioni sociali; dipendenti pubblici. Come aspirante leader politico Berlusconi dovrebbe quindi avere l'amabilità di dire (soprattutto a coloro che pensano di votarlo) dove e che cosa propone di tagliare. Pensa di consolidare il debito? Oppure liquidare pezzi interi di Stato Sociale, incominciando, ammesso che basti, dallo smantellamento della sanità e della previdenza? O, infine, pensa si possano attuare diverse centinaia di migliaia di licenziamenti nei vari settori dell'amministrazione pubblica? In tal caso dove? Nella scuola, -·· ...... - ' ,I \ , , 6 sanità, Polizia, Carabinieri, amministrazione finanziaria, giustizia? Se non pensa a nulla di simile, è sulle restanti voci di spesa che immagina di agire? Persino un «dilettante» della politica come Berlusconi dovrebbe però sapere che lì c'è poco da fare, se non a prezzo di un ulteriore impoverimento e degrado delle infrastrutture e dei servizi pubblici. I quali, al contrario, dovrebbero essere più efficienti ed efficaci anche per migliorare la nostra capacità di competizione. Ma efficienza ed efficacia esigono, di solito, più risorse. E per reperirle difficilmente può bastare la pur indispensabile lotta agli sprechi. La conclusione da trarre è che si può camminare sulla strada del risanamento economico e finanziario solo se si agisce, con equità e determinazione, tanto dal lato delle entrate che da quello delle uscite. È invece irrealistico e velleitario se si pensa di intervenire solo sull'uno o sull'altro versante. Poiché i discorsi di Berlusconi sulla pressione fiscale non hanno nessun fondamento concreto essi devono quindi essere interpretati come una sorta di metafora per dire basta allo Stato Sociale. Se perciò, alle imminenti elezioni, il «blocco d'ordine» da lui auspicato dovesse avere successo, tanto per fare un solo esempio, in futuro lo stato di salute di ogni famiglia italiana dipenderà soltanto dallo stato delle sue finanze. Una vergogna che negli Stati Uniti l'amministrazione Clinton sta faticosamente tentando di eliminare. In questa deprecabile evenienza saremmo ben presto costretti a constatare a nostre spese quanto avesse ragione Manzoni di dire che: «non sempre quel che vien dopo è progresso».
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