{)l,L BIANCO Qrl. ILROSSO 11•1~'ffl•l; 1 Emergenzla voro:comeridisegnare lasocietàintera? L a disoccupazione che colpisce tutti i paesi dell'Ocse pone non solo la necessità di attivare politiche che creino lavoro, ma sollecita un ripensamento profondo dei valori e della organizzazione materiale della nostra società. Infatti è entrata in crisi l'idea della società come società del lavoro e dei lavoratori, sia secondo le previsioni di Anna Harendt «oggi ci troviamo di .fronte alla prospettiva di una società di lavoratori senza lavoro, privali cioè della sola attività loro rimasta»; sia nella persistente incapacità a pensare ad una società che sappia unire in un legame positivo il lavoro e la vita urnana. Quali sono le cause dell'attuale, tremenda, disoccupazione? 1) La recessione che riduce la domanda di beni. Le imprese tendono a reagire abbassando i prezzi; per riuscirci devono ridurre i costi e tra essi il costo del lavoro. Per fare ciò le aziende devono introdurre nuove tecnologie e migliorare l'organizzazione del lavoro che avvenendo in un momento in cui la domanda ristagna o addirittura si contrae le inducono a ridurre il personale. Così la disoccupazione congiunturale si combina con la disoccupazione tecnologica; 2) La divisione internazionale del lavoro che rende più conveniente alle nostre imprese investire in Asia, in America Latina, nell'Est europeo perché moltopiù basso è il costo del lavoro. 3) Lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese caratterizzato da uno sviluppo industriale ristretto, concentradi Livia Turco lo in alcuni poli; dalla trascuratezza in cui sono stati lasciali alcuni fattori fondamentali dello sviluppo come la ricerca e l'innovazione, l'ambiente o alcuni settori della nostra economia come la piccola e media impresa; da uno Staio sociale assistenziale; dalla condizione del Mezzogiorno, ma soprattutto di imprese che hanno lavoralo in un mercato protetto (come Tangentopoli evidenzia). Dunque per creare lavoro nel nostro Paese è necessario rilanciare lo sviluppo, aumentare la produttività del nostro sistema economico e sociale. Una politica per l'occupazione deve rilanciare gli investimenti nei settori industriali strategici; nelle infrastrutture qualificale e non nelle grandi opere pubbliche; nell'edilizia di qualità; nel trasporto pubblico in particolare quello urbano; nel recupero ambientale della città; nello sviluppo dei servizi alla persona. Ma lutto ciò non sarà sufficiente a combattere la disoccupazione. Una politica di rilancio della produzione di merci non comporta più un forte aumento dell'occupazione. È vero che se la produzione cala cala anche l'occupazione. Ma oggi non è più vero che un rilancio della produzione comporla un aumento dell'occupazione. Questo perché lo sviluppo della scienza e della tecnica aumentano la produttività del lavoro con un conseguente risparmio del tempo necessario alla produzione di beni e ricchezza. Le nuove tecnologie ormai sono in grado di rendere la produzione indu51 striale fattibile da meno persone e trasferibile ovunque. Le forze imprenditoriali traducono questo risparmio di tempo in risparmio di lavoratori ed in una penalizzazione dei loro salari reali. La riduzione del tempo di lavoro necessario alla produzione di beni e ricchezza non comporta di per sé la redistribuzione delle opportunità lavorative, maggior tempo libero, maggior .autonomia individuale. Questo risparmio di tempo di lavoro non solo crea la disoccupazione, ma mette in discussione il modello di società che abbiamo conosciuto: quello costruito attorno al primato del lavoro produttivo ed industriale. Dunque il problema che ci sta di fronte non è solo quello di creare lavoro, ma di quale società pensiamo sia possibile ed auspicabile costruire nel futuro: se una società in cui il lavoro è una variabile dipendente, una merce scarsa, in cui dilagano le ingiustizie e le povertà a fronte di un esasperalo consumismo; oppure una società che redistribuisce il lavoro secondo il criterio della solidarietà, che inventa un nuovo lavoro, che consente l'espansione di quei beni fino ad oggi scarsi come l'istruzione, la cura, il tempo per l'ozio. Ed allora, la riduzione dell'orario di lavoro si pone come un fine: la società che consente la piena realizzazione della individualità umana; la società dei lavori e delle attività; la società che consente l'esercizio di una padronanza individuale e sociale nell'uso del tempo; la società dell'uomo onnila-
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