competitività di lungo periodo. Non mi soffermo su questo punto: sottolineo solo che questo significa rivoluzionare continuamente le strutture aziendali. È da molti ritenuto che il maggior problema che affligge il mercato del lavoro in Europa sia la sua rigidità derivante da un'eccessiva regolamentazione. La regolamentazione del mercato deve essere evidentemente rivista, ma piuttosto ·che reagire ai mutamenti che possono intervenire nel quadro normativo e regolamentare, bisogna anticipare tali mutamenti. In primo luogo per creare maggiore solidarietà bisogna necessariamente che la crescita nel numero di ore lavorate sia inferiore al tasso di crescita della produttività non tanto per ridurre la quota di salari sul reddito, ma piuttosto al fine di poter incrementare il numero di posti di lavoro. Dato un certo livello di occupazione, alcuni posti di lavoro potrebbero essere creati attraverso la riduzione dell'orario di lavoro e ciò potrebbe avvenire mediante cambiamenti nel modo di concepire il pari-lime e minimizzando gli incentivi finanziari per gli straordinari. Gli oneri sociali debbono inoltre esD!LBIANCO ~ILROSSO • 11•)..-W, a ; 1 sere rivisti: non possono essere troppo diversi tra i paesi europei, né possono essere troppo elevati in Europa rispetto agli Stati Uniti. Diverse azioni possono inoltre essere intraprese per incrementare la flessibilità sul mercato del lavoro in Europa così come dovrebbero essere facilitati i modi di assunzione dei lavoratori. Non voglio però insistere troppo su queste misure generiche: mi limito a ricordare che finalmente in Europa è iniziata una attività intellettuale e di sperimentazione per affrontare questo grande mondo della disoccupazione. Mi limito a ricordare tre esempi. Il primo riguarda la Comunità Europea, che ha accentuato le proprie energie su un enorme piano di lavori pubblici a livello continentale. Naturalmente si tratta di lavori pubblici intesi nel senso più moderno del termine, dalle strade alle ferrovie e, soprattutto, alle più raffinate reti telefoniche e di informazione. Come si vede siamo sui tradizionali rimedi keynesiani, ma ciò non toglie che la situazione sia di grande interesse, soprattutto in un contin13nte che deve essere unificato anche fisicamente. La seconda linea di soluzione è quella «germanica» che si fonda soprattutto su una parallela diminuzione degli orari di lavoro e dei salari. Qualcosa di simile ai contratti di.solidarietà ma applicata su vasta scala e molto legata a prospettive di «normalizzazione» in un tempo non molto lontano. La terza linea è quella «francese» in cui lo Stato offre una pensione (più modesta di quella normale) alle donne che si ritirano «spontaneamente» dal mercato del lavoro. È una soluzione certamente poco dolorosa nel breve periodo, ma che può portare nel lungo termine ad un progressivo ritiro delle donne dal mercato del lavoro. Resta inoltre insoluto in tutta Europa il problema dell'aumento parallelo dell'immigrazione e della disoccupazione. Ma anche questo problema merita un discorso a parte. Per ora mi limito a sottolineare il fatto che in Italia esistono molte sperimentazioni di piccola dimenzione e abbastanza interessante, ma non esiste ancora un approfondito dibattito per affrontare in modo sistematico il nostro più grave problema sociale. Mi sembra ora di cominciare a pensarci un po' di più. ~:1·, L~--___._.--J.____ / / 50
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