Il Bianco & il Rosso - anno V - n. 48 - gennaio 1994

{)!LBIANCO '-"' ILROSSO • 11•~•-sJ a ; 1 LaChiesae i diritti degliuomindi ellavoro - 1mio intervento non è di ordi- i ne tecnico né in campo economico né in campo politico; tuttavia poiché «la Chiesa ritiene suo compito di richiamare sempre la dignità e i diritti de- - gli uomini del lavoro e di stigmatizzare le situazioni in cui essi vengono violati, e di contribuire ad orientare i cambiamenti perché si avveri un autentico progresso dell'uomo e della società» (Le n. 1), sento il dovere di intervenire nella ricerca che si sta facendo in questo incontro esponendo le idee e gli impegni della Chiesa in generale e delle Chiese che sono in Italia in particolare a riguardo del problema del diritto al lavoro di ogni uomo. Le ragioni di tale intervento sono chiare. Il lavoro, infatti, non è solo un problema economico o politico, e non ha solo risvolti tecnici o strutturali, ma è un problema umano carico di valori poiché «costituisce una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra». «La Chiesa attinge questa convinzione soprattutto alla fonte della Parola di Dio rivelata e, perciò, quella che è una convinzione dell'intelletto acquista in pari tempo il carattere di una convinzione di fede» (Le n. 4). Ed oggi «diventa sempre più evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e - quale parte essenziale del lavoro - delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità» (Ca n. 32). Queste, e solo queste, sono le ragioni per cui la Chiesa, e il sottoscritto, possono dire una parola su un problema così tragicamente attuale quale è l'«occupazione». Non entrerò, perciò, nelle di Fernando Charrier ipotesi tecniche di soluzione: non ne ho il compilo e nemmeno la competenza. Vorrei partire da due affermazioni del Magistero sociale della Chiesa. La prima: «... il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell'uomo. E se la soluzione o, piuttosto, la graduale soluzione della questione sociale, che continuamente si ripresenta e si fa sempre più complessa, deve essere cercata nella direzione di rendere la vita umana più umana, allora appunto la chiave, che è il lavoro umano, acquista un'importanza fondamentale e decisiva» (Le n. 3). La seconda: «Consideriamo i diritti degli uomini del lavoro ... si deve prima di tutto rivolge l'attenzione ad un problema fondamentale. Si tratta del problema di avere un lavoro, cioè, in altre parole, del problema di un'occupazione adatta per tutti i soggetti che ne sono capaci». Per cui bisogna «... agire contro la disoccupazione, la quale è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale» (Le n. 18). La situazione ci è stata ricordata dall'intervento di Carniti: siamo nel pieno della «calamità sociale» cui fa cenno l'Enciclica. È chiaro che una realtà di questo tipo viola i fondamentali diritti dell'uomo, e, nel tempo stesso, blocca il necessario sviluppo economico e sociale. Le proposte fino ad oggi prospettate paiono essere utili per una qualche soluzione a breve termine, ma non sono, a detta degli esperii - e l'intervento di introduzione ai lavori lo conferma -, 45 risolutive. Lo Stato pare In difficoltà; la necessaria solidarietà che vada oltre l'assistenza e non si fermi solo a partecipare quel poco che si ha, ma individui autentici atteggiamenti di partecipazione e di corresponsabilità, non trova credibilità e spazi Ira gli esperti e gli operatori economici; la riduzione delle ore di lavoro in modo da «lavorare meno per lavorare tutti» può essere una risposta all'emergenza ma se innesca - e questo è possibile se non cambiano i criteri dell'economia - un «circolo vizioso»:meno lavoro - meno denaro, meno denaro - consumo, meno consumo - meno produzione - meno lavoro. Ritornando ai valori da tenere presenti in ogni progetto di soluzione del problema occupazione, si deve innanzitutto affermare che essi non sono principi astraiti incapaci di risolvere in concreto le situazioni; affermazione che sovente affiora in chi è sfiduciato o in chi non vuole che la situazione attuale cambi. Sul valore «lavoro» già si è detto; se qualcosa si vuole aggiungere si potrebbe ancora affermare che «non è il lavoro a dare dignità all'uomo, ma l'uomo che dà dignità al lavoro». Le conseguenze sono comprensibili: la corsa al «posto» e non al lavoro denota una concezione errata dal lavoro stesso; la cultura del «non lavoro», che sovente affiora, non è degna dell'uomo o di una società ben ordinata; non è sufficiente - anche se nella crisi attuale sarebbe già un traguardo positivo - un «banco di lavoro indifferenziato», poiché ogni uomo ha diritto ad un «proprio banco di lavoro», cioè corrispondente alla sua preparazione, alle sue attitudini, alle sue possibilità. «Come persona, l'uomo è soggetto

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